domenica 14 giugno 2015

Metafore della postmodernità

Copertina anterioreStefano Tani: Lo schermo, l’Alzheimer, lo zombie. Tre metafore del XXI secolo, ombre corte edizioni 

Risvolto

"Il mondo liquido della modernità vede in ogni subacqueo un aspirante annegato e gli preferisce il gabbiano che sfiora l'acqua beccando ciò che galleggia in superficie. La domanda cruciale è se la Rete sarà in grado di fare per la scrittura la cosa fondamentale che la scrittura fece per il dialogo: vivere e far vivere, tramandarsi e tramandare". Cosa accade quando ci sediamo di fronte al computer o digitando guardiamo lo schermo del nostro cellulare? Forse il Narciso del mito potrebbe ancora insegnarci qualcosa a questo proposito. Questo saggio, partendo appunto dalla "metamorfosi" resa famosa da Ovidio e avvalendosi di molti esempi letterari, racconta come il rapporto fra l'uomo e la sua immagine sia mutato nel corso dei secoli e abbia di conseguenza trasformato l'io di chi si guarda; come allo stupore di vedersi riflesso si sia lentamente sostituita l'evasione, la smemoratezza e la perdita di sé; come lo zombie - assieme allo schermo e all'Alzheimer - sia perciò divenuto la metafora polisemantica della postmodernità e di chi sempre meno consapevolmente la popola.




Un servomaccanismo chiamato umano

Riccardo Mazzeo il Manifesto 13.6.2015, 0:01 

«Sia l’uomo che la donna sono da sem­pre abi­tuati a usare i pro­pri arnesi da lavoro affer­ran­doli da die­tro: dalla car­riola alla moto­sega all’aspirapolvere; in genere non si guarda l’attrezzo, per così dire, negli occhi. Come gli uomini e le donne migliaia di anni fa svi­lup­pa­rono sen­ti­menti reci­proci quando ini­zia­rono ad accop­piarsi fron­tal­mente, così oggi stanno svi­lup­pando dipen­denza se non affetto per i pro­pri stru­menti con schermo che devono, quando li usano, neces­sa­ria­mente guar­dare in quell’occhio chia­mato display.” 
In una discus­sione con Zyg­munt Bau­man su Lo schermo, l’Alzheimer, lo zom­bie: tre meta­fore del XXI secolo di Ste­fano Tani (ombre corte), il socio­logo polacco segna­lava che le tre meta­fore indi­vi­duate dall’autore erano ricon­du­ci­bili a una meta-metafora, quella di Nar­ciso. Tutt’e tre sono infatti rife­rite all’Io, sono imbe­vute di auto­re­fe­ren­zia­lità, e testi­mo­niano la sem­pre più accen­tuata foca­liz­za­zione degli esseri umani su se stessi. Bau­man rileva che nel Set­te­cento e nell’Ottocento la meta-metafora era stata quella di Pig­ma­lione, per­so­nag­gio bra­moso di per­fe­zione, di leg­gia­dra costru­zione di qual­cosa di esterno a sé, di un mondo da ren­dere soli­da­mente, dure­vol­mente armo­nioso. Ma se Pig­ma­lione si era inna­mo­rato di una sta­tua di marmo, il suo suc­ces­sore Nar­ciso resta invece attratto, anzi incan­tato, dalla sua imma­gine riflessa nell’acqua, acqua che scorre incre­span­dosi e tra­sfor­man­dosi inces­san­te­mente, quell’acqua che aveva potuto far dire a Era­clito che non ci si bagna mai nello stesso fiume. Quell’acqua insi­diosa, ingan­ne­vole, men­dace che nella nostra con­tem­po­ra­nea e liquida era di con­su­ma­tori avidi di pro­cac­ciarsi sem­pre nuovi beni per sé fini­sce per coin­ci­dere con la radice eti­mo­lo­gica di distrut­tori (il latino con­su­mere signi­fica appunto esau­rire, distrug­gere) e, dato che l’Altro per il con­su­ma­tore è scom­parso dalla scena del mondo visto ormai come un’immensa esten­sione di se stesso, i Nar­cisi ven­gono sedotti dalla loro imma­gine per esserne risuc­chiati, svuo­tati, annientati. 
L’excur­sus di Tani, tito­lare della cat­te­dra di let­te­ra­ture com­pa­rate all’Università di Verona, ha ini­zio nel cam­bio di para­digma dalla lin­gua par­lata alla scrit­tura: Socrate si era fidato di Pla­tone che lo aveva tra­dito scri­vendo i suoi dia­lo­ghi. Certo è che, se non lo avesse fatto, noi non cono­sce­remmo la sua opera. Lo stesso «tra­di­mento» è stato per­pe­trato dall’amico di Kafka che era stato inca­ri­cato di bru­ciare le sue opere e che non riu­scì invece a impe­dirsi di pub­bli­carle. In ogni tra­sfor­ma­zione qual­cosa si perde irri­me­dia­bil­mente ma può avere luogo un gua­da­gno di testi­mo­nianza e di sapere immenso. 
Ma oggi è in atto una nuova tra­sfor­ma­zione più pre­oc­cu­pante: «La domanda cru­ciale è se la Rete sarà in grado di fare per la scrit­tura la cosa fon­da­men­tale che la scrit­tura fece per il dia­logo: vivere e far vivere, tra­man­darsi e tra­man­dare. Le infra­strut­ture elet­tro­ni­che sem­brano tanto fra­gili quanto sono invisibili». 
Tani ricorda inol­tre che il Nar­ciso che viene ricor­dato dai più è quello della sto­ria bassa e mag­gio­ri­ta­ria nar­rata dal Novel­lino, dove l’eroe annega nel ten­ta­tivo di abbrac­ciare la sua imma­gine riflessa, che crede di un altro, men­tre il Nar­ciso «alto» e mino­ri­ta­rio di Ovi­dio si avvede di essersi inna­mo­rato del pro­prio riflesso ma, per la dispe­ra­zione di non potersi con­giun­gere con la pro­pria imma­gine, si con­suma strug­gen­dosi fino alla morte sul bordo dell’acqua. E rie­voca l’osservazione di McLu­han: «il nome Nar­ciso ha la stessa ori­gine di nar­cosi» e avviene così che l’essere umano di oggi «non rico­no­sce i media tec­no­lo­gici da lui creati come esten­sioni del pro­prio corpo; non solo: que­sto non rico­no­scerli come tali con­tri­bui­sce a far­gli svi­lup­pare una forte dipen­denza nei con­fronti di essi, ne diviene servo – un servomeccanismo». 
L’autore nel capi­tolo “Guar­darsi” esa­mina quindi l’azione sog­gio­ga­trice eser­ci­tata dai vari schermi attra­verso le opere let­te­ra­rie che meglio l’hanno messa in luce: dall’io riflesso dallo spec­chio (Car­roll, Sar­tre) all’io ritratto (Allan Poe, Wilde), dall’io foto­gra­fato (Robbe-Grillet, Modiano, Tabuc­chi) all’io al cinema (Joyce, Kafka, Svevo, Piran­dello, Mora­via), dall’io al tele­vi­sore (Chand­ler, DeLillo, Mura­kami) all’io nella Rete. 
Il libro diventa ancor più coin­vol­gente quando in “Svuo­tarsi” affronta la meta­fora dell’Alzheimer («eva­cua­zione dell’io da un corpo bom­bar­dato per tutta la vita da una quan­tità di infor­ma­zioni e richie­ste straor­di­na­rie per inten­sità e per numero rispetto a quelle pre­sen­tate agli espo­nenti delle gene­ra­zioni pre­ce­denti») e poi in “Tra­sfor­marsi” quella dello zombie. 
L’autore descrive la scena del secondo film di George A. Romero sugli zom­bie, Dawn of the Dead (1978), in cui gli zom­bie, sorta di Laz­zari né com­ple­ta­mente morti né tut­ta­via più vera­mente vivi, sen­tono l’irresistibile richiamo del luogo che ama­vano più di ogni altro durante la loro vita, il cen­tro com­mer­ciale. Com­menta Tani: «gli zom­bie sono signi­fi­ca­ti­va­mente e sini­stra­mente i con­su­ma­tori che, putridi e bar­col­lanti, tor­nano nel loro para­diso ter­re­stre, l’unico luogo, fra tutti, di cui hanno man­te­nuto memo­ria. Si potrebbe aggiun­gere che, fin­ché durano la vacil­lante ric­chezza dell’Occidente e lo Stato sociale, i con­su­ma­tori si con­su­mano con­su­mando, per poi finire di essere con­su­mati da altri vogliosi appren­di­sti con­su­ma­tori venuti dall’Est».

Nessun commento: