giovedì 15 ottobre 2015

Carlo Codevilla dall'Italia a Mosca a New York

La spia di Stalin
Roberto Lodigiani: La spia di Stalin. La vera storia di Carlo Codevilla, Mursia, pp. 140, euro 15

Risvolto
Estate 1921. A Mosca, capitale della giovane repubblica dei Soviet, arriva uno studente italiano. Si chiama Carlo Codevilla, ha 21 anni ed è originario di Tortona, cittadina del Basso Piemonte. In Italia è ricercato per l'omicidio di due fascisti, ma se questo ne fa un fuorilegge nel suo Paese, diventa una nota di merito nell'Unione Sovietica. Viene subito chiamato a lavorare nell'apparato dell'Internazionale comunista e, dopo pochi mesi di apprendistato, è inviato in Germania, con l'incarico di trovare armi da far recapitare clandestinamente in Italia. Inizia così la sua brillante carriera di agente del Comintern e dei servizi segreti sovietici. Una carriera che lo porterà in Spagna durante la guerra civile fra repubblicani e franchisti, in Francia a caccia del doppiogiochista Eros Vecchi e dell'ex ufficiale zarista Miller, in Messico nei giorni dell'assassinio di Leone Trotsky, per poi indossare l'uniforme di generale dell'Armata Rossa durante la Seconda guerra mondiale. La sua storia viene raccontata in questo libro come in un romanzo, fino alla morte misteriosa a New York nel 1950. Una vita avventurosa ma segnata dai compromessi e dalla bufera delle repressioni staliniane che avrebbe spazzato via anche i suoi vecchi compagni di lotta, scuotendo la sua fede nel comunismo.

Roberto Lodigiani, nato nel 1962 a Broni (Pavia), è giornalista del quotidiano «La Provincia pavese». Laureato in Lettere Moderne all’Università degli Studi di Pavia, è stato allievo del professor Giulio Guderzo. Da anni si occupa di storia contemporanea, in particolare di fascismo, antifascismo, Seconda guerra mondiale e Resistenza.


ROBERTO LODIGIANI


L’agente segreto italiano agli ordini di Stalin 

Una biografia ricostruisce le avventure di Carlo Codevilla, spia dell’Urss in Spagna, Francia e Messico. Fino a combattere la Seconda guerra mondiale come generale dell’Armata Rossa 
5 ott 2015  Libero SIMONE PALIAGA 

La campagna di Russia è alla battute iniziali. Siamo nel settembre del 1941 a Gorlovka, importante centro industriale e minerario nel bacino del Donez. Due bersaglieri italiani in perlustrazione di notte sono catturati. Scortati nella stanza del comandante sovietico, illuminata appena dalla luce fioca di una lampadina appesa al soffitto, i due vengono accolti dalle sue parole, pronunciate in perfetto italiano. Lo sbigottimento che si dipinge sul loro volto è enorme. E si accresce quando scoprono che l’ufficiale che hanno davanti è originario di Tortona, come uno di loro. Il nome del generale italiano ma con le mostrine sovietiche, oggi dimenticato nei faldoni polverosi della storia, è Carlo Codevilla. Ora la sua vicenda è raccontata con vivace piglio giornalistico da Roberto Lodigiani ne La spia di Stalin. La vera storia di Carlo Codevilla (Mursia, pp. 140, euro 15).  
La biografia di Codevilla è quantomeno romanzesca. Nel parapiglia del «Biennio rosso», nell’immediato primo dopoguerra, da uno scontro tra Codevilla e i suoi compagni comunisti e una squadra fascista ci scappa il morto. Due per l’esattezza. Le indagini cadono subito su di lui che, onde evitare il peggio, si dà alla fuga. Costretto nel 1921 a scappare dall’Italia, attraverso l’Austria ripara nella Russia rivoluzionaria. In quel momento Codevilla non pensa che davanti a sé stia per schiudersi una carriera folgorante. L’entusiasmo che lo coglie nella giovane Repubblica dei Soviet è smisurato. L’impressione di trovarsi laddove la storia si crea è forte. Se poi la sorte lo porta a diventare amico di Anatoli Lunacharski, allora commissario all’Istruzione, e a frequentare il salotto politico di Lev Trotsky il gioco è fatto. 
Nel giro di pochi mesi Codevilla si trova coinvolto nelle attività dell’Internazionale comunista. Viene subito inviato in Germania per fare incetta di armi, che in quel tempo non mancavano affatto, e spedirle in Italia. A Vienna poi, qualche tempo dopo, spalleggia Antonio Gramsci che prova ad allestire nella capitale austriaca il congresso del neonato partito comunista italiano. Ma i rapporti tra i due non devono essere rosei. La natura taciturna e filosofica dell’uno, e quella operativa e pragmatica dell’altro non facilitano la convivenza. I vertici sovietici continuano però a essere soddisfatti dell’operato di Codevilla. Così viene fatto rientrare a Mosca e iscritto a un corso del NKVD, il futuro KGB, per impartirgli i fondamenti necessari e diventare una buona spia. Da allora la sua carriera diventa inarrestabile. 
Sono gli anni in cui in Urss imperversa la lotta per la successione. Dopo la morte di Lenin, chi riesce a affermarsi e a prendere le redini del Paese dei soviet è il maresciallo georgiano Stalin. È il tempo delle purghe che lasciano dietro di sé la scia di sangue della vecchia nomenklatura. Codevilla, benché amico di Trotsky e di altri maggiorenti non ben visti da Stalin, riesce a districarsi. Come sia riuscito a farcela resta oscuro, ma sappiamo, dai documenti, che non profonde ingenti energie per soccorrere i suoi vecchi compagni di partito invisi al nuovo governo. 
Le missioni di Codevilla negli anni staliniani diventano via via più impegnative. In Spagna, dal 1935, in prossimità della guerra civile, tenta di coalizzare le forze comuniste isolando anarchici e trotzkisti. Allorché però all’orizzonte si profila la vittoria del generale Franco rientra a Mosca. Qualche anno dopo lo si ritrova a Parigi, coinvolto nel rapimento, poi in realtà conclusosi con la morte, del generale zarista Evgenii Karlovich Miller, acerrimo nemico dei bolscevichi e profugo come tanti altri russi bianchi nella Ville Lumière. L’obiettivo dell’operazione, questa volta, è raggiunto solo in parte, tuttavia al rientro al quartier generale lo aspetta uno dei maggiori riconoscimenti, l’Ordine della Stella Rossa. 
Con il passare degli anni le onorificenze continuano ad arrivare, ma a spegnersi in Codevilla è l’entusiasmo iniziale. Eppure la svolta avviene con l’invasione tedesca, quando viene cooptato all’interno dell’Armata Rossa con il grado di generale. Forse però quello che si aspettava era altro. Che non tarda ad arrivare  
Nel 1944, quando i sovietici avanzano verso Berlino, il nuovo capo del NKVD, Lavrentij Berija, lo manda a Washington al seguito di una missione incaricata di trattare gli aiuti economici per lo sforzo bellico. Dagli Usa però non farà più ritorno, facendo suo il mito americano del self made man. Tradimento dell’ideale comunista o doppio gioco contro il prossimo nemico della Guerra Fredda?

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