giovedì 1 ottobre 2015

La lista di Goering



Jean-Marc Dreyfus (a cura di): Le Catalogue Goering, con prefazione di Laurent Fabius, Flammarion, Parigi, pagg. 230, € 29

Risvolto



Goering, questo è il catalogo dell’arte predata 
Ritrovato a Parigi: il gerarca vi annotava le sue requisizioni in Europa, per un totale di 1376 capolavori 
Leonardo Martinelli Stampa 30 9 2015
I primi quadri li comprò in una galleria d’arte, la Sangiorgi, a Roma, nell’aprile 1933. E per l’occasione tirò fuori una bella somma, pagata di tasca propria. Hermann Goering, già allora numero due di Hitler, anima da militare ma passione per l’arte, ripartì per Berlino con un ritratto del busto di Venere di Jacopo de’ Barbari e con Diana e Callisto, dipinto di Johann Rottenhammer. Durante la Seconda guerra mondiale, a colpi di razzie tra i musei di mezza Europa, occupata dai nazisti, e le collezioni di ebrei spogliati dei loro capolavori, arriverà a quota 1376.

Un testo pubblicato oggi dalla casa editrice francese Flammarion ripercorre quella triste vicenda. Si tratta proprio del Catalogue Goering, il catalogo costituito da lui stesso, con i dettagli degli acquisti e delle requisizioni. Il grosso della collezione se la procurò a Parigi. Passava al Jeu de Paume, palazzetto antico ai margini delle Tuileries, che allora era un annesso del Louvre. Gli presentavano una scelta di dipinti e lui si serviva. La refurtiva veniva poi spedita nel palazzotto principesco che si stava costruendo un’ottantina di chilometri a Nord di Berlino, la Carinhall, studiata nei minimi particolari da lui e dalla seconda moglie, Emmy Sonnemann, attrice raffinata e capricciosa. Che, visto quanto era defilata Eva Braun, svolgeva praticamente il ruolo di first lady del Terzo Reich.
Il testo era finito (e lì è rimasto a lungo dimenticato) negli archivi diplomatici del ministero degli Esteri francese. Ed è stato proprio Laurent Fabius, il ministro, discendente di una famiglia di ebrei, mercanti d’arte perseguitati dai nazisti, a volerne la pubblicazione, «per mostrare quanto fossero sistematici i nazisti nel predare queste opere d’arte», ha sottolineato al Figaro. Fu Rose Valland a scovare il catalogo alla fine del conflitto. Era una storica d’arte e bazzicava dalle parti del Jeu de Paume, anche quando si presentava Goering a «fare la spesa». In realtà faceva già parte della Resistenza e in tanti piccoli quaderni segnava ogni furto. Nel dopoguerra riuscì a far ritornare a casa loro oltre 4500 opere d’arte rubate dai nazisti in Francia.
A curare la pubblicazione del catalogo è stato Frédéric du Laurens, ex direttore degli archivi diplomatici. «Goering non era un vero esperto d’arte ma un collezionista compulsivo», ricorda. «All’inizio privilegiò i pittori tedeschi classici del ’500, i Cranach in particolare. E poi amava gli artisti olandesi del ’600». Si incaponì su un Vermeer, che gli rifilarono ma era un clamoroso falso. Durante la guerra iniziò ad accumulare un po’ di tutto, anche pittori «degenerati», come un Gauguin che la moglie volle per camera sua. Oppure tre Picasso che scambiò con altri dipinti antichi. Alla fine nella dimora di Carinhall esponeva da Botticelli a Rubens, passando per gli impressionisti francesi. 
Mentre i russi incalzavano, nel 1945, lui imbarcò tutto (opere d’arte, tappezzerie, mobilio) in otto treni diretti verso il Sud. E fece saltare in aria la magione. Ma alcuni convogli furono assaltati da tedeschi, che a loro volta rubarono diversi pezzi. Altri vagoni rimasero distrutti sotto le bombe degli Alleati. «Di varie opere non si è saputo più nulla», conclude Du Laurens. «Chissà se la pubblicazione del catalogo servirà a ritrovarne alcune».

Collezione Goering: il catalogo
Tra le carte degli archivi diplomatici francesi è stato ritrovato l’elenco completo delle opere d’arte collezionate dal gerarca nazista. L’editore Flammarion lo ha pubblicato
Benedetta Gentile Domenicale 10 1 2016
Con il saccheggio di 5mila tra dipinti e oggetti destinati a celebrare il genio tedesco in un grande museo a Linz, Hitler poteva vantare un indiscusso primato per numero di razzie di opere d’arte durante il Terzo Reich. Battuto sulla quantità dei tesori saccheggiati, Hermann Goering poteva però gloriarsi di aver costituito una raccolta di maggiore qualità di quella del Fuhrer passando così alla storia non solo come il numero due del regime ma anche come uno dei collezionisti più avidi e accorti mai esistiti. Sulla leggendaria collezione Goering sono stati scritti fiumi d’inchiostro ma un libro, pubblicato ora in Francia da Flammarion, consente di toccare con mano la portata della sua ossessione e delle ruberie commesse. Tra le carte degli archivi diplomatici francesi è stato infatti ritrovato il catalogo completo della sua collezione, un prezioso documento che non solo repertoria i 1.376 dipinti entrati in suo possesso, ma li scheda con foto, autore e descrizione dell’opera, modalità di acquisizione, provenienza e anche la collocazione nelle varie dimore del gerarca nazista. Lo straordinario inventario testimonia come la gestione della collezione sia stata in cima alle preoccupazioni di Goering fino alla fine del 1944 , quando poteva esibire anche duecentocinquanta sculture e centosessanta tra arazzi e tappeti, un bottino complessivo di 2mila oggetti d’arte valutato a decine di milioni di marchi. Il manoscritto originale della collezione figurava tra le carte lasciate dalla ormai mitica “Monument Woman” Rose Valland alla direzione dei musei nazionali che all’epoca deteneva gli archivi per il recupero delle opere d’arte (poi confluiti in quelli del Quai d’Orsay). Come il documento sia finito nelle mani della conservatrice del Jeu de Paume, rimane però un mistero. Tradotto in francese, è ora integralmente riprodotto nel libro con le fotografie dei quadri dell’epoca, dando accesso così, si sottolinea nel libro, a numerosi elementi inediti di indiscutibile valore documentario. Il catalogo è strutturato in modo identico dall’inizio alla fine, con il numero d’inventario preceduto da RM (Reichsmarschall). In 407 pagine sfilano così i 1.376 dipinti che ornavano soprattutto Carinhall, la sua residenza-museo nel Branderburgo. Goering poteva deliziarsi con opere di Tiziano, Tintoretto, Bellini, Carpaccio, Bassano, Paolo di Giovanni, Benozzo Gozzoli, Filippino Lippi e poi di Memling (la sua Madonna con bambino della collezione Renders era tra i suoi quadri preferiti), Rubens, Rembrandt, Van Dyck, Breughel, Cranach, Durer e decine di altri grandi maestri europei. Il solo abbaglio lo aveva preso con Cristo e l’adultera, capolavoro non di Vermeer come credeva ma del grande falsario Han Van Meegeren. Scoprì che quello che considerava il suo bottino più prestigioso era un falso solo a guerra finita, quando era già dietro le sbarre in attesa del processo di Norimberga.
Il catalogo, redatto tra il 1939 al 1944 da fidate segretarie incaricate di aggiornare scrupolosamente l’inventario, apre con le prime due opere entrate nella raccolta del corpulento gerarca nazista che amava definirsi uomo del Rinascimento e vedeva nelle collezioni «un monumento a sé stesso». Si tratta di opere di provenienza italiana ma realizzate da artisti attivi in corti tedesche, la Venere di Jacopo de’ Barbari e Diana e Callisto di Johann Rottenhauer. Siamo nel 1933, al momento dell’ascesa della potenza nazista, quando Goering, già presidente del Reichstag, viene nominato da Hitler a capo del Ministero degli Interni e di quello dell’Aviazione. La collezione, che all’epoca si aggira attorno ai 200 pezzi, si arricchisce lentamente fino al 1939 con opere che, come scrive il ministro degli esteri francesi Laurent Fabius nella prefazione del volume, tradiscono la volontà di Goering di «costituire un insieme emblematico di ciò che considera come l’identità tedesca» in cui i Cranach già sono presenti con 12 dipinti (saliranno poi a 57). La collezione perderà poi il suo carattere strettamente germanico per accogliere capolavori italiani e francesi e anche opere di artisti considerati degenerati, come gli impressionisti, quando l’occupazione della Francia e la confisca delle grandi raccolte appartenenti a famiglie ebree gli metterà l’acquolina alla bocca. È con l’entrata in guerra che il ritmo di acquisizioni o spoliazioni si fa più intenso: man mano che le truppe tedesche avanzano, le opportunità di bottino aumentano in modo esponenziale, tanto da mettere in difficoltà le finanze del pur ricchissimo Goering che per soddisfare il suo insaziabile appetito deve più volte ricorrere a scambi di quadri. Scambi, va detto, che per le valutazioni concordate dalla sua posizione di forza potevano essere tranquillamente apparentate a un furto.
Come viene meticolosamente annotato nel dossier sulle attività di Goering e sulle sue acquisizioni di opere d’arte redatto dagli Alleati per il processo di Norimberga (National Archives di Londra) il maresciallo era riuscito a costituire in poco tempo la sua collezione grazie a un’organizzazione capillare, con esperti di fiducia come Walter Andreas Hofer sguinzagliati in tutta Europa per consigliarlo sulle opportunità che via via si presentavano con l’avanzare dell’occupazione. Una forte accelerazione si ebbe con lo sbarco in Francia nel 1940 dell’Einsatzstab Reichsleiter Rosenberg (ERR), subito attivissima nel sequestrare le grandi collezioni appartenenti a famiglie ebree. «Nonostante la ERR sia nota come la più importante organizzazione tedesca dedicata ai furti di opere d’arte, si sa che l’uomo che ispirò questa ladroneria e ne approfittò maggiormente fu Goering» si legge nel documento alleato. Il Reichsmarschell non per nulla riuscì ad ottenere il diritto di prima scelta sulle opere confiscate in Francia ed ebbe modo di fare comodamente la sua cernita: tra il 1940 e il 1942 furono organizzate solo per lui al Jeu de Paume ben venti mostre di tesori trafugati. La sua organizzazione non tralasciava alcun aspetto, da quello finanziario che faceva anche leva su un gioco dei cambi di valute sempre a suo favore ai trasporti (possedeva 4 treni speciali). Goering voleva comprare tutto, ma quando comprava voleva che fosse al prezzo più basso. Nonostante le immense somme che aveva a sua disposizione, contrattava sempre, qualsiasi somma si trattasse e spesso faceva acquisti di oggetti di second’ordine solo perché il prezzo era basso, annotano sempre gli alleati che lo bollano come «crudele, inaffidabile e avido» nonché «tirchio, ipocrita e senza scrupoli». Tutto quello che riguardava il danaro era sotto il suo controllo personale, dai conti alla corrispondenza che doveva essere battuta a macchina solo dalla sua segretaria privata. Voleva che tutte le fatture e ricevute fossero firmate e registrate «con una precisione tutta tedesca». Le sue scorrerie nel campo dell’arte dovevano essere caratterizzate dalla segretezza e dal suo manifesto desiderio di mantenere le apparenze, di essere “corretto”, almeno nella forma. Cosicchè quando gli arrivarono in dono per il suo compleanno nel dicembre del 1943 le 15 casse trafugate a Montecassino da ufficiali della sua divisione si sentì a disagio perché il furto era su una scala troppo grande anche per un ladro come lui. Non sapendo come salvare le apparenze, si rivolse a Hitler che consigliò di mandare le casse nel suo deposito bunker di Kurfurst. Certo per qualche giorno si godette la Danae del Tiziano e altri tesori della Pinacoteca e Museo Archeologico di Napoli, ma poi capì che era meglio non rischiare. Perciò nel suo catalogo non vi è traccia della Danae o della Parabola dei ciechi di Breughel. Anche se nulla fu catalogato alla vigilia della resa tedesca le casse furono però spedite nella miniera di Altaussee come sua proprietà. Forse per poter negoziare con maggior peso un accordo con i vincitori, come molti gerarchi avevano tentato di fare. Nel suo caso comunque, senza successo. Goering, ricorda nella sua introduzione al catalogo lo storico Jean-Marc Dreyfus, a Norimberga giustificò la creazione della sua raccolta con il «suo gusto per l’arte e il grandioso» e ritenne che non vi era «nulla di reprensibile» nel modo in cui aveva agito.

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