domenica 21 giugno 2015

Politica, società e realismo nella narrativa italiana contemporanea

Scritture di resistenzaScritture di resistenza. Sguardi politici dalla narrativa italiana contemporanea, a cura di Claudia Boscolo e Stefano Jossa, Carocci, Roma, pagg. 208. € 16,00

Risvolto
Di fronte al recente dibattito sulla realtà, il realismo e il New Realism, la questione dell’impegno politico della scrittura è sembrata subordinata alla capacità dell’autore di interagire con il reale, catturandolo, sottomettendosi o facendosene parte. Questo libro, al contrario, indaga le modalità con cui la narrativa italiana degli ultimi dieci anni ha affrontato la questione a partire da una presa di posizione politica; e lo fa attraverso tre sondaggi critici che esplorano tre forme del “politicamente impegnato” contemporaneo: l’inclusione della storia e della cronaca nell'orizzonte letterario, la narrativa del precariato e i generi che mettono in scena criminalità, complotti e misteri.


scrittori e politica
La narrativa come resistenza

Matteo Di Gesù Domenicale 21 6 2015

Se la consuetudine di contrassegnare gli eventi (anche gli accadimenti culturali, naturalmente, quand’anche non epocali) per segmentare il flusso delle cose che accadono, allo scopo di comprenderle meglio e di organizzarne più efficacemente il discorso, è ancora valida, allora non si dovrebbe rinunciare a salutare con un certo compiacimento la pubblicazione di Scritture di resistenza. Sguardi politici dalla narrativa italiana contemporanea, a cura di Claudia Boscolo e Stefano Jossa. A suscitare un composto entusiasmo è per l’appunto il fatto che questo libro collettivo va interpretato come una cesura rimarchevole rispetto alla voga estetica del Nuovo (New) Realismo (Realism) Italiano (Italian), quantomeno nel campo della critica letteraria (sebbene, stando a quanto sentenziava il più autorevole teorizzatore dell’opzione newrealista, addirittura «nel realismo è incorporata la critica»). Non si tratta certo del primo né dell’unico segnale in controtendenza; ma se operazioni benemerite come la cospicua antologia La terra della prosa, curata da Andrea Cortellessa giusto un anno fa, intendevano tracciare mappe e costellazioni determinate da punti di vista e orientamenti alternativi, ad esempio rispetto a questa sorta di feticismo di ritorno per la forma-romanzo o per le virtù civiche - quando non rivoluzionarie - della mimesi purchessia, la sfida posta dal progetto di Scritture di resistenza è un’altra: giocare sul campo dell’avversario dialettico, provando a interpretare, in una maniera diversa da quella propugnata dai ”realisti”, proprio romanzi, generi e tendenze che fino a questo momento erano considerati la prova incontrovertibile del conclamato declino delle poetiche postmoderniste e del ritorno della letteratura d’impegno (alludo ad esempio alle tesi sostenute da Raffaele Donnarumma in Ipermodernità, per citare uno dei più agguerriti e dei meglio attrezzati campioni dello schieramento opposto). «La questione del realismo è centrale nel dibattito filosofico e letterario attuale, ma a noi interessava esplorare quella zona grigia del realismo che passa per la contestazione e problematizzazione del realismo», si legge nell’Introduzione al testo; «la sfida politica della scrittura non sta nella restituzione testimoniale di ciò che è evidente o almeno narrabile, ma nell’apertura di uno spazio altro, che sposta lo sguardo e complica le cose». I tre saggi che lo compongono, infatti, indagando il rapporto tra la politica e la narrativa italiana degli ultimi dieci anni (ma contestualmente provando ad affrancarsi dal paradigma novecentesco dell’«impegno come rappresentazione della realtà ai fini della sua trasformazione», alternativo a un «impegno che sta solo nella prassi della scrittura»), affrontano alcune questioni cruciali: in che modo (proprio nel senso di strategia finzionale e letteraria) alcuni romanzi hanno raccontato eventi traumatici della storia italiana del Novecento (Finzioni metastoriche e sguardi politici nella narrativa contemporanea, degli stessi Boscolo e Jossa); come è stata rappresentata la mutazione del mondo del lavoro e l’identità dei lavoratori irregolari (Narrazioni della precarietà: il coraggio dell’immaginazione, di Monica Jansen); se e come il romanzo poliziesco e noir italiano ha saputo porre istanze di tipo conoscitivo rispetto alla realtà (La narrativa a tema criminale: poliziesco e noir per una critica politica, di Marco Amici). Tuttavia, come si è detto, in tutti e tre i casi l’intenzione di metodo è quella di analizzare non tanto di cosa parlano i testi presi in esame, ma piuttosto «come parlano di ciò di cui parlano», verificando l’efficacia per l’appunto “politica” delle forme, degli stili, dei linguaggi e la loro forza inquirente. Orizzonte critico indubbiamente non nuovo, questo; ma che la letteratura presupponga statutariamente un altro tasso di formalizzazione, indipendentemente dai contenuti (o, per dirla con Roland Barthes, che l’opera d’arte è ciò che l’uomo strappa al caso) era forse tempo di tornare a dirselo. 
Allo stesso modo valeva la pena recuperare quella nozione di ironia che Linda Hutcheon in A Poetics of Postmodernism indicava quale strumento privilegiato «di una letteratura che punti a evitare tanto la religione del feticcio realistico quanto la rinuncia a uno sguardo sul mondo», come ricordano i due curatori, fino a farne parola-chiave dell’intero progetto.
Se non tutte le premesse formulate nell’Introduzione vengono realizzate compiutamente, lo si deve al fatto che i tre studi ambiscono a dar conto davvero, ciascuno per la sua parte, della produzione narrativa di un decennio (e in effetti riescono a farlo). Nondimeno, da ciascuno di essi si ricavano ipotesi interpretative assai efficaci: la nozione di «narrazione metastorica» da Boscolo e Jossa; la possibilità di delineare una vera e propria estetica, codificata dai nuovi soggetti sociali precari e “intermittenti”, da Jansen; la costitutiva transmedialità del poliziesco contemporaneo, che rivela la sempre più complessa e ambigua dialettica tra “finzionalizzazione” della realtà e “effetto di realtà” delle opere di finzione. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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