venerdì 23 ottobre 2015

La "Mala Università": l'attacco finale del PD e di Confindustria. Tutto è perduto


Quant’è buona l’università ad alta velocità di Renzi. L’annuncite riporta il conflitto negli atenei 

Università. La Crui dei rettori chiede al governo un reclutamento pluriennale, lo sblocco degli scatti per i docenti, il rinnovo del contratto per gli amministrativi e fondi per gli atenei. La proposta dei 500 cervelli "ad alta velocità" bocciata anche dal Cun. Oggi a Udine la Leopolda sull'università del Pd. La protesta dei ricercatori precari e studenti: «Stop that train!». I ricercatori della Rete 29 aprile: "Le proposte del Pd e del governo sono vaghe. Non c'è dialogo". Gli studenti di Link presentano le proposte su un'università diversa 

Roberto Ciccarelli Manifesto 23.10.2015

Lo spot di Renzi-Giannini sui 500 ricer­ca­tori «ad alta velo­cità» da impor­tare dall’estero nell’università ita­liana non con­vince i ret­tori della Crui. I palu­dati ermel­lini defi­ni­scono la tro­vata del governo un «segnale posi­tivo per i gio­vani stu­diosi ma limi­tato a quest’anno». Quanto alle mille assun­zioni di ricer­ca­tori pre­cari nei pros­simi tre anni (150 milioni com­ples­sivi) nel deserto degli ate­nei sono bri­ciole anche per i ret­tori, rispetto alle 10 mila uscite avve­nute negli ultimi 8 anni. Il pre­si­dente della Crui Gae­tano Man­fredi chiede un piano plu­rien­nale e poi si sof­ferma sul grande assente della mano­vra eco­no­mica: il diritto allo studio. 
Chie­sta anche un’«attenta veri­fica del sistema di cal­colo degli indi­ca­tori Isee» che esclu­dono migliaia di stu­denti bene­fi­ciari di borse di stu­dio. Poi un mes­sag­gio al governo che tra­di­sce una pre­oc­cu­pa­zione. Senza un ade­guato rifi­nan­zia­mento, o almeno la buona volontà a garan­tirlo, i ret­tori sosten­gono che non “sarà pos­si­bile garan­tire la col­la­bo­ra­zione del sistema uni­ver­si­ta­rio allo svol­gi­mento del nuovo eser­ci­zio della valu­ta­zione della qua­lità della ricerca (Vqr) 2011–2014″. In vari dipar­ti­menti si regi­stra una cre­scente voglia di aste­nersi dal momento più impor­tante dell’università meri­to­cra­tica. Da que­sta valu­ta­zione dipende l’attività degli atenei. 
La bat­ta­glia degli stu­denti (Link e Udu) ha dun­que inciso anche nelle alte sfere. I ret­tori con­si­de­rano «posi­tivo» l’annuncio dello sblocco degli scatti sti­pen­diali richie­sto da una mobi­li­ta­zione in corso da parte di una rete di docenti. A Renzi e Padoan si chiede anche di avviare il ripri­stino del Fondo di Finan­zia­mento Ordi­na­rio «al livello del 2009» quando fu tagliato da Tre­monti di 1,1 miliardi di euro. 
Anche il Con­si­glio Uni­ver­si­ta­rio Nazio­nale (Cun) boc­cia la pro­po­sta dei 500 ricer­ca­tori (ita­liani e stra­nieri) ad alta velo­cità da assu­mere con gruz­zo­letto al seguito in Ita­lia. Per il Cun sono troppo pochi a fronte dell’espulsione di oltre 10 mila per­sone avve­nuta negli anni del grande gelo della riforma Gel­mini e dei tagli. Ad esem­pio iri­cer­ca­tori inse­riti in un per­corso di “tenure track” sono tal­mente esi­gui da risul­tare ine­si­stenti: ne ser­vi­reb­bero 4 mila per far soprav­vi­vere il sistema, oggi ce ne sono solo 500. Insieme a un fondo plu­rien­nale per rim­po­po­lare lo sche­le­tro degli ate­nei, anche il Cun sol­le­cita a inter­ve­nire sul diritto allo stu­dio che esclude gli stu­denti, invece di sostenerli. 
Oggi e domani si terrà a Udine (palazzo Gar­zo­lini di Toppo Was­ser­mann) la «Leo­polda dell’università» del Par­tito demo­cra­tico. Pre­vi­sta la con­te­sta­zione dei ricer­ca­tori pre­cari e degli stu­denti. In un comu­ni­cato che sta girando in rete in que­sti giorni, la pro­te­sta con­tro l’annunciata riforma sulla «Buona uni­ver­sità» ha preso un regi­stro iro­nico. «Buona Uni­ver­sità ad alta velo­cità? Stop that train! Noi non siamo capi­tale umano!». Il rife­ri­mento è al titolo scelto per la «Leo­polda» friu­lana: «Più valore al capi­tale umano. Uni­ver­sità, ricerca e alta for­ma­zione motori di svi­luppo». Espres­sioni da con­ven­tion azien­dale o per un ritrovo di appas­sio­nati di gestione delle risorse umane. 
Il Coor­di­na­mento degli asse­gni­sti, bor­si­sti di ricerca e dot­to­randi «Ricer­ca­tori non strut­tu­rati» cri­tica l’annuncio sullo sgan­cia­mento degli ate­nei dalla pub­blica ammi­ni­stra­zione e sostiene che le assun­zioni dei mille ricer­ca­tori sareb­bero «usa e getta». Una volta «sca­duti» i loro con­tratti, gli ate­nei non avreb­bero le risorse per farli diven­tare «di ruolo». «Ci chie­diamo in che modo ver­ranno defi­niti i cri­teri e le moda­lità di reclu­ta­mento di que­sti 500 “lonely heroes” della ricerca — scri­vono nel docu­mento — ma sospet­tiamo già che si tratti di una logica esclu­dente e dif­fe­ren­ziale, tipica del dispo­si­tivo meritocratico». 
Scarso cre­dito tra i pre­cari ha anche l’annuncio sul «Jobs Act dei ricer­ca­tori». «Con buona pro­ba­bi­lità — scri­vono — si andranno ad aggiun­gere alle altre forme con­trat­tuali pre­ca­rie e in via di espul­sione (ma di corsa!) dall’università pub­blica. L’idea della neo “Renzi Uni­ver­sity” è sem­plice: assu­mere con fini mera­mente di pro­pa­ganda elet­to­rale 500 “futuri Premi Nobel” per nascon­dere la deli­be­rata scelta di “pun­tare” sul pre­ca­riato, tra­sfor­mando il corpo docente in un’enorme distesa di figure pre­ca­rie usa e getta». 
Scambi pole­mici si sono sus­se­guiti su twit­ter tra i ricer­ca­tori della Rete 29 aprile, nata nei mesi della pro­te­sta con­tro la “riforma” Gel­mini nel 2010, e la respon­sa­bile uni­ver­sità del Pd Fran­ce­sca Puglisi. Quest’ultima ha rim­pro­ve­rato i ricer­ca­tori di non “avere pro­po­ste” alter­na­tive a quelle — piut­to­sto vaghe — fin’ora annun­ciate dal governo e dal suo par­tito di mag­gio­ranza. Loro, oggi, a Udine non ci saranno. “A Udine — scri­vono in un post sul sito della rete — c’è un pro­gramma calato dall’alto, una sorta di parata di rela­tori invi­tati che non pre­vede uno spa­zio per chi non sia stato inse­rito nel pro­gramma stesso. Le abbiamo cor­te­se­mente e in molte occa­sioni richie­sto un docu­mento minimo, una sorta di abstract, in cui il PD pre­sen­tasse, sep­pure in stato di bozza, le pro­prie idee sull’Università”. Tutto inu­tile, le pro­po­ste non sono mai arrivate. 
Alla Leo­polda di Udine non ci sarà un dia­logo con la comu­nità acca­de­mica, que­sto sostiene la Rete 29 aprile: “Vi pre­ghiamo sin d’ora — scri­vono i ricer­ca­tori . di non usare que­sta mani­fe­sta­ziona per vei­co­lare con l’opinione pub­blica un “lungo periodo di ascolto e dia­logo” che non c’è mai stato”. “Alcuni tavoli, della durata pre­vi­sta di 2 ore (120 minuti), hanno in pro­gramma 17 per­sone più due mode­ra­tori. Non si inter­viene seria­mente sull’Università con 4 minuti a dispo­si­zione (né con 10 o con 15, per la verità)”. 
Il Pd ha cer­cato di istruire un dia­logo con le reti e le asso­cia­zioni uni­ver­si­ta­rie il 26 feb­braio scorso al Naza­reno. Dopo l’iniziativa si è sco­perto che le con­clu­sioni del “per­corso con­di­viso” erano state già scritte e aspet­ta­vano di essere pub­bli­cate. Ne seguì una pole­mica furi­bonda rac­con­tata qui
In pre­vi­sione della Leo­polda uni­ver­si­ta­ria, anche gli stu­denti del coor­di­na­mento uni­ver­si­ta­rio Link si sono mobi­li­tati. Ieri alla Camera hanno pre­sen­tato le linee per una nuova uni­ver­sità. Al cen­tro della loro pro­po­sta c’è il rifi­nan­zia­mento dell’università e della ricerca. Impor­tante è anche un cam­bio nell’impostazione dell’uso di que­sti fondi in una cor­nice non “azien­da­li­sta”. “La nostra pro­po­sta parte dall’interrogativo su quale sia il ruolo sociale dell’università — sostiene Alberto Cam­pailla, por­ta­voce nazio­nale di Link — Coor­di­na­mento Uni­ver­si­ta­rio — Per noi è neces­sa­rio inver­tire il rap­porto esi­stente tra tes­suto pro­dut­tivo ed eco­no­mico e istru­zione pub­blica. Non più adat­tare la for­ma­zione e la ricerca uni­ver­si­ta­ria alle esi­genze del mer­cato del lavoro, ma ripen­sare l’istruzione e i saperi come nucleo di un nuovo modello di svi­luppo. I con­te­nuti della legge di sta­bi­lità sono in totale con­trap­po­si­zione con l’idea di Uni­ver­sità con­te­nuti nella nostra proposta.” 
Dopo anni di abban­dono, di tran tran quo­ti­diano in un deserto, gli annunci di Renzi e una cre­scente insod­di­sfa­zione hanno fatto rivi­vere un dibat­tito che sem­brava morto nell’università ita­liana. Ma il dia­logo, al tempo del pre­mier “ad alta velo­cità” è com­pli­cato, se non proibitivo.

Lo spot sui ricercatori «ad alta velocità» non farà rivivere il deserto degli atenei
Università. Il futuro della ricerca visto dagli spaghetto-liberisti. In arrivo la prossima riforma dell'università. L'analisi del sindacati, degli studenti e dei dottorandi Manifesto 
L’alta velo­cità ha distrutto il tra­sporto locale e ha reso impos­si­bile viag­giare sotto gli 80 euro a biglietto in Ita­lia. Uno svi­luppo di «eccel­lenza», cioè per chi se lo può per­met­tere. Que­sta è la fore­sta dei sim­boli in cui vivono ai piani alti del paese, dan­nosi tanto per l’ambiente (le grandi opere come la Tav) quanto per l’ecologia della mente (più che di eccel­lenza dall’estero l’Italia avrebbe biso­gno di ricerca di base e di un sistema uni­ver­si­ta­rio libero da baroni e precarietà).Con que­sto via­tico il Pd, e il governo sol­le­ci­tato venerdì scorso da Vene­zia dal pre­si­dente del Con­si­glio Renzi, si avviano alla nuova — l’ennesima — riforma dell’università. Per­ché il gioco è noto: su un piatto hanno messo i 500 «cer­velli eccel­lenti», oltre ai mille ricer­ca­tori di «tipo B» per tre anni da reclu­tare solo negli ate­nei «eccel­lenti» con il bol­lino Anvur e l’iniqua «Valu­ta­zione della qua­lità della ricerca» (Vqr), il sistema che divide gli ate­nei del Sud da quelli del Nord del paese. «è un reclu­ta­mento troppo esi­guo — sosten­gono i dot­to­randi dell’Adi — siamo lon­tani dal piano straor­di­na­rio da 10 mila ricer­ca­tori invo­cato da più parti. La Vqr userà la pre­mia­lità in un’ottica puni­tiva e pro­muove mec­ca­ni­smi di finan­zia­mento discriminatori».
Sull’altro piatto, Renzi con­ti­nua la riforma Gel­mini con gli stessi mezzi e con una reto­rica molto aggres­siva. «Dob­biamo togliere l’Università dal peri­me­tro della pub­blica ammi­ni­stra­zione per­ché non si governa l’università con gli stessi cri­teri con cui si fa appalto in una Asl o un comune — ha detto — È neces­sa­rio scom­met­tere su cri­teri dove il modello uni­ver­si­ta­rio possa essere Boston o uni­ver­sità inglesi o in Oriente».
***La sto­ria: E se Renzi assu­messe 500 ricer­ca­tori per farli fug­gire dall’Italia?***
Che cosa, in realtà, signi­fi­chi “togliere uni­ver­sità dal peri­me­tro pub­blica ammi­ni­stra­zione” non è affatto chiaro, dato che l’università non è gover­nata come una Asl o un comune, ma dall’autonomia degli organi eletti dalla comu­nità acca­de­mica e dai lavo­ra­tori e stu­denti che un governo come quello di Renzi si pre­suma cono­sca. L’illusione «ame­ri­cana» degli spaghetto-liberisti che domi­nano la scena uni­ver­si­ta­ria è di respiro corto. Esi­ste una dif­fe­renza sostan­ziale tra l’Italia e gli Usa. Il fondo dei nostri ate­nei ammonta a meno di 7 miliardi di euro. Solo il Mit di Boston riceve 2,5 miliardi di fondi pub­blici. Quello che manca in Ita­lia non sono gli inve­sti­menti dei pri­vati, ma l’intervento sta­tale come negli Usa.
In que­ste con­di­zioni, uscire dal diritto ammi­ni­stra­tivo per gli ate­nei signi­fica pri­va­tiz­zare il sistema uni­ver­si­ta­rio» sostiene Alberto Cam­pailla, por­ta­voce degli stu­denti di Link. Altro esem­pio: Har­vard Uni­ver­sity ha un bilan­cio di 36,4 miliardi di dol­lari, quella di Bolo­gna ha entrate da 750 milioni e uscite per 736. È come se Gian­nini avesse sco­perto oggi la bici­cletta men­tre gli altri viag­giano in aereo, a pro­po­sito di alta velo­cità della cono­scenza» iro­nizza Dome­nico Pan­ta­leo, segre­ta­rio della Flc-Cgil. Con una costante: la legge di sta­bi­lità non mette un euro sul diritto allo stu­dio. «L’uscita dalla pub­blica ammi­ni­stra­zione com­pleta il qua­dro — con­ti­nua il sin­da­ca­li­sta — Renzi non sa che il pro­blema dell’università non è l’essere sog­getto pub­blico. Sono tutte le norme intro­dotte dal 2008 in poi e in par­ti­co­lare la riforma Gel­mini ad aver inges­sato gli ate­nei». «Il governo toglie l’Imu anche sulle grandi pro­prietà, con­trae il diritto allo stu­dio e destina risorse esi­gue a scuola e uni­ver­sità. Tutt’altro che andare orgo­gliosi» sosten­gono Alberto Irone della Rete Stu­denti Medi e Jacopo Dio­ni­sio dell’Udu.
Nel paese che in dieci anni ha perso 100 mila stu­denti imma­tri­co­lati, stu­dia chi se lo può per­met­tere. E chi fa ricerca? Deve pagare per lavo­rare, come i dot­to­rati senza borsa. «Com­pren­diamo il legit­timo orgo­glio con cui il Mini­stro Gian­nini riven­dica l’aumento del numero dei con­tratti di for­ma­zione spe­cia­li­stica dei medici, gra­zie a un incre­mento di 429 milioni di euro, dal 2016 al 2020, delle risorse desti­nate  — sosten­gono i dot­to­randi dell’Adi — Rite­niamo tut­ta­via che tale orgo­glio sarebbe potuto essere più pieno e giu­sti­fi­cato se si fosse risolto anche l’annoso pro­blema del dot­to­rato senza borsa. Oltre 2.000 col­le­ghi per ogni ciclo non per­ce­pi­scono alcun soste­gno eco­no­mico per il loro per­corso e sono costretti a pagare tasse che pos­sono arri­vare fino a 2.000 euro l’anno». Vuoi fare ricerca in Ita­lia? Paga.


Lo spot di Renzi sui 500 prof dall’estero: e tutti gli altri?
Università. Uni­ver­sità. Ecco perché l’annuncio di Renzi: faremo una chia­mata diretta per 500 cer­velli ita­liani dall’estero è meno strambo di quello che è. L'alternativa? Pagarne 500 per fare gli ambasciatori del Made in Italy. Come Farinetti di Eataly Manifesto 
E Renzi? Farà la chia­mata diretta di 500 pro­fes­sori dall’estero.
“Nella legge di sta­bi­lità – ha detto il pre­mier – ci sarà una misura ad hoc per por­tare in Ita­lia 500 pro­fes­sori uni­ver­si­tari anche ita­liani. Un modo per attrarre i cer­velli con un con­corso nazio­nale basato sul merito e gli diamo un gruz­zolo per pro­getti di ricerca”.
L’annuncio è sem­brato una pagliac­ciata, una gaffe, un pan­ni­cello. «Con­fonde il rien­tro degli stu­diosi dall’estero con la tor­nata dei con­corsi nazio­nali e crea l’ennesimo pastic­cio di cui non c’è biso­gno» spiega Mimmo Pan­ta­leo (Flc-Cgil). «Renzi manca total­mente di con­sa­pe­vo­lezza sulle prio­rità dell’università» afferma Dio­ni­sio (Udu). «Sono chiac­chiere — sostiene Cam­pailla (link) — Serve un inter­vento di risorse sull’Ffo, sul diritto allo stu­dio ee la que­stione dell’Isee che esclude il 30% degli stu­denti aventi diritto, sul reclu­ta­mento di ricer­ca­tori e docenti, il rin­novo del con­tratto dei tec­nici ammi­ni­stra­tivi». «Il rien­tro dei ricer­ca­tori era una misura con­te­nuta nel piano nazio­nale delle riforme nel Def, ma non basta: biso­gna pre­ve­dere un piano straor­di­na­rio di reclu­ta­mento che rimedi ai 10 mila pen­sio­na­menti che non sono stati sosti­tuiti». Gae­tano Man­fredi, pre­si­dente della Crui denun­cia il cro­nico sot­to­fi­nan­zia­mento degli ate­nei e il blocco del turn-over. Forza Ita­lia boc­cia la pro­po­sta: «Ci sono oltre mille abi­li­tati in attesa del con­corso. Renzi pensi a loro».
Il 97% dei ricer­ca­tori è stato tagliato (In Italia)
Rea­zioni giu­sti­fi­cate alla luce dei dati. In Ita­lia le assun­zioni sono bloc­cate dal 2007, il sistema è al col­lasso con una ridu­zione dal 2009 del 22% dei pro­fes­sori uni­ver­si­tari, negli ultimi dieci anni è stato tagliato il 97% dei pre­cari e le imma­tri­co­la­zioni sono dimi­nuite dalle 340mila del 2003–2004 alle 260mila del 2013–2014. Secondo alcuni dati rica­vati dall’indagine in corso «Ricer­carsi», gli assunti sono stati solo il 6,7%. Non solo: nel 2014 l’università ita­liana è «dima­grita» di 2183 docenti e ricer­ca­tori. A fronte di 2324 pen­sio­na­menti sono stati atti­vati solo 141 ricer­ca­tori «di tipo B». Cen­to­qua­ran­tuno. Nel frat­tempo sono aumen­tati i pre­cari, le figure che per­met­tono alle facoltà di soprav­vi­vere. Gli asse­gni di ricerca atti­vati annual­mente sono pas­sati da circa 6 mila nel 2004 a oltre 14 mila nel 2014. Quest’anno la legge Gel­mini prov­ve­derà a tagliarli: quelli atti­vati nel 2011 hanno infatti un limite mas­simo di 4 anni. Tra poco niente altri ricer­ca­tori diven­te­ranno disoc­cu­pati. Stessa sorte toc­cherà nel 2015 per i con­tratti da ricer­ca­tori a tempo deter­mi­nato di «tipo A». Anche loro sono in sca­denza secondo i para­me­tri della legge 240 del 2010.
Vuoi fare il dot­to­rato? Paga!
Vogliamo par­lare dei dot­to­randi? I gio­vani di cui tanto si parla, e tanto strin­gono il cuore? Ecco i dati. Nove ate­nei (sui 59 cen­siti) hanno aumen­tato tasse e con­tri­buti ai dot­to­randi che hanno vinto una borsa di stu­dio. Al primo posto della clas­si­fica sti­lata dall’Adi risulta l’università della Basi­li­cata con 1072,48 euro, segue l’università Poli­tec­nica delle Mar­che con 1051,38 euro (+743%), poi Parma (880), Fer­rara (600), Ber­gamo (500), Siena (440) Sas­sari (379), Pie­monte Orien­tale (346), Palermo (345) e Pavia (293). C’è poi lo scan­dalo dei «vin­ci­tori senza borsa». Oltre alla para­lisi buro­cra­tica, e alla morte per asfis­sia da tagli, la riforma Gel­mini ha peg­gio­rato l’esistenza dei dot­to­randi che pagano per fare ricerca. Secondo l’Anvur, tra il 2003 e il 2013 que­ste figure erano più della metà dei dot­to­randi: tra il 55 e il 57%. Il boom è stato pro­vo­cato dalla riforma che ha eli­mi­nato il limite mas­simo dei «senza borsa». Per fer­mare il ricorso a que­sti bandi il Mini­stero dell’Istruzione e dell’università è stato costretto a tor­nare sui suoi passi fis­sando al 75% il numero minimo di borse di stu­dio pagate per ogni corso di dottorato.
Per l’Adi que­sta misura non ha cam­biato la situa­zione. L’università di Salerno, ad esem­pio, chiede ai ricer­ca­tori senza borsa 1875 euro all’anno per i tre anni della durata del dot­to­rato. Seguono Roma Tre con 1763 euro, il Poli­tec­nico di Milano con 1640 euro, lo Iuav a Vene­zia con 1608 euro, La Sapienza (1543), il Poli­tec­nico di Torino (1459), l’università medi­ter­ra­nea di Reg­gio Cala­bria (1418), la Magna Gre­cia di Catan­zaro (1277), Pisa (1241) e Firenze (1209). L’Adi regi­stra anche casi in cui la tas­sa­zione per i senza borsa è dimi­nuta come a Sas­sari (-78,49%, da 520,75 nel 2012/13 a 112 euro nel 2013–4).
I 500 prof? E’ il neo­li­be­ri­smo, baby.
In attesa della “Buona Uni­ver­sità” annun­ciata, tra mille dubbi e altret­tante incer­tezze, le parole di Renzi non dovreb­bero stu­pire. Se stu­pi­sce, allora con­viene riba­dire il piano poli­tico sul quale si muove. Nel discorso al Poli­tec­nico di Torino, tenuto nel feb­braio 2015, Renzi ha chia­rito cosa intende fare: 1) distin­guere uni­ver­sità di serie A e B 2) gestione delle uni­ver­sità come aziende sul mer­cato; 3) fare come la Germania.
A parte quest’ultimo punto, insen­sato e rive­la­tore del pro­vin­cia­li­smo di Renzi e della “classe diri­gente” che si spec­chia in lui, in que­sto pro­getto è nor­male chia­mare dall’estero 500 per­sone senza con­corso, mediante una sele­zione “meri­to­cra­tica” che non sarà tale e nem­meno effi­ciente (tutti i pro­grammi di rien­tro dei cer­velli sono fal­liti). Ed è nor­male man­dare al macero i ricer­ca­tori, pre­cari e abi­li­tati, che resi­stono in Italia.
E’ la foto­gra­fia del mer­cato glo­bale del lavoro della ricerca. Esi­ste ormai un mondo che vive di fondi milio­nari euro­pei, e anche ita­liani, che vin­cono pro­getti e por­tano le risorse in Ita­lia. negli ate­nei ormai morti e deser­ti­fi­cati. La vit­to­ria dei bandi, pochi ma ric­chis­simi di risorse, per­mette a que­sta classe glo­bale di sce­gliere il paese e l’ateneo dove inse­diarsi e svi­lup­pare la loro ricerca. Gli ate­nei non pos­sono che rin­gra­ziare, per­ché quelle risorse per loro sono una manna che non rice­ve­ranno mai dallo Stato. E che Renzi non può, e non vuole, dar­gli. Sono i ricer­ca­tori, inse­riti nelle reti glo­bali, a finan­ziare gli ate­nei con il loro lavoro. Sono mana­ger che lavo­rano da inter­fac­cia con i miliardi di euro e dol­lari che cir­co­lano nel mondo e la mise­ria degli ate­nei — soprat­tutto italiani.
Il bat­ta­glione dei 500 che Renzi vuole arruo­lare appar­ten­gono a que­sto nuovo mondo della ricerca? Non è dato, al momento, saperlo. Ma ammet­tiamo che lo siano. Rifiu­te­ranno la pro­po­sta di Renzi. Non c’è alcuna con­ve­nienza, nè razio­na­lità, nell’accettare una simile pro­po­sta per tor­nare in un paese dove l’università ago­niz­zante, buro­cra­tica, baro­nale. Con un po’ di for­tuna, e com­pe­tenza, que­sti ricer­ca­tori si fer­me­ranno in altri paesi capaci di assi­cu­rar­gli un destino più che digni­toso. Nel caso in cui, invece, il pro­getto ren­ziano sia rivolto a que­ste per­sone? Si sta pen­sando di rea­liz­zare un ricco fondo desti­nato solo al mer­cato glo­bale — e non ai ricer­ca­tori pre­cari autoc­toni? Potrebbe essere una trac­cia, che inve­re­rebbe le vel­leità neo­li­be­ri­ste del pre­mier. Con un cer­tezza: una volta ter­mi­nati i fondi, i 500 andranno via dall’Italia. E all’università non resterà nulla. Un’ideona: ma con­forme alla divi­sione mon­diale del mer­cato della ricerca. In que­sto mer­cato, l’Italia è asso­lu­ta­mente periferica.
In que­sto caso due gene­ra­zioni di ricer­ca­tori pre­cari, e con essi la riforma gel­mini che li ha resi “abi­li­tati” saranno bru­ciati. C’è anche un’altra solu­zione: che Renzi stanzi le stesse risorse per man­dare all’estero i pre­cari e gli abi­li­tati. A pen­sarci bene, potreb­bero essere amba­scia­tori del Made in Italy nel mondo. Come fari­netti di Eataly

Il Resto Del Carlino Bologna - Pagina: 14
23 ottobre 2015
«Atenei convertiti in fondazioni» Puglisi: così tagliamo la burocrazia
ROMA
«PER L’UNIVERSITÀ non serve una riforma strutturale come avvenuto per la scuola. Ci sono da fare interventi urgenti, alcuni dei quali già contenuti nella Legge di Stabilità, poi ci vorrà una visione di sistema complessiva». Francesca Puglisi, responsabile della Scuola del Pd, sta lavorando al progetto di Nuova Università.
Il premier ha parlato di 500 cervelli da assumere al volo...
«Non ci sono soltanto loro, i cosiddetti superdocenti. C’è anche un piano, già previsto nella Legge di Stabilità, per l’assunzione di 1.000 ricercatori. È un bel segnale dopo anni e anni di tagli».
Entreranno per concorso?
«Secondo le normative attualmente vigenti. È un’importante iniezione di risorse. Poi c’è da lavorare sulla visione d’insieme e per questo ci incontreremo a Udine».
Cioè?
«Il 23 e il 24 (oggi e domani per chi legge ndr) due giorni di confronto con tutti gli attori del sistema, dal ministro Giannini ai sottosegretari ai rettori, ai ricercatori. Tutti divisi in gruppi di lavoro per disegnare la strada».
Argomenti clou?
«Per esempio quello sul sistema di reclutamento che deve essere semplificato. Attualmente il percorso pre-ruolo dei ricercatori è pieno di ostacoli».
Parla dell’introduzione della figura unica del ricercatore?
«Forse, ma vogliamo capire che cosa porterà il confronto».
Sui 500 si deciderà a Udine?
«Si tratta di figure che dovranno valorizzare i nostri atenei, italiani o stranieri non ha importanza».
Assunti a chiamata diretta?
«Si sta studiando. Le modalità sono ancora da stabilire».
Autonomia degli atenei?
«Mi piace chiamare tutto questo piano Sblocca Università, proprio per dare il senso di quanto sia stata ‘fermata’ negli ultimi anni. Gli atenei del futuro obbediranno a regole di budget con relativi controlli. E basta».
È l’idea di privatizzazione?
«Ci sono due scuole di pensiero: una che prevede di tramutare immediatamente tutte le università in Fondazioni. Lo potremmo fare domattina. L’altra che vuole arrivare allo stesso risultato, abrogare tutti i vincoli legati alla pubblica amministrazione, e presuppone un intervento legislativo di ‘esclusione’. Ogni norma riferita alla p.a. se non cita università e ricerca non vale».
Quanto pesano gli studenti in questo piano?
«Ne sono il fulcro. Si dovrà rivedere il sistema relativo al diritto allo studio. Non tutte le regioni si comportano allo stesso modo nella gestione dei fondi statali destinati a sostenere i meritevoli».
E i prof?
«Negli atenei c’è la necessità dell’innovazione didattica e di una maggiore integrazione con il mondo del lavoro».
Cioè i docenti saranno valutati?
«Saranno valutati docenti e atenei e di queste valutazioni si terrà conto nell’assegnazione dei fondi di finanziamento ordinario. Anche i professori non potranno più basarsi solo sulla produzione scientifica. Dovranno dimostrare capacità di rinnovare la didattica. E il loro rendimento sarà stabilito anche dall’indice di occupazione degli studenti una volta laureati».
Il Resto Del Carlino Bologna - Pagina: 14
23 ottobre 2015
Più soldi alle facoltà migliori. E il Governo assume mille ricercatori
Silvia Mastrantonio
ROMA
«BARONI» sotto schiaffo. La nuova università, quella Buona di Renzi&Co, non andrà troppo per il sottile nei confronti dei docenti che dovranno assicurare, tra cattedra e laboratorio, almeno 120 ore di didattica l’anno. E la valutazione degli atenei passerà anche da loro, gli insegnanti, e dalla capacità di innovare la didattica. Saranno giudicati per quanto fanno e anche per il tasso di occupazione dei giovani usciti con il famoso «pezzo di carta», a un anno, due o tre di distanza.
Renzi l’aveva promesso: il fitto calendario delle riforme non lascerà fuori l’università. «Che – aveva detto il premier parlando a Ca’ Foscari – non si può governare con gli stessi criteri con cui si fa un appalto per una Asl o un Comune». «Bisogna scommettere – aveva aggiunto – su criteri dove il modello universitario possa essere Boston, le università inglesi o alcune d’Oriente».
Idee e ipotesi che stanno per diventare realtà e che oggi e domani saranno al centro di un vertice a Udine. Tutto dedicato agli atenei del futuro.
AL MOMENTO il valore legale del titolo di studio non è argomento all’ordine del giorno ma la bozza della rivoluzione universitaria tiene la barra dritta sugli «indicatori premiali», ovvero il metro secondo il quale lo Stato sgancerà soldi per ogni singolo ateneo. Funzioni: prendi finanziamenti. Stenti: ti vengono ridotti. In quegli «indicatori» avranno un peso specifico la qualità della didattica, l’innovazione, i servizi per gli studenti. In più, per dare un’iniezione di ottimismo, il governo ha deciso di inserire nella Legge di Stabilità i fondi per l’assunzione di 1.000 ricercatori ai quali si aggiungeranno i 500 cervelli – italiani o stranieri, senza distinzioni – che il premier vuole sistemare in cattedra per dare lustro e consistenza all’offerta. Probabilmente a «chiamata diretta».
Per arrivare al nuovo impianto, però, occorreranno alcuni aggiustamenti legislativi. Se per i 1.000 la Legge di Stabilità impegna i soldi e altrettanto fa per i 500 – con criteri normativi ancora da scrivere – il problema vero sarà quello di sradicare le università e i loro docenti dal recinto della pubblica amministrazione. Le strade possibili sono due: la trasformazione degli atenei in Fondazioni, oppure un intervento normativo che svincoli il settore dai lacciuoli amministrativi che non ne prevedano espressamente il coinvolgimento. E, ancora, diritto allo studio e nuove norme sugli aiuti agli studenti (borse di studio); semplificazioni della professione con l’introduzione di una figura unica di ricercatore (ora gli inquadramenti sono 5) con un contratto a tutele crescenti in atto con il Jobs Act.

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