domenica 4 ottobre 2015

Il festival dei post-operaisti più o meno negrieri: tutti felici, belli, attivi e mai rancorosi o con una punta d'invidia

Alla ricerca di possibili vie di fuga dall’epoca delle passioni tristi 
ìIncontri. «Sovvertire l’infelicità», un seminario a Milano. Tra impotenza, derive localiste e sconfitta. Il contraccolpo sui movimenti sociali del terzo memorandum imposto dall’Unione europea alla Grecia 
Vecchi Manifesto 3.10.2015
L’infelicità occupa un posto d’onore nell’era della pas­sioni tri­sti. È una dimen­sione esi­sten­ziale, ma anche sociale lad­dove si pre­senta come tratto distin­tivo dello stare in società. Accanto al ran­core, al risen­ti­mento, al disin­canto, l’infelicità si mani­fe­sta come assenza di alter­na­tive a una con­di­zione dove lo spa­zio del desi­de­rio è rele­gato ai mar­gini della quo­ti­dia­nità, scan­dita da una eterna ripe­ti­zione del già noto. Sarebbe mate­ria da lasciare a psi­coa­na­li­sti e filo­sofi della morale, se il suo oppo­sto — l’infelicità — non fosse il tratto distin­tivo delle rela­zioni sociali. 

Daniel Bena­sa­yag, psi­chia­tra e filo­sofo argen­tino di nascita, ma fran­cese di ado­zione, avver­tiva già nel libro L’epoca delle pas­sioni tri­sti che l’infelicità è mate­ria vivente di una poli­tica radi­cale della tra­sfor­ma­zione, tesa a supe­rare, sem­pre per rima­nere nel campo delle cita­zioni buone per ogni occa­sione, «l’inverno del nostro scon­tento». Il pro­blema diventa più cogente quando anche i movi­menti sociali che espri­mono pro­prio quella poli­tica radi­cale mani­fe­stano la pro­pria «infe­li­cità», ripro­po­nendo stan­ca­mente moda­lità di azione e oriz­zonti tema­tici che non rie­scono a fare i conti con le pas­sioni tristi. 
Dun­que l’infelicità come ter­reno di inda­gine e inchie­sta su un realtà sociale risuc­chiata nel vor­tice di una crisi eco­no­mica ormai per­ma­nente, al punto che l’espressione «sta­gna­zione seco­lare» è ormai frase ricor­rente nel les­sico poli­tico main­stream per segna­lare che poco si può fare per uscirne fuori. Per il gruppo di ricerca mili­tante Effi­mera l’infelicità è invece la scom­messa da gio­care per uscire da una situa­zione di para­lisi, ina­zione dei movi­menti sociali. E per que­sto, da oggi, hanno invi­tato filo­sofi, eco­no­mi­sti, mili­tanti a discu­terne in un semi­na­rio mila­nese. L’incontro, che si svol­gerà a par­tire dalle 10 presso il Naba (Nuova acca­de­mia di belle arti, Via Carlo Dar­win, 20, Zona Tici­nese), ha il titolo pro­gram­ma­tico di «Sov­ver­tire l’infelicità» con un sot­to­ti­tolo altret­tanto espli­ca­tivo di «Ana­lisi di un fal­li­mento e mappa delle vie di fuga esi­sten­ziali col­let­tive». Tra i par­te­ci­panti, Andrea Fuma­galli, Cri­stina Morini, Chri­stian Marazzi, Fran­ce­sca Coin e Franco Bifo Berardi. (Il pro­gramma com­pleto è con­sul­ta­bile nel sito Inter­net: effi​mera​.org). 
Il fal­li­mento dal quale par­tire è quello del primo governo di Syriza. L’imposizione dell’Unione euro­pea del terzo memo­ran­dum alla Gre­cia ha messo in evi­denza, secondo gli orga­niz­za­tori, l’impossibilità di una fuo­riu­scita dalle poli­ti­che di auste­rità ope­rando all’interno delle isti­tu­zioni con­ti­nen­tali. Ma il fal­li­mento del primo governo di Syriza è anche l’esempio più ecla­tante dello smacco poli­tico che i movi­menti sociali quando hanno pun­tato le loro carte sull’apertura di una fase poli­tica nuova alla luce delle con­trad­di­zioni interne all’Unione europea. 
L’austerità è un boc­cone indi­ge­sto per molti dei paesi ade­renti all’Unione euro­pea. Nella loco­mo­tiva tede­sca si coglie­vano malu­mori nella Spd e nello steso par­tito di Angela Mer­kel. In Spa­gna la cre­scita di Pode­mos sem­brava un dato ormai acqui­sito. In Fran­cia, la neces­sità di un’altra poli­tica eco­no­mica era nell’agenda poli­tica dopo i suc­cessi elet­to­rali del Front Natio­nal, che ha fatto della cri­tica all’euro la sua ban­diera. Il primo governo di Ale­xis Tsi­pras sem­brava l’occasione per dare forma poli­tica all’opzione di un ine­lu­di­bile oriz­zonte euro­pea all’azione poli­tica. Non è andata così. Da qui il bac­klash per i movi­menti sociali. Da qui la con­vin­zione degli orga­niz­za­tori sul fal­li­mento della pro­spet­tiva poli­tica europea. 
Più rea­li­sti­ca­mente il caso greco è l’espressione pro­prio di quelle muta­zioni del Poli­tico che ha nell’esercizio di una sovra­nità impe­riale da parte dell’Unione euro­pea l’esempio più evi­dente di una per­dita di cen­tra­lità della sovra­nità nazio­nale. Ma quello che la vicenda greca ha reso sem­mai ancor più evi­dente è la neces­sità di una pro­spet­tiva poli­tica euro­pea dei movi­menti, per­ché la con­qui­sta del governo non signi­fica auto­ma­ti­ca­mente la con­qui­sta del potere. I governi nazio­nali sono sem­mai nodi di una sovra­nità poli­tica euro­pea che pos­sono essere incal­zati per quelle poli­ti­che di redi­stri­bu­zione del red­dito e di affer­ma­zione dei diritti sociali di cit­ta­di­nanza su scala con­ti­nen­tale. Come ha affer­mato in un inter­vento l’economista Chri­stian Marazzi la posta in gioco, a livello euro­peo, è un «Quan­ti­ta­tive easing per la mol­ti­tu­dine» A meno che non si possa imma­gi­nare vie d’uscite dai dik­tat dell’Unione euro­pea che hanno pro­prio nello spa­zio poli­tico nazio­nale il loro con­te­sto. Sarebbe però come uscire da una gab­bia della «dit­ta­tura finan­zia­ria» — espres­sione usata in uno dei mate­riali pre­pa­ra­tori del con­ve­gno — per entrare nello spa­zio ras­si­cu­rante del locale. Dove la pos­si­bi­lità di sov­ver­tire l’infelicità hanno una bassa per­cen­tuale di riuscita.

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