Quel che accadde 116 anni fa in un puntino del mondo può servire a far da specchio al nostro presente ancora impestato di razzismi: il ragazzo americano che ha ucciso nove neri in una chiesa metodista episcopale del North Carolina, i migranti arrivati dall’Africa che hanno passato giorni sugli scogli di Ventimiglia in attesa della libertà negata dagli egoismi della fraterna e colta Europa.
mercoledì 24 giugno 2015
Italiani: negri di merda e zingari irrecuperabili
Risvolto
In una calda notte di luglio del 1899, la
sconosciuta Tallulah – un puntino sulla mappa del Nuovo Mondo, trecento
chilometri a nord della famosa New Orleans – fu teatro di un linciaggio
collettivo, immotivato e feroce. La causa? Una capra abbandonata per
strada aveva infastidito un dottore e provocato una sparatoria; poi una
«folla ordinata» aveva provveduto al linciaggio immediato di cinque
persone. Non «negri» come era abitudine in quelle lande, ma contadini
siciliani, un clan familiare di fratelli e cugini emigrati dal paese di
Cefalù. Il nostro governo chiese spiegazioni; non le ebbe, ma ottenne
una ricompensa e tutto finì lì. In realtà, osserva Enrico Deaglio, «la
storia era molto più grande. Più grande vuol dire più orrenda, più
infame, più misteriosa, ma anche più avventurosa e quasi fiabesca».
L’inchiesta del reporter-scrittore, alla Truman Capote, segue la verità
letteraria, esplora i luoghi, scava detriti di memorie e archeologie di
testimonianze, delinea i contorni umani di una violenza totale. Ma poi,
di rimando in rimando e di traccia in traccia, necessariamente si
allarga svelando in quel crimine collettivo soltanto il precipitare di
uno scenario molto vasto. Un ordine economico che aveva bisogno, nei
malfamati lavoratori siciliani, di una nuova «razza maledetta» che
sostituisse gli schiavi liberati delle piantagioni. Una deportazione
transoceanica concepita ai tempi di Garibaldi, alimentata da scienziati
razzisti, proprietari terrieri, governanti risorgimentali spaventati dal
loro nuovo popolo, un atto di nascita segreto della nuova Italia.
Deaglio ripercorre quel lungo viaggio verso la forca con gli oggetti
trovati in una valigia abbandonata: l’inquietante quadro di Antonello e
la sua somiglianza con gli occhi e la pelle dei poveri linciati; i segni
del loro peregrinare tra sommosse e pogrom; l’utopia della terra, la
mitica fondazione della «nuova Palermo» sulle rive del Mississippi, una
spilla di brillanti che scompare. Chi e che cosa uccise i cinque underdog di Cefalù? La soluzione di un giallo di 115 anni fa si rivelerà molto attuale. Moderna e vicina a noi, purtroppo.
Italiani alla forca, senza colpa
Il 20 luglio 1899 cinque siciliani furono impiccati in Louisiana. Vittime dell’odio razzista
di Corrado Stajano Corriere 24.6.15
Quel che accadde 116 anni fa in un puntino del mondo può servire a far da specchio al nostro presente ancora impestato di razzismi: il ragazzo americano che ha ucciso nove neri in una chiesa metodista episcopale del North Carolina, i migranti arrivati dall’Africa che hanno passato giorni sugli scogli di Ventimiglia in attesa della libertà negata dagli egoismi della fraterna e colta Europa.
Quel che accadde 116 anni fa in un puntino del mondo può servire a far da specchio al nostro presente ancora impestato di razzismi: il ragazzo americano che ha ucciso nove neri in una chiesa metodista episcopale del North Carolina, i migranti arrivati dall’Africa che hanno passato giorni sugli scogli di Ventimiglia in attesa della libertà negata dagli egoismi della fraterna e colta Europa.
La sera del 20 luglio 1899 cinque siciliani di Cefalù furono impiccati a
un pioppo a Tallulah, nello Stato della Louisiana, sul Mississippi,
linciati da una folla inferocita. Una loro capra aveva brucato, forse
era solita farlo, l’erba del prato del medico condotto e coroner del
villaggio che a pistolettate la uccise. Uno dei cinque si vendicò e
sparò contro il medico con un fucile da caccia. Il Grand Jury, convocato
nella notte, decretò la morte dei cinque, si parlò di un complotto dei
siciliani, i dagos , come venivano chiamati con disprezzo, una razza
inferiore, più neri che bianchi. Nemici. I cinque dondolarono
dall’albero per tutta la notte, il medico condotto non era morto, come
era stato detto: colpito dai pallini delle cartucce da caccia andò a
casa con le sue gambe...
«Piccole formichine della storia della fine del secolo», definisce i
cinque Enrico Deaglio che da quella vicenda ha tratto un libro, Storia
vera e terribile tra Sicilia e America, pubblicato da Sellerio .
Scrittore civile, autore di libri che segnano il nostro tempo, tra gli
altri La banalità del bene , l’avventura di Giorgio Perlasca che a
Budapest, durante la Seconda guerra mondiale, riuscì a salvare 5.000
ebrei; Il vile agguato , l’atroce destino del giudice Borsellino
assassinato dalla mafia, non estranei i servizi segreti, «deviati»,
naturalmente.
Deaglio vive metà dell’anno a San Francisco — l’altra metà a Torino — e
gli è capitato di trascorrere periodi non brevi a Tallulah. Per un caso
viene a sapere di quei cinque dagos che pareva lo attendessero per
essere ricordati e avere un po’ di giustizia, anche se postuma.
I libri di Deaglio sembra che nascano come una palla di neve che via via
s’ingrossa. Lo scrittore ama i luoghi, va a vedere, non trascura i
dettagli che sembrano ininfluenti ma sono spesso essenziali per capire i
fatti.
Chi sono i cinque dagos compaesani di Cefalù, che arrivano in America
nel 1892? I tre fratelli Defatta, Joe, Frank, Charles, e con loro
Rosario Fiduccia detto Sy Defichi e Giovanni Cirami, detto Cyrano.
Nell’ultimo Ottocento partono dall’isola — i siciliani al posto dei
vecchi schiavi — diretti a New Orleans almeno in centomila per sfuggire
alla miseria, in cerca di fortuna, zolfatari, contadini falliti,
garibaldini delusi.
Cefalù è un paese con una gran rocca sul mare, una basilica bizantina,
il Museo Mandralisca che ospita il Ritratto d’uomo di Antonello da
Messina (esposto ora al Palazzo Reale di Milano nella mostra dedicata a
Leonardo). Il personaggio del dipinto, dal viso ironico e pungente, reso
famoso negli anni Settanta del secolo scorso dal romanzo di Vincenzo
Consolo, Il sorriso dell’ignoto marinaio , secondo Deaglio assomiglia a
Frank Defatta.
I cefalutani se la cavano. A New Orleans lavorano a tagliare la canna da
zucchero nelle piantagioni, poi — la fatica è tremenda — si spingono al
Nord, arrivano a Tallulah, trafficano con intraprendenza, vendono
frutta e verdura e riescono a metter su una bottega. Diventano
proprietari di due pezzetti di terra, di tre muli, di un cavallo, danno
la merce a credito, cosa che ai locali non piace, assumono tre o quattro
neri ad aiutarli in bottega.
Il presidente Abramo Lincoln, nel settembre 1862, ha firmato il Proclama
di emancipazione che dichiara liberi gli schiavi degli Stati ribelli
della guerra civile. Ma il clima sociale non è sereno in quelle terre
sconfitte. A Vicksburg, non lontano da Tallulah, sul Mississippi, si
combatté la battaglia campale che doveva decidere le sorti della guerra e
ancora decenni dopo sono rimaste le ombre di quella memoria dolente. I
latifondisti della Louisiana non vogliono rendersi conto che la legge ha
distrutto il loro sistema di vita fondato sul lavoro degli schiavi
ubbidienti che seguitano a considerare esseri inferiori, come i
siciliani che con i neri hanno rapporti di buona convivenza.
Quella notte d’estate è il segno dell’esplosione di antichi odii e
risentimenti. Lo scrittore la fa rivivere con puntiglio. Sono increduli,
i cinque destinati alla forca: «Andiamo ragazzi, siamo tutti amici, ci
conosciamo da sei anni», mormora Frank mentre la corda gli ha già
stretto il collo.
È un racconto verità il libro di Deaglio in cui il destino di quei
cinque è il simbolo atroce della lotta di classe, di culture, di
costume. È anche la narrazione della follia vendicatrice del razzismo,
della violenza proprietaria, del rifiuto di agire per la giustizia delle
autorità italiane, a cominciare dal cavalier console di Vicksburg, per
arrivare a coloro che avrebbero dovuto farlo nella patria lontana e
dimentica. È anche la storia di un giornalista, Enrico Cavalli, editore e
direttore della rivista di New Orleans, «L’Italo americano», che fa
invece quel che deve e riesce a farsi dire da un barbiere e da un
pittore itinerante i nomi degli autori del linciaggio: Fred Johnson che
procurò la corda, Arden Severe che preparò il cappio. A capo di tutto il
paese, Mr. Rogers, in nome proprio o dei maggiorenti. La chiave di
volta, spiega Deaglio, è però J. Ford Hodge, il medico condotto e
coroner che non mosse un dito per impedire quella barbarie.
Un film già fatto quella notte del 1899. Basta soltanto girare la manovella.
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