La modernità prende forme impreviste. Che fare, allora, cambiare la definizione di moderno o semplicemente voltare pagina e arrendersi alla categoria di postmoderno? La terza possibilità – ampiamente consolidatasi anche in sociologia – è quella di mettere mano a una operazione più complessa. Essa richiede un’analisi più sofisticata che consenta di immaginare più varianti di modernità. Il volume si colloca in quest’ultima prospettiva. Rispetto alle sue più recenti indagini sui rapporti tra politica e religione, tra cristianesimo e modernità, l’Autore tenta un mezzo passo indietro. Non un ritorno al punto di partenza, ma una ripresa e un approfondimento di passaggi e premesse di quelle ricerche. Il mezzo passo indietro non ripudia le conclusioni cui si era giunti, ma approfondisce quanto le precede e le prepara. Quale teoria consente di dar conto di una modernità fatta di tante varianti tanto diverse, in ambito politico come in ambito religioso? La ricognizione teorica, cui si dedica la prima parte del volume, deve contribuire ad affrontare quesiti come quelli della seconda parte. Cosa è stato lo Stato? E ancora: la secolarizzazione è finita?
mercoledì 23 settembre 2015
La variante anglomane della modernità e il dissolvimento dello Stato
Luca Diotallevi: L’ordine imperfetto. Modernizzazione, Stato, secolarizzazione, Rubbettino, Soveria Mannelli, pagg. 256, € 14.00
Risvolto
La modernità prende forme impreviste. Che fare, allora, cambiare la definizione di moderno o semplicemente voltare pagina e arrendersi alla categoria di postmoderno? La terza possibilità – ampiamente consolidatasi anche in sociologia – è quella di mettere mano a una operazione più complessa. Essa richiede un’analisi più sofisticata che consenta di immaginare più varianti di modernità. Il volume si colloca in quest’ultima prospettiva. Rispetto alle sue più recenti indagini sui rapporti tra politica e religione, tra cristianesimo e modernità, l’Autore tenta un mezzo passo indietro. Non un ritorno al punto di partenza, ma una ripresa e un approfondimento di passaggi e premesse di quelle ricerche. Il mezzo passo indietro non ripudia le conclusioni cui si era giunti, ma approfondisce quanto le precede e le prepara. Quale teoria consente di dar conto di una modernità fatta di tante varianti tanto diverse, in ambito politico come in ambito religioso? La ricognizione teorica, cui si dedica la prima parte del volume, deve contribuire ad affrontare quesiti come quelli della seconda parte. Cosa è stato lo Stato? E ancora: la secolarizzazione è finita?
La modernità prende forme impreviste. Che fare, allora, cambiare la definizione di moderno o semplicemente voltare pagina e arrendersi alla categoria di postmoderno? La terza possibilità – ampiamente consolidatasi anche in sociologia – è quella di mettere mano a una operazione più complessa. Essa richiede un’analisi più sofisticata che consenta di immaginare più varianti di modernità. Il volume si colloca in quest’ultima prospettiva. Rispetto alle sue più recenti indagini sui rapporti tra politica e religione, tra cristianesimo e modernità, l’Autore tenta un mezzo passo indietro. Non un ritorno al punto di partenza, ma una ripresa e un approfondimento di passaggi e premesse di quelle ricerche. Il mezzo passo indietro non ripudia le conclusioni cui si era giunti, ma approfondisce quanto le precede e le prepara. Quale teoria consente di dar conto di una modernità fatta di tante varianti tanto diverse, in ambito politico come in ambito religioso? La ricognizione teorica, cui si dedica la prima parte del volume, deve contribuire ad affrontare quesiti come quelli della seconda parte. Cosa è stato lo Stato? E ancora: la secolarizzazione è finita?
L’illusione di costruire la società
Alberto Mingardi Domenicale 20 9 2015
I recenti tentativi di “state building” hanno fallito, e «dal Belgio alla Grecia, dall’Iraq alla Siria, a tanta parte dell’Africa, vanno in crisi anche gli Stati inventati nell’epoca d’oro di quella costruzione sociale». È possibile che non siamo più capaci “a fare gli Stati”?
La notizia della morte dello Stato è stata fortemente esagerata: il Leviatano presunto agonizzante continua a ingurgitare metà del prodotto interno lordo dei Paesi occidentali. Ma se serra la presa sui redditi dei suoi sudditi come non mai, non è detto che quest’istituzione non stia attraversando una crisi profonda. Siamo anzi forse circondati da dibattiti e precise scelte di policy che rappresentano il tentativo di rispondere con un ritocco di superficie, a quello che invece è un problema di struttura.
Caricandosi sulle spalle la lezione di Niklas Luhmann, col suo nuovo libro Luca Diotallevi prova a sciogliere il trucco. L’ordine imperfetto è un sentiero tutto in salita per il non specialista, ma conduce a un panorama notevole. Per Diotallevi, la fabbrica del moderno produce «differenziazione sociale». Questa crescente differenziazione è ciò che ci dà la complessità in cui viviamo: l’articolazione delle società è sempre più ramificata, le domande a cui dare risposta diventano, di conseguenza, sempre più varie. Per soddisfarle, servono «organizzazioni», realtà istituzionali ben definite e orientate al raggiungimento di un particolare fine. Peccato che «nessun sottosistema sociale, e dunque meno che mai il sistema della società, può essere organizzato». Una singola «organizzazione», per quanto ben congegnata, non può bastare: proprio perché plurali, e continuamente cangianti, sono bisogni e preferenze.
La società è un gigantesco puzzle restio a farsi comporre sulla base di un disegno predeterminato. Per questo non possiamo più leggere la modernità come una piramide al vertice del quale sta lo Stato. Il “primato della politica” coincide con quel «progetto prima e altrimenti letteralmente impensabile di organizzare l’intera società» che coincide con lo Stato moderno.
Il destino dello Stato sembrava essere il livellamento del territorio sul quale rivendicava il monopolio della violenza. Nel mondo degli Stati, quello che giunge al proprio massimo, si fa per dire, “splendore” con le due guerre mondiali, la differenza saliente è quella che sta scritta sul passaporto. Ma quando capitali e persone riacquistano, sia pure con tutti i limiti del caso, la loro libertà di movimento, ecco che sono altre ad apparire come le differenze più salienti. La globalizzazione segna la «rivincita dei luoghi». Ritrovano centralità le città. In parte, ciò avviene perché non sta scritto nella pietra che dimensioni e forma organizzativa dello Stato nazionale siano quelle ottimali, per rispondere alle diverse domande di cui si fa carico. In parte, è il riaccendersi di una antica conflittualità, «fra principio statuale e principio civico». Paradossalmente, i grandi Stati nazionali sono esclusivi, fondati su un noi-contro-di-loro. Al contrario, le città sono inclusive: da sempre punto di passaggio e piazza per o scambio e per il confronto.
Lo Stato moderno ci è entrato talmente nelle viscere, che di fatto non riusciamo nemmeno a pensare un mondo “dopo” di esso. La sua vittoria più straordinaria è forse averci chiuso gli occhi su quelle che non sono sfumature né variazioni sul tema della statualità. Diotallevi invita a guardare all’Inghilterra come altri, prima di lui, suggerivano di avvicinarsi alle esperienze della Svizzera, delle Province Unite, della Lega Anseatica. C’è un’«altra metà del cielo» nella modernità, suggeriva Gianfranco Miglio. Con questo libro, Luca Diotallevi calibra il telescopio per osservarla.
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