sabato 17 ottobre 2015

Isotta applica a Brecht e Weill la teoria del totalitarismo e lascia il Corriere


GENIALE WEILL (NONOSTANTE BRECHT) 
Elzeviro / Un’opera e un congedo 
16 ott 2015  Corriere della Sera di Paolo Isotta © RIPRODUZIONE RISERVATA 

Kurt Weill era figlio di un cantore sinagogale di Dessau. Fece studi musicali non del tutto regolari ma fu allievo anche del grande Humperdinck. E per quanto la sua produzione poco da fare abbia colla musica cosiddetta accademica, le due Sinfonie lo mostrano dotato d’un ferrigno talento contrappuntistico. Oggi egli è ricordato in ispecie per la sua collaborazione con Bertolt Brecht: il titolo più celebre di essa è Die Drei-groschenoper ( L’opera da tre soldi) (1928), rielaborazione di uno dei più grandi successi teatrali settecenteschi, la Beggars Opera di John Gay. Nel 1927 egli fece una silloge di poesie del drammaturgo di Augusta siccome Cantata per sei voci soliste e piccolo complesso strumentale: Mahagonny. Nel 1930, sempre su testo di Brecht, andò in scena a Lipsia Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny, un’Opera in tre atti che adesso viene riproposta dall’Opera di Roma in un’innovativa e in parte stravolgente ma a modo suo geniale regia di Graham Vick. 
L’Opera è un apologo morale. Dei tagliaboschi reduci dall’Alaska fondano una città che abbia per fine l’umana felicità. Essa degenera: libito fé licito in sua legge: tutto diviene lecito; ma il piacere ricercato è solo e sempre quello connesso al corrotto mondo dominato dalla potenza del capitale. Il protagonista, avendo perso tutto il suo denaro, viene pubblicamente ed esemplarmente giustiziato. Dunque, trionfa tutto ciò che viola la natura umana precipitata nell’infamia per l’avidità di possesso — vorrei dire un possesso sine causa — e perché una società intrinsecamente malata induce nell’uomo falsi bisogni appagati con falsi soddisfacimenti. La critica alla società capitalistica non potrebb’esser più forte; ma qui il compositore e il drammaturgo si dividono, giacché l’idealismo di Weill non accettava che tale critica, giusta il desiderio di Brecht, si manifestasse nella esclusiva forma del marxismo. 
E infatti a Brecht in fondo Weill dava fastidio. Avrebbe voluto una musica elementare, meramente didascalica al suo testo, fatta di facillime canzoncine. Weill scrive un capolavoro: non solo canzoni memorabili e tra le più belle del Novecento; ma violenza parodistica e no nell’impiego di forme dotte quali, oltre la Scena e l’Aria, la Fuga e il Corale. Quello del terzo atto è profondo e nell’ethos straziante. 
Fra gl’interpreti di canto, un contralto di sensazionale bravura, Iris Vermillion; un tenore di prim’ordine, Brenden Gunnell; e, tra gli altri, Measha Brueggergosman, Eric Greene e Whillard White. Direttore John Axelrod.  
Sono felice del fatto che citando costui per l’ultima volta faccio il nome d’un interprete mediocre: con mediocrità siffatte non avrò più da fare. Torno a essere un musicista e null’altro che questo. Col presente articolo si chiude la mia attività di critico musicale svolta per più di quarantadue anni; sul «Corriere della Sera» da trentacinque. L’ho esercitata con totale libertà; onde ringrazio i Direttori che, succedendosi, me l’hanno concesso, da Franco Di Bella a Ferruccio de Bortoli. Nel congedarmi mi piace ricordare che Francesco Guicciardini, nel commentare la sua azione quale governatore di Parma — presso la quale, alle Roncole di Busseto, nacque il più grande musicista della nostra Nazione —, chiosò, traendo il detto da Plutarco: Magistratus virum ostendit («La carica illustra l’uomo»). Ciò poteva per me trentacinque anni fa ancor valere; oggi, sempre per me, solo va detto: Vir magistratum ostendit: «L’uomo rende illustre la carica»; la quale in sé, prima e dopo di lui, è parva res.

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