giovedì 24 settembre 2015

Immediatezza, odio, false notizie: l'apporto di internet alla estinzione della democrazia moderna e della politica

Charles Seife: Le menzogne del web, Bollati Boringhieri

Risvolto

La tanto decantata «democrazia digitale» si situa appena un passo prima della dittatura degli stupidi e dei creduloni. Serve un antidoto, ed è con questo libro che Charles Seife ci viene in soccorso. Non è che prima di internet gli uomini non mentissero, anzi, però internet ha dato ai mentitori uno strumento fantastico e potente per esercitare liberamente la loro paziente opera distruttiva.
Sia chiaro: internet è uno strumento straordinario. Grazie al Web oggi siamo in grado di fare cose che fino a pochi anni fa sembravano semplicemente impensabili. Ma, nel bene e nel male, internet è anche una gigantesca cassa di risonanza, nuova di zecca e potenzialmente devastante, che può essere facilmente usata dai malintenzionati. E loro la usano, eccome!
Oggi è più che mai necessario capire come può essere usata l’informazione digitale: riconoscendo i segni delle manipolazioni della Rete si può capire come (e perché) la gente sfrutti le proprietà di questo strumento per cercare di alterare la nostra percezione della realtà. Benvenga allora questa guida per gli scettici, un manuale per chi desidera comprendere con chiarezza in che modo la sfera digitale stia influenzando tutti noi. Viviamo in un mondo dove il reale e il virtuale non possono più essere del tutto separati, tanto che a volte c’è ben poca differenza tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Ma non è un gioco indolore: questa «irrealtà virtuale» ha conseguenze che possono essere alquanto spiacevoli.
Con una prosa incalzante, ricca dei più strani esempi della manipolazione che si incontra online, Seife riesce a farci ridere di gusto delle «bufale» più clamorose, anche se – in questo caso – ridere può rivelarsi il miglior antidoto a nostra disposizione per non essere abbindolati e per difendere internet dal lato sbagliato dell’informazione.
l'autore
Charles Seife, laureato in matematica alla Yale University, insegna Giornalismo alla New York University. È corrispondente della rivista «New Scientist» e collabora con il «New York Times», «Wired», «The Economist», «New Scientist», «Science» e «Scientific American». Presso Bollati Boringhieri sono apparsi Zero. La storia di un’idea pericolosa (2002, in edizione tascabile 2013), Alfa e Omega. La ricerca dell’inizio e la fine dell’universo (2005, in edizione tascabile 2015) e La scoperta dell’universo. I misteri del cosmo alla luce della teoria dell’informazione (2011).



Il potere illusorio della folla 

Codici Aperti. «Le menzogne del web» di Charles Seife per Bollati Boringhieri . Diffusione di notizie false, furti di identità, insulti come pratica diffusa. La critica alla Rete con il rimpiano dell’autorità perduta del giornalismo 

Benedetto Vecchi il Manifesto 12.9.2015
C’era un tempo in cui le infor­ma­zioni, una volta assem­blate e ela­bo­rate, erano spac­ciate come veri­tiere. I cer­ti­fi­ca­tori che garan­ti­vano la loro esat­tezza erano inse­riti in un dispo­si­tivo che pre­ve­deva una veri­fica della loro fon­da­tezza e la con­se­guente pos­si­bi­lità di una revi­sione. I gior­na­li­sti le pro­du­ce­vano in base a un deca­logo di regole che ave­vano, nelle gerar­chie esi­stenti nei media, un fat­tore di con­trollo. La catena gerar­chica era com­po­sta da capo­re­dat­tori, diret­tori e financo l’editore poteva inter­ve­nire per modi­fi­care quanto scritto o fil­mato. Nei manuali di sto­ria del gior­na­li­smo sono stati spesi fiumi di inchio­stro sugli stru­menti di auto­go­verno dei media e sull’esistenza di leggi che garan­ti­vano il pub­blico attra­verso un sistema di norme e san­zioni – le que­rele per dif­fa­ma­zione, la richie­sta di ret­ti­fica, l’indennizzo -: fat­tori, tutti, fina­liz­zati alla cor­ret­tezza e alla veri­di­cità dell’informazione stam­pata, tra­smessa in tv o per radio. Anche la ten­sione tra verità e veri­di­cità svol­geva un ruolo non indif­fe­rente per garan­tire l’informazione da mani­po­la­zioni, espli­ci­tando così il dub­bio sull’oggettività e neu­tra­lità della infor­ma­zione dif­fusa. L’autogoverno dei media garan­tiva inol­tre l’esercizio del con­trollo sui poteri vigenti nelle società. 


L’ospite inat­teso 

Que­sta fabula, per quanto con­te­stata e cri­ti­cata, ha legit­ti­mato i media quali stru­menti indi­spen­sa­bili nella pro­du­zione dell’opinione pub­blica. Con la Rete, tutto ciò è andato in fran­tumi. Ogni uomo e donna pos­ses­sore di un com­pu­ter con­nesso al web diven­tava poten­zial­mente un pro­dut­tore di infor­ma­zione. L’autorità dei gior­na­li­sti ne è risul­tata ridi­men­sio­nata, tanto più se in Rete gior­nali, tv e radio pote­vano essere messi in discus­sione e con­te­stati. Il web poteva diven­tare il medium che eser­ci­tava il con­trollo sui cin­que poteri vigenti, com­presa la cri­tica ai media main­stream. Anche in que­sto caso, un’altra favola si è impo­sta nella discus­sione pub­blica: il «potere della folla» garan­tiva forme di cor­re­zione e modi­fica in tempo reale dell’informazione pro­dotta on-line. 
Il potere auto­re­go­la­tivo della folla si è però rive­lato fal­lace. Molti i casi di infor­ma­zioni inven­tate e false dif­fuse; tan­tis­simi gli epi­sodi di imprese e governi nazio­nali che hanno assol­dato «mer­ce­nari» per com­pi­lare voci par­ziali per Wiki­pe­dia, l’esempio più noto del potere della folla in Rete. Impos­si­bile tenere il conto dei furti e delle false iden­tità che carat­te­riz­zano il flusso infor­ma­tivo on-line. Ricor­renti sono gli insulti e le noti­zie false su que­sto o quel per­so­nag­gio pub­blico e tal­volta famoso. Rispetto al «lato oscuro» del cyber­spa­zio va ripri­sti­nata una forma di auto­rità che cer­ti­fi­chi la cor­ret­tezza delle infor­ma­zioni. Ne è con­vinto Char­les Seife, autore del volume Le men­zo­gne del web pub­bli­cato da Bol­lati Borin­ghieri (pp. 239, euro 22). 
Seife ha una for­ma­zione scien­ti­fica – è lau­reato in mate­ma­tica -, ma ha scelto come pro­fes­sione il gior­na­li­smo, arri­vando a inse­gnare gior­na­li­smo alla New York Uni­ver­sity. Nel suo lavoro di redat­tore e divul­ga­tore scien­ti­fico si è misu­rato con la ten­denza a spet­ta­co­la­riz­zare l’informazione scien­ti­fica, inter­ve­nendo spesso con­tro l’enfasi data ad alcune noti­zie riguar­danti ricer­che scien­ti­fi­che che di rivo­lu­zio­na­rio poco ave­vano, anche se erano spac­ciate come riso­lu­tive per la cura di que­sta o quella pato­lo­gia; o come un sov­ver­ti­mento radi­cale delle cono­scenze finora acqui­site in bio­lo­gia, fisica, chi­mica.
Il punto di forza delle sue argo­men­ta­zioni è sem­pre stato la neces­sità di riaf­fer­ma­zione delle capa­cità auto­re­go­la­tive della pro­fes­sione gior­na­li­stica come con­di­zione per le neces­sa­rie veri­fi­che delle noti­zie dif­fuse. Dun­que con­trollo sulle fonti, eser­ci­zio del dub­bio, messa a con­fronto di punti di vista e inter­pre­ta­zioni diver­genti. È dun­que espres­sione di quella «cul­tura» gior­na­li­stica che nel mondo anglo­sas­sone vede nei media gli stru­menti di una infor­ma­zione ogget­tiva della realtà. Com­pren­si­bile, dun­que, la sua dif­fi­denza nei con­fronti del flusso disor­di­nato e cao­tico di infor­ma­zioni e con­te­nuti della Rete. 
In que­sto libro affronta alcuni temi «forti» della net­work cul­ture sta­tu­ni­tense. Il potere della folla, in primo luogo. Seife non disco­no­sce le pos­si­bi­lità di una «demo­cra­tiz­za­zione» dei media deri­vante dal pas­sag­gio del pub­blico da essere con­su­ma­tore pas­sivo a pro­dut­tore attivo di infor­ma­zione. Anzi, ritiene que­sta chance come un segnale di vita­lità del mondo dei media. Ciò che pro­pone tut­ta­via è il ripri­stino dell’intermediazione – il gior­na­li­sta — tra la realtà e la sua rap­pre­sen­ta­zione media­tica. I casi che cita di men­zo­gne e fal­sità vei­co­lati della Rete sono noti. Così come note sono le ope­ra­zioni com­piute dalle imprese per rico­struire un’immagine imma­co­lata dei loro pro­dotti, poli­ti­che azien­dali o per vei­co­lare infor­ma­zioni dan­nose su un con­cor­rente. Non man­cano nei suoi cahiers de doléan­ces le false recen­sioni pub­bli­cate su Ama­zon scritte dagli stessi autori di libri. L’analisi di Seife diventa pru­dente quando si tratta di ana­liz­zare i ten­ta­tivi di con­trollo e di disin­for­ma­zione com­piuti da que­sto e quel governo. E poco dice dell’uso della rete, in una com­mi­stione tra gior­na­li­smo d’inchiesta e mediat­ti­vi­smo, da parte di Wiki­leaks o di Edward Sno­w­den per denun­ciare l’intreccio tra cor­po­ra­tion glo­bali e governi locali per affari ille­citi, sui ten­ta­tivi di depi­stag­gio com­piuti dall’esercito Usa per coprire l’uccisione di civili da parte di sol­dati sta­tu­ni­tensi in zone di guerra; o sulle cor­ri­spon­denze tra amba­sciate e dipar­ti­mento degli esteri . 

Un sistema integrato 

Il pro­blema non è la sot­to­li­nea­tura delle men­zo­gne vei­co­late dalla Rete, ele­mento d’altronde pre­sente anche nei «vec­chi media», ma di come Inter­net abbia ricon­fi­gu­rato l’insieme del sistema infor­ma­tivo. Più che un ele­mento distinto da tele­vi­sione, carta stam­pata e radio, Inter­net è dive­nuta un media com­ple­men­tare ad essi. L’esempio più cal­zante è Twit­ter, dove un numero ster­mi­nato di cin­guet­tii sono dedi­cati al com­mento, alla segna­la­zione di quanto tra­smette il tubo cato­dico, l’etere o quanto viene pub­bli­cato dai quo­ti­diani. Più che un «meta­me­dia», come tal­volta è stato soste­nuto, Twit­ter è inter­fac­cia, canale di comu­ni­ca­zione, piat­ta­forma digi­tale che mette in stretta rela­zione il caos infor­ma­tivo della Rete e i media main­stream. Non è cosa ignota il fatto che i gior­na­li­sti scri­vano, discu­tano tra di loro, men­tre gli utenti del web inter­ven­gono, com­men­tano, cri­ti­cano. È que­sta com­ple­men­ta­rietà tra Rete e «vec­chi media» che ricon­fi­gura i ter­mini della discus­sione sulle verità o le men­zo­gne dif­fuse attra­verso Inter­net. Ciò che rimane sullo sfondo del volume di Char­les Seife è «il modo di pro­du­zione» dell’opinione pub­blica. Dun­que della demo­cra­zia nelle società con­tem­po­ra­nee. Un pro­blema troppo grande da poter essere liqui­dato ripri­sti­nando l’autorità per­duta dei giornalisti. 

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Byung-Chul Han: La razionalità digitale. La fine dell'agire comunicativo, GoWare

Risvolto
Se volete capire i fondamenti teorici del Movimento 5 Stelle, del Partito Pirata e delle espressioni politiche della Rete, dovete leggere questo testo, breve ma fulminante, di Byung-Chul Han, il filosofo tedesco di origine coreana che continua – e innova – la tradizione del pensiero critico della scuola di Francoforte da cui provengono i contributi più interessanti per capire la società contemporanea.
Dalla cultura dell’estremo oriente Byung-Chul Han deriva il termine hikikomori, che designa i giovani giapponesi che si isolano fisicamente e si relazionano solo su Internet, per spiegare lo stato di cose che si è venuto a creare con la Rete e che determina la scomparsa della sfera pubblica, uno spazio individuato da Habermas come luogo dell’agire comunicativo e della politica. A differenza di altri critici apocalittici della Rete, Byung-Chul Han volge in positivo il fenomeno a-sociale degli hikikomori e lo vede come un vero e proprio cambio di paradigma dello stare insieme. In che senso? Tornando a Rousseau e all’alba della politica moderna.
Per soddisfare il vostro stupore, non vi resta che leggere questo ebook: meno di un’ora vi sarà sufficiente per guardare ai fenomeni del nostro tempo come non avreste mai pensato di fare.Byung-Chul Han nasce nel 1959 a Seul, in Corea del Sud. Prima di trasferirsi in Germania negli anni Ottanta, studia metallurgia nel suo paese natale. Una volta giunto in Europa, si dedica però alla filosofia, alla letteratura tedesca e alla teologia cattolica tra le Università di Friburgo e di Monaco.
Proprio a Friburgo, nel 1994, consegue il dottorato con una tesi su Martin Heidegger e, nel 2000, consegue l’abilitazione all’insegnamento. Le sue pubblicazioni si concentrano su diversi temi. Oltre che su Heidegger, ha scritto di cultura orientale e ultimamente le sue analisi si sono concentrate sulla cultura e la società contemporanee. Tra gli altri temi, ha lavorato molto sul concetto di trasparenza e sulla fine dell’“agire comunicativo” come inteso dal filosofo Jürgen Habermas. I suoi libri sono stati tradotti in nove lingue e dal 2012 insegna all’Università d’Arte di Berlino.



Un medium pronto a tutto 
Codici Aperti. « La razionalità digitale» del filosofo Byung Chul Han e un’inchiesta sull’uso di Internet come strumento politico aiutano a demistificare l’idea che il web sia il protopito di una forma inedita di democrazia diretta 

Francesco Antonelli manifesto 12.9.2015, 0:52 

Il rap­porto tra Rete e demo­cra­zia è uno dei feno­meni più stu­diati dalle scienze sociali con­tem­po­ra­nee. Que­sto accade per­ché, sin dal loro appa­rire, que­sti mezzi di comu­ni­ca­zione si carat­te­riz­zano per l’interattività e la pos­si­bi­lità data agli utenti di comu­ni­care senza i tra­di­zio­nali fil­tri alla cir­co­la­zione di opi­nioni e con­te­nuti del pas­sato (mass media, par­titi e intel­let­tuali). Se nell’Ottocento il fan­ta­sma che «s’aggira per l’Europa» era stato il comu­ni­smo, il Nove­cento ha nutrito le pro­prie classi diri­genti del culto della delega e del rifiuto della par­te­ci­pa­zione diretta al governo della cosa pub­blica, sino ad arri­vare ad un punto, alla fine del XX secolo, nel quale il nuovo fan­ta­sma che «s’aggira» è rap­pre­sen­tato dalle ondate di desta­bi­liz­za­zione e di rias­se­sta­mento delle post-democrazie con­tem­po­ra­nee favo­rite dall’ascesa delle tec­no­lo­gie digitali. 

Di desta­bi­liz­za­zione e rias­se­sta­mento si deve par­lare per­ché l’orizzonte della demo­cra­zia diretta, par­te­ci­pa­tiva e deli­be­ra­tiva, come pra­tica di sosti­tu­zione delle tra­di­zio­nali forme di demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva, si è pre­sto rive­lata come uno dei pos­si­bili esiti legati allo svi­luppo della Rete, ma senz’altro né l’unico né tanto meno il più pro­ba­bile: se ad un primo periodo pio­ne­ri­stico di ascesa di Inter­net cor­ri­spon­deva un forte legame tra le cul­ture tecno-libertarie e hac­ker dei primi utenti\sviluppatori della Rete (tra i quali forti erano ancora gli echi della cul­tura del Ses­san­totto sta­tu­ni­tense) e inter­pre­ta­zioni quasi palin­ge­ne­ti­che delle poten­zia­lità demo­cra­ti­che della Rete, si è pas­sati ad una «fase lunga» nella quale la mol­ti­pli­ca­zione delle pra­ti­che poli­ti­che in Rete ha dif­fuso un sostan­ziale pes­si­mi­smo circa la pos­si­bi­lità di rea­liz­zare una demo­cra­zia diretta digi­tale. Più sono cre­sciuti in tutto il mondo gli utenti della Rete più è entrata in crisi la tra­di­zio­nale distin­zione tra vita on-line e vita off-line: il mondo ha fatto irru­zione nella Rete e vice­versa, pol­ve­riz­zando l’avanguardia cul­tu­rale dei primi tempi e mostrando tre lati oscuri. 

L’ora quo­ti­diana d’odio 

Il primo è l’utilizzo pro­pa­gan­di­stico che di essa si può fare, dando l’illusione agli utenti\cittadini di par­te­ci­pare real­mente alla can­di­da­tura e alla vita poli­tica di un lea­der o di un sog­getto poli­tico orga­niz­zato, quando in realtà i sin­goli sono coin­volti in una nuova forma di mani­po­la­zione; una risorsa che può essere uti­liz­zata con grande suc­cesso anche da sog­getti anti-democratici. Il secondo lato oscuro è rap­pre­sen­tato dalla spinta al raf­for­za­mento del potere cari­sma­tico del lea­der, al con­for­mi­smo, al popu­li­smo, alla super­fi­cia­lità del com­mento e del con­te­nuto, con­di­viso tra cer­chie ristrette e auto­re­fe­ren­ziali di simili. L’esito è la mol­ti­pli­ca­zione dell’«ora dell’odio» imma­gi­nata da Orwell in 1984 con­tro il pro­prio nemico (la casta, l’immigrato, l’omosessuale e così via). 
C’è infine l’ascesa masche­rata di una dimen­sione pop e com­mer­ciale dello stesso agire poli­tico: nel momento in cui un utente si esprime su un social net­work ha l’impressione di riaf­fac­ciarsi in una nuova piazza digi­tale, men­tre invece si muove all’interno di uno spa­zio di pro­prietà di una cor­po­ra­tion pri­vata; un luogo dove si può essere espulsi, con­trol­lati e moni­to­rati secondo le regole del diritto pri­vato e non di quello pub­blico. Così, cri­tici auto­re­voli come Jür­gen Haber­mas sosten­gono che lungi dall’essere il nuovo vet­tore della demo­cra­zia diretta, il web 2.0 sarebbe in realtà l’esatto oppo­sto di quella sfera pub­blica che pro­prio il filo­sofo e socio­logo tede­sco vede alla base di qua­lun­que pro­cesso democratico. 
Due libri recen­te­mente pub­bli­cati aiu­tano però ad ela­bo­rare una visione meno uni­la­te­rale del rap­porto tra demo­cra­zia e Rete, mostrando come la realtà sia più com­plessa e sfu­mata: è vero che le «rivo­lu­zioni arabe» par­tite dalla Tuni­sia o i vari movi­menti degli indi­gnati in Occi­dente non hanno pro­dotto un cam­bia­mento in senso radi­cal­mente demo­cra­tico degli Stati. Tut­ta­via, esse hanno dispie­gato attra­verso la Rete un poten­ziale cri­tico in grado di met­tere in crisi la poli­tica tra­di­zio­nale e di get­tare le basi per la nascita di alcuni nuovi sog­getti poli­tici (come «Pode­mos» in Spagna). 
Il primo volume è stato scritto da un gio­vane filo­sofo tede­sco di ori­gine coreana, Byung Chul Han: Razio­na­lità digi­tale. La fine dell’agire comu­ni­ca­tivo (GoWare, Euro 3,74). Il pre­sup­po­sto fon­da­men­tale del libro è quello tipico dei medio­logi post­mo­der­ni­sti: i «bar­bari», vale a dire gli indi­vi­dui anti-sociali e nar­ci­si­sti che abi­tano le Reti, non devono essere respinti dalla poli­tica ma inclusi al suo interno attra­verso un cam­bio di para­digma nelle pra­ti­che demo­cra­ti­che. Per il filo­sofo è pos­si­bile pen­sare e pra­ti­care la demo­cra­zia senza far ricorso ad uno scam­bio comu­ni­ca­tivo e argo­men­ta­tivo come pre­vede la teo­ria di Haber­mas: rie­la­bo­rando il con­cetto di volontà gene­rale pro­po­sto da Rous­seau, si può imma­gi­nare la for­ma­zione di una deci­sione attra­verso il voto espresso su un tema da sin­goli indi­vi­dui isolati. 

L’onda dei nativi digitali 

Que­sta volontà gene­rale è pre-argomentativa e si forma per somma. Se la pro­po­sta di Han si fer­masse qui essa non sarebbe molto ori­gi­nale. Il filo­sofo si spinge però più in là: i sog­getti legit­ti­mati a deci­dere non sareb­bero tutti i cit­ta­dini ma gli insiemi sociali for­mati dagli esperti e dalle per­sone inte­res­sate ad una deter­mi­nata questione. 
Nella visione di Han rie­merge così un’interpretazione eli­ta­ria della volontà gene­rale e sostan­zia­li­sta della demo­cra­zia. Nel rilan­ciare su nuove basi le poten­zia­lità par­te­ci­pa­tive della Rete, Han tra­scura inol­tre sia i peri­coli legati ad una auto-selezione poco isti­tu­zio­na­liz­zata dei vari gruppi deli­be­ra­tivi, sia il pos­si­bile cedi­mento di que­sti insiemi alla pro­pria emo­ti­vità, non mediata da alcuna strut­tura. Il poten­ziale cri­tico della Rete espresso attra­verso com­menti e prese di posi­zione di indi­vi­dui iso­lati è cer­ta­mente una risorsa nella rifor­mu­la­zione di una nuova fun­zione poli­tica ed intel­let­tuale ma que­sto non si tra­sforma auto­ma­ti­ca­mente in una pra­tica nean­che astrat­ta­mente pen­sa­bile come più effi­ciente e giu­sta delle attuali forme di demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva. Pro­prio il tema del poten­ziale cri­tico della Rete e del suo radi­ca­mento in dina­mi­che sociali più ampie, emerge dalla let­tura di un secondo libro: Gio­vani nella rete della poli­tica (Franco Angeli, Euro 25) di Ceci­lia Cri­so­fori, Jacopo Ber­nar­dini, Sara Mas­sa­rini. Attra­verso un lunga e accu­rata inda­gine sui com­menti scritti in Face­book da per­sone com­prese tra i 18 e i 36 anni nei giorni delle ele­zioni del 2013, le tre socio­lo­ghe mostrano, tra l’altro, come la poli­tica vis­suta in Rete da que­sti gio­vani ita­liani si eser­citi attra­verso una cri­tica argo­men­tata e ricca di cita­zioni, delle classi poli­ti­che. Sot­teso a que­sto orien­ta­mento è il con­flitto gene­ra­zio­nale: nella mag­gior parte dei casi, que­sta razio­na­lità cri­tica si dispiega da una presa di distanza nei con­fronti di quell’Italia e di quell’italiano medio appar­te­nente alle gene­ra­zioni più anziane, giu­di­cato come pre­va­ri­ca­tore, esclu­dente, incolto e respon­sa­bile dell’inarrestabile declino del paese. Al con­tra­rio di quello che sostiene Han ma anche lo stesso Haber­mas, per le tre socio­lo­ghe la poli­tica in Rete di que­sti nativi digi­tali riat­tiva non tanto forme già pronte per l’uso di demo­cra­zia diretta, quanto una nuova sfera pub­blica nella quale argo­men­ta­zione ed emo­zioni pub­bli­che (come l’indignazione) si intrec­ciano strettamente. 
In con­clu­sione, il rap­porto tra poli­tica e rete non è deter­mi­nato e non può essere letto né da un punto di vista esclu­si­va­mente otti­mi­sta né pes­si­mi­sta. Al con­tra­rio, essendo coscienti che la più tipica forma di espres­sione di que­sta poli­ti­cità è forse oggi il riar­ti­co­larsi di una fun­zione cri­tica dif­fusa, occorre ricer­care volta per volta le radici sociali e non solo tec­no­lo­gi­che di quei sog­getti che, non tro­vando spesso piena cit­ta­di­nanza nella poli­tica isti­tu­zio­na­liz­zata e nelle rap­pre­sen­ta­zioni mass­me­dia­ti­che, uti­liz­zano le poten­zia­lità del web 2.0, muo­ven­dosi tra mille con­trad­di­zioni (non ultima, il già ricor­dato carat­tere pri­va­ti­stico dei social net­work).

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