domenica 21 giugno 2015

L'era dell'accesso del furbo Rifkin, 15 anni dopo

Risultati immagini per rifkinIl portiere 2.0
di Marco Belpoliti La Stampa 15.6.15

Maria compra tutto, o quasi, on line. Dice che costa meno, a partire dall’abbigliamento. Di solito fa acquisti la sera tardi, al ritorno dal lavoro. Sostiene che le cose migliori (qualità elevata e basso prezzo) le ha trovate dopo mezzanotte. Ora il problema di Maria è di ricevere i pacchi con la merce. Vive infatti in una casa senza portiere ed è single. Anche la sua vicina di casa, la signora Francesca, persona fidata, lavora tutto il giorno; nel palazzo di sette piani dove abita non conosce altre persone.
L’ultima volta che ha comprato una giacca via email ha trovato un avviso del postino che l’invitava a ritirare la spedizione in un ufficio postale sconosciuto. Non era vicino a casa e ha dovuto chiedere un permesso di un’ora al suo capo. Non gli è stato sufficiente, perché il pacco non era lì, ma in un altro ufficio. Prima di saperlo ha fatto anche la fila allo sportello, che si è rivelato sbagliato, così ha dovuto rifarla per ottenere l’informazione; quindi ha preso la macchina ed è andata quasi in periferia per ritrovare la sua giacca vintage.
Perciò Anna ha un po’ diradato gli acquisti, o li ha fa arrivare a casa di sua madre, dall’altro capo della città, dove va il sabato per vedere come sta. Sua madre è piuttosto curiosa e ha cominciato a farle domande sul contenuto delle spedizioni, per cui Maria si è scocciata e ha interrotto gli acquisti on line. L’altro giorno in un negozio, un supermercato di piccole dimensioni, proprio accanto alla sua casa, ha trovato un depliant di «Fermo! Point». Gli è sembrata un’idea geniale.
Basta registrarsi con un Nickname a www.fermopoint.it, poi inserire l’indirizzo del destinatario (in questo caso il supermercato, oppure la cartoleria lì vicino, dove ha trovato il medesimo volantino, ma ci sono altri negozi che lo fanno nel quartiere). I «Fermo! Ticket» che servono costano 2,90 euro l’uno e sono utilizzabili per un solo ritiro. Non hanno scadenza. Per completare l’operazione ci si cerca il «Fermo! Point» più vicino e si prenota la consegna. Se l’acquisto avviene in un sito già collegato a «Fermo! Ticket», basta segnalare quale forma di consegna si preferisce e indicare il proprio Nickname. Quando il pacco arriva, Maria è avvisata da una mail e ha quattordici giorni di tempo per ritirarlo. Deve solo ricordarsi Nickname e numero del «Fermo! Posta», mail e sms. Con il cellulare il tuo portiere è dove vuoi. Se tutti faranno come Maria, cosa resterà da recapitare alle Poste Italiane?


Sharing economy L’economia oggi si compra poco si affitta tutto
di Francesco Guerrera caporedattore finanziario del Wall Street Journal a New York La Stampa 15.6.15

Ecco un piccolo spaccato della mia vita: mi faccio spesso dare passaggi in macchina da sconosciuti, passo notti in appartamenti di persone che non ho mai visto e lascio i fornelli di casa a cuochi che ho trovato su internet. Benvenuti nella «sharing economy»: l’economia del consumo condiviso dove si compra poco e si affitta tutto, dai taxi ai gioielli, dalla musica alle biciclette, dagli elettricisti alle vacanze.
Basta avere un telefonino col Gps, la voglia di risparmiare e un po’ di coraggio, et voilà, arriva il taxi di Uber, l’appartamento di Airbnb e gli chef di Kitchensurfing.
In America, non si parla d’altro. Anzi, visto che ormai di persona ci si parla poco, non si twitta, instagramma e facebooka d’altro. La sharing economy, dicono i fautori, creerà un nuovo sistema di consumo e milioni di posti di lavoro flessibili, ben pagati e più appetibili dei «McJobs», i modesti impieghi nei fast food tradizionalmente riservati alle classi basse.
Secondo i contabili di PwC, i soldi spesi in questa nuova forma di consumo collettivo potrebbero crescere da circa 15 miliardi di dollari oggi a 335 miliardi nel 2025.
Wall Street e Silicon Valley sono in brodo di giuggiole e stanno inondando imprenditori e società con soldi, consigli e promesse. Uber, l’application dei taxi che è il simbolo di questa rivoluzione economica, è valutata a circa 50 miliardi di dollari, quasi come la Ford e la General Motors. Anche se non ha un cent di utili e i governi di mezzo mondo la odiano, soprattutto in Europa.
Le banche d’affari stanno già cercando di convincere Uber, che ha solo cinque anni di età, a quotarsi in Borsa, dicendo che potrebbe diventare più grande di Facebook, il gigante del social network. E Silicon Valley pullula di banchieri in cerca dei nuovi «unicorni», società giovani che hanno valutazioni di più di un miliardo di dollari.
Numeri come questi sono assurdi e sintomatici più dell’ingordigia degli investitori che di realtà economiche. Quando l’entusiasmo dei signori del denaro coincide con i soldi a poco prezzo pompati dalle banche centrali, il risultato è una bolla speculativa che prima o poi scoppierà.
Ma la sharing economy sopravviverà agli alti e bassi dei mercati perché è sia il catalizzatore sia il prodotto di un cambiamento profondo nello stile di vita di milioni di persone. Stiamo passando da un’economia della proprietà a un’economia dell’affitto.
Negli Usa, il momento-chiave è stata la durissima recessione causata dalla crisi finanziaria del 2008-2009. Negli anni successivi, l’economia si è ripresa ma milioni di persone hanno imparato le lezioni della crisi, scomunicando il credo del consumismo e dell’accumulazione dei beni. Gli ultimi sondaggi dicono che solo la metà degli americani è d’accordo con la frase: «possedere cose è un ottimo modo per dimostrate il mio status sociale». Quattro anni fa, la percentuale era il 66%.
Le nuove generazioni stanno accelerando questo processo. I ragazzi di oggi sono figli di internet, imboccati da Apple, Amazon e Google fin dalla nascita. Vanno online per fare di tutto, non hanno paura dell’ignoto e non si preoccupano più di tanto della privacy. Per loro, la velocità, il basso costo e la comodità della sharing economy sono una realtà scontata. Anzi, le aziende che non offrono questi vantaggi sono condannate a un lento ma inesorabile declino.
E non si può dire che una società come Airbnb che ha circa 425.000 «ospiti» a notte, sia un fuoco di paglia. I 155 milioni di persone che usano questo servizio ogni anno sono il 20% in più di una catena internazionale e blasonata come la Hilton.
Statistiche come queste vanno rispettate e analizzate. A livello prettamente economico, le varie Uber e Airbnb sono piattaforme digitali che mettono in collegamento diretto domanda e offerta. È il Santo Graal degli economisti: un metodo efficiente e veloce per connettere chi vuole comprare e chi vuole vendere. Il prezzo dei servizi si adatta alla domanda in maniera quasi istantanea e il mercato funziona da sé in maniera lineare e orizzontale, senza bisogno d’intermediari.
Ma c’è anche un livello emotivo. Com’è possibile che, al giorno d’oggi, con tutti i pericoli di cui leggiamo ogni giorno, milioni di persone si affidino a gente che non conoscono? La risposta è che la sharing economy è basata su un concetto non finanziario ma psicologico: la fiducia. Fiducia non indiscriminata ma basata sulle raccomandazioni di altri.
In inglese, lo chiamano peer-to-peer, da pari a pari. Se gente simile a me ha provato questo tassista, o questo appartamento e persino questo cuoco ed ha avuto un’esperienza positiva, sono pronto a provarlo anch’io. Internet è indispensabile perché permette a milioni di persone di comunicare le proprie opinioni quando e come vogliono. Basta pensare a come Tripadvisor abbia rivoluzionato l’industria delle vacanze, togliendo la parola agli «esperti» e dando voce ai comuni mortali.
Ciò che ancora non sappiamo è se la sharing economy sarà produttiva o cannibale. Se i miliardi di dollari guadagnati da Airbnb e compagnia si aggiungeranno al resto delle attività produttive o saranno semplicemente «rubati» ad aziende tradizionali.
L’altro quesito è se le manovalanze di queste nuove industrie riusciranno a vivere meglio delle classi lavoratrici che le hanno precedute. Non è chiaro, per esempio, se la proliferazione di società come Uber esacerbi le sperequazioni sociali, dividendo la popolazione tra chi il taxi lo prende e chi il taxi lo guida. I primi dati sono incoraggianti: i salari sembrano più alti di quelli dei McJobs tradizionali e la flessibilità di lavorare da casa o con orari non fissi aiuta persone che spesso non si possono permettere sistemi di supporto come le baby sitter.


Per ora, la sharing economy continua la sua marcia inarrestabile nel labirinto delle nostre vite. Come i taxi di Uber. 


Jeremy Rifkin: il futuro? Energie rinnovabili e condivisione di servizi 
L’economista: sull’ambiente il Papa dice verità che i politici non hanno il coraggio di dire 

Bruno Ruffilli La Stampa 21 6 2015

Siamo alla fine di una delle grandi ere economiche dell’umanità, ma al contempo vediamo l’inizio di qualcos’altro». Jeremy Rifkin, economista visionario, provocatore di professione, apre così il suo intervento alla XVI edizione dell’Evento Annuale Ericsson.
Il convegno è intitolato We are all Change Makers (Siamo tutti protagonisti del cambiamento), e Rifkin racconta il cambiamento con metafore e osservazioni spesso spiazzanti, che ripercorrono un po’ tutti i suoi libri, da La Fine del Lavoro all’ultimo La società a costo marginale zero. «Entro 25 anni – spiega - non useremo più energia derivata dal petrolio e dal nucleare: proverrà integralmente da fonti rinnovabili». Rifkin, che tra i suoi tanti ruoli ha quello di consulente della cancelliera Angela Merkel, porta l’esempio della Germania, dove la percentuale delle fonti rinnovabili oggi è pari al 27 per cento e nel 2020 arriverà al 35 per cento. E l’energia solare costerà sempre meno, ognuno sarà in grado di produrla da solo e vendere quella che non gli serve.
È una trasformazione radicale, da consumatori a «prosumer», produttori e consumatori allo stesso tempo; dopo quella del vapore e dell’elettricità, la Terza rivoluzione Industriale passa per il digitale e l’economia della condivisione. Nasceranno mestieri completamente diversi da quelli attuali: Rifkin immagina un giorno in cui «dovremo spiegare ai nostri nipoti come mai c’è stato un tempo in cui qualcuno guidava un camion per otto ore al giorno su una strada ogni giorno, e loro si chiederanno perché». Le macchine si guideranno da sole, come la Google Car che a breve comincerà a circolare nelle strade della California. Non avrà più importanza il possesso, quello che conterà sarà poter accedere ai servizi.

Ma attenzione agli equivoci: «Uber, che per molti è un esempio di sharing economy, adotta una struttura verticale tradizionale», osserva Rifkin. «Quanto tempo ci vorrà perché gli autisti decidano di costituirsi in cooperative e offrire direttamente i loro servizi su base locale, tenendo tutti i guadagni? Quella sarà la terza Rivoluzione Industriale: collaborativa, orizzontale, aperta».
Lo studioso americano ha settant’anni, ma non smette di guardarsi intorno: «Il modo di pensare dei più giovani fra 18 e 30 anni è molto diverso da noi. Per noi la libertà è qualcosa che si basa sul possesso, per loro l’autonomia è la morte. Vogliono la connettività: non l’esclusività ma l’inclusione, pensano alle persone che contattano su Skype e Facebook come fossero parte di una sola famiglia». Così quello che si apre è un divario tra un mondo che già cambia e le istituzioni che non sanno raccontarlo: «Sono troppo pochi i politici capaci di immaginare il futuro e comunicarlo, ma una volta raccontata la storia ecco che tutto comincia a cambiare».
Nelle parole dell’economista, spesso associato a posizioni di sinistra, un’eccezione c’è, ed è il Papa: «La Cristianità è stata divisa per millenni fra una concezione della natura puramente strumentale e una improntata alla condivisione. Il Papa sta percorrendo la seconda strada, e lo dimostra già la scelta di chiamarsi come San Francesco. Mi convince la sua analisi dei cambiamenti climatici e la sua visione profetica, ma l’appello a rispettare la creazione e sprecare meno va affiancato da un piano economico e legislativo».
Sono molte le compagnie hi-tech che si fanno vanto di rispettare la diversità di genere, lottano per la parità di diritti, si inventano iniziative ecologiche. È solo marketing o ancora una volta o la tecnologia è più avanti della politica? «Prendiamo gli alberghi: l’energia è il costo più importante dopo gli stipendi, quindi possiamo credere alla loro sincerità quando dichiarano di voler sprecare meno. Ma a tutti conviene essere attenti a quello che consumano: Apple, ad esempio, ha realizzato data center alimentati solo con energia solare, così non solo non inquina, ma spende anche meno».
E in Italia? «La sharing economy non cancellerà il capitalismo, lo ridefinirà, come la nascita di un bambino cambia i genitori. Anche da voi, dove la diversità culturale è molto più ricca che altrove, ma vi manca la spinta per partire», riflette Rifkin. E va oltre: «La sentenza della Corte Ue che sancisce il diritto all’oblio è il segno che oggi l’Europa è il luogo ideale per l’innovazione: non quella scintillante della Silicon Valley, ma una visione globale del futuro, di come ci percepiamo in quanto essere umani. E su questo avete molto da insegnare». 

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