sabato 17 ottobre 2015

Il libro di Luciano Gallino su denaro, debito e crisi

Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti
Repubblica occupa tutto lo spettro della sfera ideologica: dall'apologia del neoliberalismo alla sua critica. Gallino poteva accorgersi prima di queste cose, ben evidenti da diversi decenni [SGA].

Luciano Gallino: Il denaro, il debito e la doppia crisi, Einaudi, pagg. 200, euro 18

Risvolto
"Quel che vorrei provare a raccontarvi è per certi versi la storia di una sconfitta politica, sociale, morale. Abbiamo visto scomparire due idee e relative pratiche che giudicavamo fondamentali: l'idea di uguaglianza, e quella di pensiero critico". Causa fondamentale della sconfitta dell'uguaglianza è stata, per Gallino, dagli anni Ottanta in poi, la doppia crisi, del capitalismo e del sistema ecologico, strettamente collegate tra loro. La stessa crisi del capitalismo ha molte facce: l'incapacità di vendere tutto quello che produce; la riduzione drastica dei produttori di beni e servizi; il parallelo sviluppo del sistema finanziario al di là di ogni limite. A questa crisi il capitalismo ha reagito accrescendo lo sfruttamento irresponsabile dei sistemi che sostengono la vita - il "sistema ecologico"-. Il tutto con il ferreo sostegno di un'ideologia, il neoliberalesimo, che riducendo tutti a mere macchine contabili dà corpo a una povertà dell'azione politica quale non si era forse mai vista nella storia.


Cari nipoti vi racconto la nostra crisi 
Con il terremoto finanziario ha perso l’idea di uguaglianza e ha vinto una diffusa stupidità Il saggio di Luciano Gallino
LUCIANO GALLINO Repubblica 1610 2015
Quel che vorrei provare a raccontarvi, cari nipoti, è per certi versi la storia di una sconfitta politica, sociale, morale: che è la mia, ma è anche la vostra. Con la differenza che voi dovreste avere il tempo e le energie per porre rimedio al disastro che sta affondando il nostro paese, insieme con altri paesi di quella che doveva essere l’Unione europea. A ogni sconfitta corrisponde ovviamente la vittoria di qualcun altro. In realtà noi siamo stati battuti due volte. Abbiamo visto scomparire due idee e relative pratiche che giudicavamo fondamentali: l’idea di uguaglianza e quella di pensiero critico. Ad aggravare queste perdite si è aggiunta, come se non bastasse, la vittoria della stupidità. L’idea di uguaglianza, anzitutto politica, si è affermata con la Rivoluzione francese. Essa dice che ogni cittadino gode di diritti inalienabili, indipen-denti dal suo censo o posizione
sociale, e ogni governo ha il dovere di adoperarsi per fare in modo che essi siano realmente esigibili da ciascuno. La marcia di tale idea è stata per oltre due secoli faticosa e incerta, ma nell’insieme ha avuto esiti straordinari. La facoltà di eleggere i propri rappresentanti in Parlamento; la formazione di sindacati liberi; la graduale estensione del voto sino a includere tutti i cittadini; la tassazione progressiva; l’ingresso del diritto nei luoghi di lavoro; l’istruzione libera e gratuita per tutti sino all’università; la realizzazione dello stato sociale; i limiti posti alle attività speculative della finanza: è una lunga storia, quella che vede il principio di uguaglianza diventare vita quotidiana per l’intera popolazione.
Due periodi furono specialmente favorevoli a tale marcia: gli anni Trenta sotto la presidenza Roosevelt, negli Stati Uniti, che videro un grande rafforzamento dei sindacati e una severa regolazione della finanza, e i primi trent’anni dopo la Seconda guerra mondiale, in quasi tutti gli Stati europei, Italia compresa. Poi, sul finire degli anni Settanta, la ristretta quota di popolazione che per generazioni aveva subito l’attacco dell’idea e delle politiche di uguaglianza decise che ne aveva abbastanza. Si tratta della classe dei personaggi superpotenti e super- ricchi che controllano la finanza, la politica, i media, che dopo i moti di piazza anti Wall Street di anni recenti si usa stimare nell’1 per cento: un dato che le statistiche sulla distribuzione della ricchezza confermano. Essa iniziò quindi un feroce quanto sistematico attacco a qualsiasi cosa avesse attinenza con l’uguaglianza, previa una preparazione che risaliva addirittura agli anni Quaranta. (…) Quando parlo di pensiero critico, che costituisce la perdita numero due, mi riferisco a una corrente di pensiero che oltre al soggiacente ordine sociale mette in discussione le rappresentazioni della società diffuse dal sistema politico, dai principali attori economici, dalla cultura dominante nelle sue varie espressioni, dai media all’accademia. La tesi da cui tale corrente è (o era) animata è che le rappresentazioni della società predominanti in un paese distorcono la realtà al fine di legittimare l’ordine esistente a favore delle élite o classi che formano tra l’1 e il 10 per cento della popolazione. È una tesi che ha una lunga storia. È stata formulata tra i primi da Machiavelli; ha toccato un vertice di spessore e complessità con Marx e poi con la teoria critica della società, elaborata dalla Scuola di Francoforte tra gli anni Venti e Cinquanta; si è prolungata in Italia con Gramsci e in Francia con Bourdieu e Foucault, sin quasi ai giorni nostri.
La suddetta tesi trova una clamorosa conferma nella società contemporanea, a cominciare dalla nostra. La rappresentazione di quest’ultima che vi propongono i giornali, la Tv, i discorsi dei politici, le scienze economiche, la stessa scuola, l’università, sono soltanto contraffazioni della realtà, elaborate a uso e consumo delle classi dominanti. È la funzione che svolgono quotidianamente le dottrine neoliberali. E guai se uno osa contraddirle. Il richiamo alle distorsioni che l’enorme aumento della disuguaglianza ha prodotto in campo sociale, politico, morale, civile, intellettuale viene confutato con l’idea che l’arricchimento dei ricchi solleva tutte le barche – laddove un minimo di riguardo all’evidenza empirica mostra che nel migliore dei casi, ha scritto un economista americano, esso solleva soltanto gli yacht. (…) Al posto del pensiero critico ci ritroviamo, come si è detto, con l’egemonia dell’ideologia neoliberale, la sua vincitrice. È un’ideologia strettamente connessa all’irresistibile ascesa della stupidità al potere. È l’impalcatura delle teorie e delle azioni che prima hanno quasi portato al tracollo l’economia mondiale, poi hanno imposto alla Ue politiche di austerità devastanti per rimediare a una crisi che aveva tutt’altre cause – cioè la stagnazione inarrestabile dell’economia capitalistica, il tentativo di porvi rimedio mediante un accrescimento patologico della finanza, la volontà di riconquista del potere da parte delle classi dominanti. Oltre alla crisi ecologica, che potrebbe essere giunta a un punto di non ritorno.
Resta pur vero che senza l’apporto di una dose massiccia di stupidità da parte dei governanti, dei politici, e ahimè di una porzione non piccola di tutti noi, le teorie economiche neoliberali non avrebbero mai potuto affermarsi nella misura sconsiderata che abbiamo sott’occhio. (…) Pensate a quanto è successo nell’autunno 2014. All’epoca i disoccupati sono oltre tre milioni. I giovani senza lavoro sfiorano il 45 per cento. La base produttiva ha perso un quarto del suo potenziale. Il Pil ha perso 10-11 punti rispetto all’ultimo anno prima della crisi. E che fa il governo? Si sbraccia allo scopo di introdurre nella legislazione sul lavoro nuove norme che facilitino il licenziamento, riprendendo idee e rapporti dell’Ocse di almeno vent’anni prima. Come non concludere che siamo dinanzi a casi conclamati di stupidità? (o forse di malafede: discutere di come licenziare con meno intralci legali è anche un modo per non discutere dei problemi di cui sopra. Lascio a voi il giudizio).

Un mondo prigioniero del modello Wal Mart
SAGGI. «Il denaro, il debito e la doppia crisi» di Luciano Gallino per Einaudi. Bassi salari e welfare state al lumicino. Uno spietato j’accuse delle politiche sociali neoliberiste Roberto Ciccarelli il Manifesto 7.11.2015, 0:38
Il denaro, il debito e la dop­pia crisi di Luciano Gal­lino (Einaudi, pp. 200, 18 euro) è la terza parte di una ricerca sulle ori­gini della crisi e le poli­ti­che dell’austerità che si pre­senta sotto la forma con­fi­den­ziale di una lunga let­tera ai nipoti e uno spie­tato j’accuse con­tro la classe poli­tica più igno­rante e inca­pace in Europa: quella italiana.
La scrit­tura di Gal­lino è come un die­sel: è tesa come una corda di vio­lino verso un appello al futuro; con un mar­tello col­pi­sce tutti i luo­ghi comuni ideo­lo­gici mone­ta­ri­sti e i grot­te­schi tic discor­sivi di una malin­tesa moder­nità che diven­tano armi della poli­tica neo­li­be­ri­sta e auste­ri­ta­ria; giunge infine al giu­di­zio poli­tico che si fa mor­dace ope­ra­zione di com­bat­ti­mento dia­let­tico con­tro l’oligarchia al potere.
La tri­lo­gia com­po­sta da Finan­z­ca­pi­ta­li­smo e da Il colpo di Stato di ban­che e governi, da leg­gere insieme a libri come Attacco allo stato sociale e Vite rin­viate, lo scan­dalo del lavoro pre­ca­rio, trova un com­pi­mento nella defi­ni­zione dei linea­menti del «pen­siero cri­tico», oscu­rato e rimosso dalle riforme della scuola e dell’università Moratti-Gelmini e imba­stite da quel con­cen­trato di idio­zie mer­can­ti­li­sti­che della legge «di sini­stra» Berlinguer.

Una morale casalinga
«La con­ce­zione dell’essere umano per­se­guita con dram­ma­tica effi­ca­cia dal pen­siero neo­li­be­rale — scrive con fero­cia Gal­lino — ha lo spes­sore morale e intel­let­tuale di un oro­lo­gio a cucù». Ne emerge il ritratto della stu­pi­dità delle nuove classi domi­nanti. La stu­pi­dità è il risul­tato morale e intel­let­tuale di chi ha assunto acri­ti­ca­mente l’idea della fun­zione gover­na­men­tale della finanza e delle ban­che; del verbo divino di teo­rie eco­no­mi­che smen­tite dalla vio­lenza della crisi nel 2008; della morale della «casa­linga sveva» Angela Mer­kel che «spende sol­tanto quel che incassa e non fa debiti».
Stu­pido, oggi, è con­fon­dere le ori­gini della crisi, adde­bi­tan­dole all’aumento della spesa sociale (che invece dimi­nuirà di 17 miliardi in Ita­lia fino al 2019) e non alla crisi ban­ca­ria che si finan­zia suc­chiando la risorse dal lavoro vivo, dal Wel­fare, dall’ecosistema e dalla vita. «Non è la spesa sociale, bensì la spesa per inte­ressi a stran­go­lare il bilan­cio pub­blico e a limi­tare il ruolo dello Stato nell’economia pro­dut­tiva» scrive Gallino.
Nel libro sono rico­struiti i pas­saggi base dall’ancora breve, ma effe­rata espe­rienza di governo di Mat­teo Renzi e del suo Pd-partito della Nazione. Si pro­cede per casi, con dati e pro­spet­tive. Pren­diamo il Jobs Act: «All’epoca i disoc­cu­pati erano oltre 3 milioni, i gio­vani senza lavoro sfio­ra­vano il 45%, il Pil aveva perso 10–11 punti – ricorda iro­ni­ca­mente Gal­lino – E che fa il governo? Intro­duce nuove norme per faci­li­tare il licen­zia­mento ripren­dendo idee dell’Ocse vec­chie di vent’anni. Come non con­clu­dere che siamo dinanzi a casi con­cla­mati di stupidità».
Il ren­ziano medio, in for­mato social net­work e da gior­nale «intel­li­gente», rispon­derà con la pozione magica: siete gufi, oggi c’è la cre­scita, l’occupazione svetta anche se non ancora abba­stanza, il pil aumenta, le imprese assu­mono con gli sgravi pagati dallo Stato. Il libro di Gal­lino è un cac­cia­vite per smon­tare que­sta corazza di sta­gno. Ciò che aumenta è il lavoro pre­ca­rio; il sot­to­sa­la­riato, la pau­pe­riz­za­zione delle classi medie, le nuove forme di povertà.
È il modello «Wal-Mart»: si acqui­stano merci a basso prezzo con salari mise­ra­bili e lavoro a ter­mine. Gal­lino rac­conta il mondo di milioni di wor­king poors che, almeno in Ita­lia, non hanno nem­meno il sala­rio minimo, né il red­dito minimo. Misure che altrove per­met­tono un livello di soprav­vi­venza e, in Inghil­terra, sono con­tra­state dalle imprese per­ché il con­ser­va­tore Came­ron ha deciso di aumen­tre il sala­rio minimo in cam­bio della distru­zione defi­ni­tiva del Wel­fare. Chi è povero, o lavora, deve con­ti­nuare a vivere in maniera inde­gna. E morire peg­gio. Senza pen­sione né tutele. E, se pro­prio ne ha biso­gno, le com­pra. Que­sta è la legge, oggi.
Quello di Renzi è il «quarto governo del disa­stro» in Ita­lia, dove la crisi è la peg­giore di tutti i paesi euro­pei, dopo quella greca. «Hanno mani­fe­stato la mag­giore inca­pa­cità di governo dell’economia» scrive il socio­logo tori­nese. E in più si avviano, a grandi passi, feli­ce­mente acce­cati, verso la cata­strofe di un’economia della sta­gna­zione dove i pro­fitti cre­sce­ranno a dismi­sura e non esi­sterà un metro per misu­rare le disu­gua­glianze così prodotte.

Schiavi del mini-job
Nel nostro paese il «modello Wal Mart» è stato adat­tato a quello tede­sco, «uno dei paesi più inu­mani al mondo», com­menta Gal­lino. Con le «riforme» dei social­de­mo­cra­tici di Schroe­der ha pro­dotto dieci milioni di schiavi con i mini-job e una società della «mode­ra­zione sala­riale» che ha tagliato gli sti­pendi del 20%, peg­gio­rando la domanda e favo­rendo la ten­denza alla defla­zione in tutta Europa. Quella che Dra­ghi sta com­bat­tendo con il QE per le ban­che e la bolla dei titoli di stato, dopo averla prodotta.
Un’alternativa è ardua da costruire in que­ste con­di­zioni. La stu­pi­dità del potere domina e pro­li­fera tra i subor­di­nati. «Pen­sa­toi neo­li­be­rali lavo­rano giorno e notte per fab­bri­care un con­senso col­let­tivo intorno alla demo­li­zione dello stato sociale» ricorda Gal­lino. La «dop­pia crisi» del capi­ta­li­smo, finan­zia­ria e eco­lo­gica, è rimossa, men­tre si aspira alla vec­chia, irrea­liz­za­bile, cre­scita illi­mi­tata dei consumi.
Biso­gna costruire, per tutta la pros­sima gene­ra­zione, le «fab­bri­che del dis­senso». Le idee ci sono, ispi­rate a un «socia­li­smo eco­lo­gico» o a un «socia­li­smo demo­cra­tico», lo defi­ni­sce Gal­lino: riforma della finanza, rot­tura con il cen­tri­smo neo­li­be­rale che uni­sce destra e sini­stra, riuso intel­li­gente del neo­key­ne­si­smo per il popolo, e non per la finanza. «Non sarà un supe­ra­mento totale del capi­ta­li­smo, come forse sarebbe neces­sa­rio – con­clude Gal­lino – ma un modo rea­li­stico per ten­tare una volta ancora di sot­to­porlo a un grado ragio­ne­vole di con­trollo demo­cra­tico». Resta da capire se la ragio­ne­vo­lezza basterà per resi­stere alla sfida mor­tale di que­sto capitalismo.


La lezione di Gallino e l’alternativa possibile
L’affascinante affresco sul capitalismo malato nell’ultimo libro di Luciano Gallino E la difficile strada per costruire un nuovo soggetto politico
di Antonio Bevere il manifesto 12.12.15
Nel futuro dell’economia è assai probabile il verificarsi di una stagnazione senza fine, prolungamento della crisi iniziata nel 2008. Dunque un incremento modesto o nullo del Pil, prezzi fermi o in calo, salari e stipendi in diminuzione, chiusura di imprese piccole e grandi. Così Luciano Gallino ci introduce, nel suo ultimo libro (Il denaro, il debito, la doppia crisi spiegata ai nostri nipoti), alle diverse facce di questa crisi, e alla reazione del capitalismo che risponde accrescendo lo sfruttamento irresponsabile del sistema ecologico, tutto con il ferreo sostegno di un’ideologia, il neoliberismo, fondata su alterate rappresentazioni della realtà.
Le distorsioni , finalizzate a legittimare l’ordine esistente, sono sotto i nostri occhi: convegni, uffici studi, giornalisti di ufficiale saggezza, accademici, governanti in quotidiana presenza nella Tv di Stato diffondono incontrastate verità: le classi sociali non esistono più; la funzione dei sindacati, residui ottocenteschi, si è esaurita; la perenne emergenza ci rende tutti uguali; licenziare crea posti di lavoro e benessere; il privato è più efficiente del pubblico in ogni settore ( energia, acqua, trasporti, scuola, sanità); il mercato, libero da intralci burocratici, fa circolare e crescere capitale e lavoro.
Questo modo di governare il conflitto di classe, camuffandolo e non risolvendolo, è respinto in maniera semplice e lineare da Luciano Gallino, rilevando l’apporto della dose massiccia di stupidità dimostrata dai governanti. Basti pensare a quanto è avvenuto nell’autunno del 2014: i disoccupati sono oltre tre milioni; i giovani senza lavoro sfiorano il 45%; la base produttiva ha perso un quarto del suo potenziale; il Pil ha perso 10–11 punti rispetto all’ultimo anno prima della crisi . «E che fa il governo ? Si sbraccia per introdurre nuove norme che facilitino il licenziamento, riprendendo idee e rapporti dell’Ocse di almeno vent’anni prima», come il sociologo sottolinea nelle pagine del libro.
Chi voglia pensare e vivere senza prestar fede alle verità di classe deve prendere atto che oggi manca un punto di riferimento di qualche peso e visibilità sociale(un partito, una fondazione, una scuola, un organo di rilievo dei media) dal quale emerga un pensiero critico, patrimonio della cultura e dei partiti di sinistra . («Ma da noi la cultura di sinistra, quale cultura diffusa di ampie formazioni politiche, è morta, insieme ai partiti che la divulgavano»).
Questo quadro di pessimismo è vitalizzato e illuminato dallo stesso autore, laddove rileva che tutto ciò che è può essere diversamente e si adopera per tener fede a questo ideale: chi voglia cambiare il capitalismo in un sistema migliore, a prescindere da titoli tradizionali, deve prendere atto della necessaria radicalità di ogni percorso di reale trasformazione: occorre cambiare il modo di produrre, di lavorare, di consumare , il sistema finanziario, l’organizzazione del processo politico, la distribuzione delle risorse, le strutture e le funzioni delle associazioni intermedie.
In questo affascinante affresco politico, mi limito a evidenziare l’immediata esigenza di riportare la normativa lavorista nella realtà dei sistemi che sostengono la vita, concetto che l’espressione sistema ecologico vuol riassumere. Crisi del capitalismo e crisi ecologica sono due facce della stessa medaglia: la guerra del capitalismo contro la Terra è un aspetto della sua necessità di perseguire l’accumulazione del capitale attraverso la trasformazione di ogni elemento della natura in denaro e questo in capitale. Gallino fa questo esempio: se la scarsità di acqua potabile in una regione rischia di provocare milioni di morti, come si determina il valore di scambio dell’acqua o, sotto altro profilo, dei milioni di vittime? Nel campo del lavoro si può fare questo esempio: se la scarsità di occupazione aumenta lo sfruttamento della mano d’opera e il rischio di morti bianche, come si determina il valore di scambio della forza lavoro non tutelata o, sotto altro profilo, delle centinaia di vittime nei cantieri? Problema drammatico in Italia, con l’aumento degli incidenti mortali sul lavoro, tra gennaio e ottobre 2015, si contano 100 caduti in più.
E Gallino arriva alla domanda: «Se la politica la fa il capitale, come si può fare politica per opporsi al capitale?». A partire dagli anni ’80, le maggiori innovazioni del sistema finanziario funzionali alla sua crescita smisurata sull’economia e sulla società, sono state introdotte dai governi, cioè dalla politica: «Di fatto la legislazione e l’indicazione delle azioni sottoposte o meno a disciplina giuridica sono state privatizzate. I ministeri delle Finanze sono stati ridotti ad altoparlanti del settore finanziario». E’ da escludere una ribellione della pubblica opinione, con giornali e reti televisive controllati da imprese a loro volta condizionate dai politici associati alla finanza e da imprese pubblicitarie.
In un quadro così nero, nelle sue conclusioni Gallino intravede la luce del consolidarsi, tra la fine del 2014 e i primi mesi del 2015 «qualcosa che assomiglia a una forma organica di opposizione» che può dar vita a un nuovo soggetto politico, capace di ricondurre il capitalismo entro argini limitativi della sua attività predatoria , «pur continuando a guardare alla meta lontana del suo superamento». A fronte di un governo che, seduto su un vulcano, gioca a fare “riforme” che peggiorano la situazione, crescono in ampiezza e vigore manifestazioni contro i deleteri interventi di Renzi in tema di lavoro, scuola, pensioni, sanità. Alla possibile obiezione che queste riforme sono fatte in esecuzione dei Trattati Ue, Gallino risponde che l’art. 48 prevede che «i trattati possono essere modificati conformemente a una procedura di revisione ordinaria». E ancora: «Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i trattati». Eppure, amara constatazione, «nessuno ha mai sentito esprimersi al riguardo un solo politico che mostri di avere una conoscenza minimale dei Trattati Ue e ammetta che non sono scolpiti nel granito». 

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