Cari nipoti vi racconto la nostra crisi
Un mondo prigioniero del modello Wal Mart
SAGGI. «Il denaro, il debito e la doppia crisi» di Luciano Gallino per Einaudi. Bassi salari e welfare state al lumicino. Uno spietato j’accuse delle politiche sociali neoliberiste Roberto Ciccarelli il Manifesto 7.11.2015, 0:38
Il denaro, il debito e la doppia crisi di Luciano Gallino (Einaudi, pp. 200, 18 euro) è la terza parte di una ricerca sulle origini della crisi e le politiche dell’austerità che si presenta sotto la forma confidenziale di una lunga lettera ai nipoti e uno spietato j’accuse contro la classe politica più ignorante e incapace in Europa: quella italiana.
La scrittura di Gallino è come un diesel: è tesa come una corda di violino verso un appello al futuro; con un martello colpisce tutti i luoghi comuni ideologici monetaristi e i grotteschi tic discorsivi di una malintesa modernità che diventano armi della politica neoliberista e austeritaria; giunge infine al giudizio politico che si fa mordace operazione di combattimento dialettico contro l’oligarchia al potere.
La trilogia composta da Finanzcapitalismo e da Il colpo di Stato di banche e governi, da leggere insieme a libri come Attacco allo stato sociale e Vite rinviate, lo scandalo del lavoro precario, trova un compimento nella definizione dei lineamenti del «pensiero critico», oscurato e rimosso dalle riforme della scuola e dell’università Moratti-Gelmini e imbastite da quel concentrato di idiozie mercantilistiche della legge «di sinistra» Berlinguer.
Una morale casalinga
«La concezione dell’essere umano perseguita con drammatica efficacia dal pensiero neoliberale — scrive con ferocia Gallino — ha lo spessore morale e intellettuale di un orologio a cucù». Ne emerge il ritratto della stupidità delle nuove classi dominanti. La stupidità è il risultato morale e intellettuale di chi ha assunto acriticamente l’idea della funzione governamentale della finanza e delle banche; del verbo divino di teorie economiche smentite dalla violenza della crisi nel 2008; della morale della «casalinga sveva» Angela Merkel che «spende soltanto quel che incassa e non fa debiti».
Stupido, oggi, è confondere le origini della crisi, addebitandole all’aumento della spesa sociale (che invece diminuirà di 17 miliardi in Italia fino al 2019) e non alla crisi bancaria che si finanzia succhiando la risorse dal lavoro vivo, dal Welfare, dall’ecosistema e dalla vita. «Non è la spesa sociale, bensì la spesa per interessi a strangolare il bilancio pubblico e a limitare il ruolo dello Stato nell’economia produttiva» scrive Gallino.
Nel libro sono ricostruiti i passaggi base dall’ancora breve, ma efferata esperienza di governo di Matteo Renzi e del suo Pd-partito della Nazione. Si procede per casi, con dati e prospettive. Prendiamo il Jobs Act: «All’epoca i disoccupati erano oltre 3 milioni, i giovani senza lavoro sfioravano il 45%, il Pil aveva perso 10–11 punti – ricorda ironicamente Gallino – E che fa il governo? Introduce nuove norme per facilitare il licenziamento riprendendo idee dell’Ocse vecchie di vent’anni. Come non concludere che siamo dinanzi a casi conclamati di stupidità».
Il renziano medio, in formato social network e da giornale «intelligente», risponderà con la pozione magica: siete gufi, oggi c’è la crescita, l’occupazione svetta anche se non ancora abbastanza, il pil aumenta, le imprese assumono con gli sgravi pagati dallo Stato. Il libro di Gallino è un cacciavite per smontare questa corazza di stagno. Ciò che aumenta è il lavoro precario; il sottosalariato, la pauperizzazione delle classi medie, le nuove forme di povertà.
È il modello «Wal-Mart»: si acquistano merci a basso prezzo con salari miserabili e lavoro a termine. Gallino racconta il mondo di milioni di working poors che, almeno in Italia, non hanno nemmeno il salario minimo, né il reddito minimo. Misure che altrove permettono un livello di sopravvivenza e, in Inghilterra, sono contrastate dalle imprese perché il conservatore Cameron ha deciso di aumentre il salario minimo in cambio della distruzione definitiva del Welfare. Chi è povero, o lavora, deve continuare a vivere in maniera indegna. E morire peggio. Senza pensione né tutele. E, se proprio ne ha bisogno, le compra. Questa è la legge, oggi.
Quello di Renzi è il «quarto governo del disastro» in Italia, dove la crisi è la peggiore di tutti i paesi europei, dopo quella greca. «Hanno manifestato la maggiore incapacità di governo dell’economia» scrive il sociologo torinese. E in più si avviano, a grandi passi, felicemente accecati, verso la catastrofe di un’economia della stagnazione dove i profitti cresceranno a dismisura e non esisterà un metro per misurare le disuguaglianze così prodotte.
Schiavi del mini-job
Nel nostro paese il «modello Wal Mart» è stato adattato a quello tedesco, «uno dei paesi più inumani al mondo», commenta Gallino. Con le «riforme» dei socialdemocratici di Schroeder ha prodotto dieci milioni di schiavi con i mini-job e una società della «moderazione salariale» che ha tagliato gli stipendi del 20%, peggiorando la domanda e favorendo la tendenza alla deflazione in tutta Europa. Quella che Draghi sta combattendo con il QE per le banche e la bolla dei titoli di stato, dopo averla prodotta.
Un’alternativa è ardua da costruire in queste condizioni. La stupidità del potere domina e prolifera tra i subordinati. «Pensatoi neoliberali lavorano giorno e notte per fabbricare un consenso collettivo intorno alla demolizione dello stato sociale» ricorda Gallino. La «doppia crisi» del capitalismo, finanziaria e ecologica, è rimossa, mentre si aspira alla vecchia, irrealizzabile, crescita illimitata dei consumi.
Bisogna costruire, per tutta la prossima generazione, le «fabbriche del dissenso». Le idee ci sono, ispirate a un «socialismo ecologico» o a un «socialismo democratico», lo definisce Gallino: riforma della finanza, rottura con il centrismo neoliberale che unisce destra e sinistra, riuso intelligente del neokeynesismo per il popolo, e non per la finanza. «Non sarà un superamento totale del capitalismo, come forse sarebbe necessario – conclude Gallino – ma un modo realistico per tentare una volta ancora di sottoporlo a un grado ragionevole di controllo democratico». Resta da capire se la ragionevolezza basterà per resistere alla sfida mortale di questo capitalismo.
La lezione di Gallino e l’alternativa possibile
L’affascinante affresco sul capitalismo malato nell’ultimo libro di Luciano Gallino E la difficile strada per costruire un nuovo soggetto politico
di Antonio Bevere il manifesto 12.12.15
Nel futuro dell’economia è assai probabile il verificarsi di una stagnazione senza fine, prolungamento della crisi iniziata nel 2008. Dunque un incremento modesto o nullo del Pil, prezzi fermi o in calo, salari e stipendi in diminuzione, chiusura di imprese piccole e grandi. Così Luciano Gallino ci introduce, nel suo ultimo libro (Il denaro, il debito, la doppia crisi spiegata ai nostri nipoti), alle diverse facce di questa crisi, e alla reazione del capitalismo che risponde accrescendo lo sfruttamento irresponsabile del sistema ecologico, tutto con il ferreo sostegno di un’ideologia, il neoliberismo, fondata su alterate rappresentazioni della realtà.
Le distorsioni , finalizzate a legittimare l’ordine esistente, sono sotto i nostri occhi: convegni, uffici studi, giornalisti di ufficiale saggezza, accademici, governanti in quotidiana presenza nella Tv di Stato diffondono incontrastate verità: le classi sociali non esistono più; la funzione dei sindacati, residui ottocenteschi, si è esaurita; la perenne emergenza ci rende tutti uguali; licenziare crea posti di lavoro e benessere; il privato è più efficiente del pubblico in ogni settore ( energia, acqua, trasporti, scuola, sanità); il mercato, libero da intralci burocratici, fa circolare e crescere capitale e lavoro.
Questo modo di governare il conflitto di classe, camuffandolo e non risolvendolo, è respinto in maniera semplice e lineare da Luciano Gallino, rilevando l’apporto della dose massiccia di stupidità dimostrata dai governanti. Basti pensare a quanto è avvenuto nell’autunno del 2014: i disoccupati sono oltre tre milioni; i giovani senza lavoro sfiorano il 45%; la base produttiva ha perso un quarto del suo potenziale; il Pil ha perso 10–11 punti rispetto all’ultimo anno prima della crisi . «E che fa il governo ? Si sbraccia per introdurre nuove norme che facilitino il licenziamento, riprendendo idee e rapporti dell’Ocse di almeno vent’anni prima», come il sociologo sottolinea nelle pagine del libro.
Chi voglia pensare e vivere senza prestar fede alle verità di classe deve prendere atto che oggi manca un punto di riferimento di qualche peso e visibilità sociale(un partito, una fondazione, una scuola, un organo di rilievo dei media) dal quale emerga un pensiero critico, patrimonio della cultura e dei partiti di sinistra . («Ma da noi la cultura di sinistra, quale cultura diffusa di ampie formazioni politiche, è morta, insieme ai partiti che la divulgavano»).
Questo quadro di pessimismo è vitalizzato e illuminato dallo stesso autore, laddove rileva che tutto ciò che è può essere diversamente e si adopera per tener fede a questo ideale: chi voglia cambiare il capitalismo in un sistema migliore, a prescindere da titoli tradizionali, deve prendere atto della necessaria radicalità di ogni percorso di reale trasformazione: occorre cambiare il modo di produrre, di lavorare, di consumare , il sistema finanziario, l’organizzazione del processo politico, la distribuzione delle risorse, le strutture e le funzioni delle associazioni intermedie.
In questo affascinante affresco politico, mi limito a evidenziare l’immediata esigenza di riportare la normativa lavorista nella realtà dei sistemi che sostengono la vita, concetto che l’espressione sistema ecologico vuol riassumere. Crisi del capitalismo e crisi ecologica sono due facce della stessa medaglia: la guerra del capitalismo contro la Terra è un aspetto della sua necessità di perseguire l’accumulazione del capitale attraverso la trasformazione di ogni elemento della natura in denaro e questo in capitale. Gallino fa questo esempio: se la scarsità di acqua potabile in una regione rischia di provocare milioni di morti, come si determina il valore di scambio dell’acqua o, sotto altro profilo, dei milioni di vittime? Nel campo del lavoro si può fare questo esempio: se la scarsità di occupazione aumenta lo sfruttamento della mano d’opera e il rischio di morti bianche, come si determina il valore di scambio della forza lavoro non tutelata o, sotto altro profilo, delle centinaia di vittime nei cantieri? Problema drammatico in Italia, con l’aumento degli incidenti mortali sul lavoro, tra gennaio e ottobre 2015, si contano 100 caduti in più.
E Gallino arriva alla domanda: «Se la politica la fa il capitale, come si può fare politica per opporsi al capitale?». A partire dagli anni ’80, le maggiori innovazioni del sistema finanziario funzionali alla sua crescita smisurata sull’economia e sulla società, sono state introdotte dai governi, cioè dalla politica: «Di fatto la legislazione e l’indicazione delle azioni sottoposte o meno a disciplina giuridica sono state privatizzate. I ministeri delle Finanze sono stati ridotti ad altoparlanti del settore finanziario». E’ da escludere una ribellione della pubblica opinione, con giornali e reti televisive controllati da imprese a loro volta condizionate dai politici associati alla finanza e da imprese pubblicitarie.
In un quadro così nero, nelle sue conclusioni Gallino intravede la luce del consolidarsi, tra la fine del 2014 e i primi mesi del 2015 «qualcosa che assomiglia a una forma organica di opposizione» che può dar vita a un nuovo soggetto politico, capace di ricondurre il capitalismo entro argini limitativi della sua attività predatoria , «pur continuando a guardare alla meta lontana del suo superamento». A fronte di un governo che, seduto su un vulcano, gioca a fare “riforme” che peggiorano la situazione, crescono in ampiezza e vigore manifestazioni contro i deleteri interventi di Renzi in tema di lavoro, scuola, pensioni, sanità. Alla possibile obiezione che queste riforme sono fatte in esecuzione dei Trattati Ue, Gallino risponde che l’art. 48 prevede che «i trattati possono essere modificati conformemente a una procedura di revisione ordinaria». E ancora: «Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i trattati». Eppure, amara constatazione, «nessuno ha mai sentito esprimersi al riguardo un solo politico che mostri di avere una conoscenza minimale dei Trattati Ue e ammetta che non sono scolpiti nel granito».
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