giovedì 29 ottobre 2015

La festa dei morti


Se l’inferno bussa alla portaSacro & Profano. La festa di Halloween, con le sue processioni adolescenziali e i travestimenti che richiamano il «mondo di sotto», non è così lontana da alcune tradizioni italiane che, in ogni regione, occupano la scena sociale nel periodo dei Morti 

Claudio Corvino Manifesto 29.10.2015, 0:05 
Mar­cel Mauss, agli inizi del Nove­cento, sco­prì che tra gli eschi­mesi esi­ste­vano due periodi sta­gio­nali con tratti molto dif­fe­renti da un punto di vista socio­lo­gico: «Durante l’estate sem­brano dimen­ti­cati tutti quei miti che riem­piono la coscienza degli Eschi­mesi durante l’inverno. La vita è lai­ciz­zata. (…) Al con­tra­rio durante l’inverno l’aggruppamento umano vive per così dire in stato di esal­ta­zione reli­giosa con­ti­nua (…). È l’epoca in cui i miti e le leg­gende ven­gono tra­man­dati dagli anziani ai più gio­vani». D’estate, quando i gruppi fami­liari erano dispersi tra le lande ghiac­ciate a cac­cia di foche, ceta­cei e sel­vag­gina, la vita sociale e le feste erano come sospese in attesa del periodo inver­nale, epoca in cui i momenti cele­bra­tivi si sareb­bero seguiti l’uno all’altro quasi senza solu­zione di continuità. 
A distanza di più di un secolo e di tan­tis­simi chi­lo­me­tri, anche in Ita­lia a novem­bre si può dire cominci un lungo periodo festivo, antro­po­lo­gi­ca­mente e socio­lo­gi­ca­mente denso, al cui cen­tro sem­bra esserci quello scam­bio di doni stu­diato sem­pre da Mauss nel suo cele­bre Sag­gio sul dono (1923). L’avvio di que­sto «ciclo» è rap­pre­sen­tato (sim­bo­li­ca­mente) dalla cac­cia alla grossa e suc­cosa zucca, la cui prima appa­ri­zione «uffi­ciale» è a san Mar­tino (11 novem­bre), giorno che fa un po’ da spar­tiac­que tra la fine di quella par­ti­co­lare estate detta appunto «di san Mar­tino» e il vero periodo invernale. 
Il santo-soldato sem­bra essere stato posto lì infatti a sepa­rare l’anno in due fasi distinte, come com­pen­dia la leg­genda del man­tello tagliato in due per coprirne con una metà un uomo povero, infred­do­lito dai rigori inver­nali. Ed è pro­prio nel giorno dedi­cato al «pic­colo Marte» che «un’accozzaglia di monelli (…) con qual­che tam­buro vec­chio, cam­pa­nacce, padelle, can­nelli di canna da urlarvi den­tro, e altri stru­menti di simil fatta, por­tando lumi den­tro delle zuc­che vuote, vanno in giro e stre­pi­tano più che mai…», scri­veva Gae­tano Fina­more per l’Abruzzo di fine Ottocento. 

Il rumore dei defunti 
Orde di chias­sosi ragaz­zini armati di barat­toli e altri oggetti pro­dut­tori di rumore si ritro­vano anche in altre parti d’Italia e in periodi vicini, come a Latera e in alcuni paesi del viter­bese, la sera del 30 novem­bre, in occa­sione di quella che viene chia­mata «Scam­pa­nata di sant’Andrea» («Sant’Andrea giù pe’ le mura / a tutte le fije je mette paura…», recita la fila­strocca che l’accompagna). 
Quando non erano i bam­bini in prima per­sona a «fare l’inferno», un tempo si cre­deva fos­sero gli stessi morti: in Val d’Aosta, scri­veva Estella Can­ziani durante la prima guerra mon­diale, si atten­deva il ritorno dei morti nelle case e, per pro­pi­ziar­sene il favore, si offriva loro del cibo sulle tavole imban­dite. I morti, si sa, sono ven­di­ca­tivi e quindi se non aves­sero tro­vato nulla per loro avreb­bero punito gli abi­tanti della casa con un ter­ri­bile e fra­go­ro­sis­simo tza­ri­vàri, un rituale di rumo­rosa riprovazione.  Yayoi Kusama, Pum­p­kins, 2009 
Ana­logo atteg­gia­mento in Sici­lia, dove a Palermo i morti por­tano ancora oggi, sì, dolci di mar­za­pane e colo­rati bam­bo­lotti di zuc­chero ai bam­bini buoni, ma con quelli cat­tivi pos­sono essere molto spie­tati, punen­doli con doni sgra­diti come scarpe rotte, car­bone e corone d’aglio. 

Igna­zio But­titta, sem­pre per la Sici­lia, ci informa che dopo la mez­za­notte i bam­bini si copri­vano con len­zuola bian­che e, pre­sen­tan­dosi espli­ci­ta­mente come «i morti», a lume di lan­terna anda­vano in giro per le abi­ta­zioni chie­dendo dol­cetti e alimenti. 

Sono tante le cul­ture dove, sul dop­pio bina­rio del rito e del mito, i defunti e i più pic­coli sono al cen­tro di com­plesse tran­sa­zioni sia ali­men­tari sia pro­pi­zia­to­rie: i dolci sem­brano essere valuta di scam­bio. Diamo dol­cetti ai bam­bini che bus­sano alla nostra porta un po’ come ci inse­gnò a fare Enea quando portò a Cer­bero una focac­cia di miele. 

Gli zom­bie antichi 
Vam­piri, stre­ghe e soprat­tutto zom­bie sono le maschere con cui amano tra­ve­stirsi oggi i ragaz­zini, soprat­tutto nella vigi­lia di Hal­lo­ween, sera in cui, come orde furiose, vanno in giro con la loro parola d’ordine «dol­cetto o scher­zetto?». Come i non-morti del cinema hol­ly­woo­diano vagano per le strade not­turne alla ricerca di qual­cosa da «cac­ciare», da richie­dere in que­stua. Sono vere e pro­prie gio­cose e colo­rate bande se non diret­ta­mente eredi, almeno molto simili a quelle che hanno dato filo da tor­cere a con­ta­dini e cit­ta­dini delle società pre­in­du­striali fino al Nove­cento inoltrato.  Tim Bur­ton, The Night­mare Before Christmas 
Di que­ste Socie­ta­tes juve­num, Abba­zie della gio­ventù, gas­sen kna­ben gesell­schaf­ten («società di ragazzi di strada») lamenta, tra i tanti, anche il sinodo sviz­zero di Gla­rona del 1767: gio­vani che com­piono veri e pro­pri sac­cheggi con la scusa della que­stua e, lad­dove qual­cuno gliela nega «allora per le genti one­ste non c’è più nes­suna sicu­rezza e si devono aspet­tare le peg­giori ingiu­rie o addi­rit­tura offese. Se gli si paga qual­cosa, se lo scia­lac­quano tutto, e spesso si tratta qui di grosse somme ogni anno, insieme con molte spa­val­de­rie, dis­so­lu­tezze grande impre­ca­zioni, risse, botte e altri peccati». 
Erano quelle bande gio­va­nili che, nei modi in cui la con­sue­tu­dine con­ce­deva loro, garan­ti­vano la sta­bi­lità dell’ordine sociale, ridi­stri­buendo attra­verso le que­stue i beni in eccesso («ciò che vi avanza date in ele­mo­sina», pre­di­cava il Van­gelo), ma anche dell’ordine cosmico, rego­lando in qual­che modo il flusso dei morti dall’aldilà al mondo degli uomini. Più che limi­tarsi a pla­giare i morti, sem­bra quasi che que­sti ragaz­zini di ieri e di oggi abbiano un’omologia strut­tu­rale con loro: se i primi scon­fi­nano nel mondo dei vivi, tra­sgre­dendo le fer­ree regole delle leggi bio­lo­gi­che, i secondi tra­sgre­di­scono la giu­ri­spru­denza umana, com­piendo ogni tipo di misfatto e, facendo abuso di car­ne­va­le­schi tra­ve­sti­menti, abo­li­scono così di fatto quelle fon­da­men­tali distin­zioni det­tate dall’antropologia cri­stiana tra uomo e bestia, uomo e demoni, vivi e morti. 
Dall’ultimo decen­nio del secolo scorso, le moda­lità di que­ste ado­le­scen­ziali pro­ces­sioni sem­brano essere state gui­date dagli sce­neg­gia­tori ame­ri­cani. Fino al 1979, epoca dell’uscita del film Hal­lo­ween, la notte delle stre­ghe di John Car­pen­ter, quasi nes­suno in Ita­lia sapeva cosa fos­sero le que­stue di Hal­lo­ween e lo stesso Linus, il per­so­nag­gio dei Pea­nuts dell’omonima rivi­sta, quando volle mostrare al pub­blico ita­liano il suo strano culto per il Great Pum­p­kin («Grande Zucca»), un essere miste­rioso che appa­riva la vigi­lia di Ognis­santi a por­tare doni a bimbi buoni, con­sa­pe­vole (il suo tra­dut­tore, almeno) che non sarebbe stato capito, tra­du­ceva il suo nome con «Grande Coco­mero», anzi­ché il più cor­retto «Grande Zucca», forse per­ché all’epoca – siamo negli anni Ses­santa – la zucca non era (più, o ancora) legata a quei not­turni ceri­mo­nia­li­smi legati ai defunti.  Came­ron Jamie, «Front Lawn Fune­rals and Cemeteries» 

Gusto maca­bro 
Dal film di Car­pen­ter, un filone cine­ma­to­gra­fico ancora non esau­rito con­ti­nua a essere ambien­tato nella notte di Hal­lo­ween, mostrando al resto del mondo i modi e le forme di tale festi­vità e con­dendo il tutto con i pesanti tratti del cinema hor­ror. Un hor­ror che, in fondo, non sem­bra essere solo una «salsa» in cui ven­gono con­dite le pel­li­cole di zombi, vam­piri e mostri, i per­so­naggi pre­fe­riti dei tra­ve­sti­menti infan­tili, ma qual­cosa di più. Inte­res­sante è in pro­po­sito la teo­ria del socio­logo cana­dese Dou­glas Cowan (Sacred Ter­ror. Reli­gion and Hor­ror on the Sil­ver Screen) che indi­vi­dua nel pia­cere che si prova a vedere i film hor­ror un mai estinto fascino verso il myste­rium, che rimanda comun­que al sacro, e quindi alla reli­gione. Que­sto genere di film «gio­che­rebbe» con diversi tipi di paure, o socio­fo­bie, che restano comun­que legate alla pre­senza di un qual­che tipo di reli­gio­sità, a dispetto di ogni «desa­cra­liz­za­zione» occidentale. 
Allora, in quest’ottica, avreb­bero torto i detrat­tori della festa di Hal­lo­ween, quelli che si pre­oc­cu­pano della «salute dello spi­rito» dei nostri fan­ciulli masche­rati: costoro riten­gono Hal­lo­ween non solo estra­neo alla nostra «tra­di­zione reli­giosa», ma anche col­pe­vole di esal­tare il maca­bro e di spin­gere i nostri fan­ciulli «sulla via dell’occultismo e della paga­niz­za­zione», come ha spie­gato il vescovo di Cal­ta­gi­rone qual­che anno fa al quo­ti­diano La Sici­lia. Inol­tre, è stato avver­tito più volte il «peri­colo» di un’adesione acri­tica ai valori irra­zio­na­li­sti e pagani di cui è intrisa la festa. Valori che tut­ta­via fanno da sfondo, o da lubri­fi­cante, a ogni reli­gione sto­rica cono­sciuta e ai suoi miti, a comin­ciare da quello che fon­de­rebbe la nostra comune uma­nità: il Dilu­vio universale. 
Stiamo dun­que attenti a cri­ti­care troppo i ragaz­zini masche­rati: invo­lon­ta­ria­mente potremmo inva­li­dare le stesse cre­denze, le stesse cate­go­rie da cui nasce il nostro (pre)giudizio.

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