Amadieu: “In Francia conflitti più violenti che in Italia. C’è una nuova forma di lotta di classe”
È ancora choccato. «Quando ho visto quelle immagini, non credevo ai miei occhi». Jean-François Amadieu, professore alla Sorbona, è uno dei più grandi specialisti di relazioni industriali in Francia. E conosce benissimo Xavier Broseta, responsabile delle risorse umane a Air France, ieri aggredito da un gruppo di dipendenti, fuggito a gambe levate al di là di una rete, con la camicia strappata e il torso nudo. «Xavier viene spesso nel nostro dipartimento a insegnare agli studenti come gestire le relazioni con i sindacati. È una persona ragionevole, conciliante». Com’è potuto accadere ? «In Francia esistono forme di radicalizzazione dei conflitti sociali, che sono sconosciute negli altri Paesi, in Germania e anche in Italia. Emersero la prima volta nel 1995, quando vivemmo una fase socialmente difficile. Iniziarono i sequestri di dirigenti, soprattutto i responsabili delle risorse umane. E quelli sono continuati fino a oggi. Ci sono stati casi di questo tipo anche negli ultimi mesi. Servono ai lavoratori e ai sindacati per far sì che i media parlino di loro». Stavolta, però, si è andati oltre... «Sì, è grave, si è arrivati all’aggressione fisica». Lei ha pubblicato due anni fa per Seuil un libro dal titolo « Drh : le livre noir ». Il libro nero delle risorse umane. Aveva già visto arrivare questa tendenza? «Credo di sì, il fatto che la rabbia si focalizzi su questi dirigenti, che sono dipendenti, spesso più che sui proprietari dell’azienda o su chi la dirige veramente. Diventano i capri espiatori di tutto». Ritorniamo a Air France. Perché la situazione è degenerata? «È sorprendente nel senso in cui questo gruppo a lungo ha saputo gestire in maniera esemplare le relazioni con le rappresentanze dei lavoratori. Ai tempi dell’ultima grande crisi di Air France, prima dei Mondiali di calcio del 1998, piloti e dipendenti minacciarono di bloccare il traffico al momento dell’evento. Allora si risolse il problema all’americana, offrendo azioni ai dipendenti e un posto ai piloti nel consiglio di amministrazione: cercando di responsabilizzarli. Funzionò: si parlò della nascita di un nuovo modello di relazioni industriali. E ora, invece, guarda a cosa siamo arrivati». Chi sono le persone che hanno aggredito oggi Xavier Broseta? «E’ ancora troppo presto per dirlo. Ma ho guardato più volte il video. È chiaro che i dirigenti della Cgt (ndr, equivalente in Francia della Cgil) hanno perso il controllo su quei dipendenti. O forse non ce l’hanno mai avuto. In Francia le forme di radicalizzazione hanno spesso origine da persone che non sono sindacalizzate». Possono essere rappresentanti di estrema sinistra ? «Questi esistono e sono in molti casi i più duri nelle contrattazioni. Capita nel caso delle Poste, ad esempio. In questo senso esiste una derivazione ideologica rispetto a coloro che animavano le proteste sindacali negli anni Settanta. Ma nel caso di Air France non si è mai parlato di una presenza forte dell’estrema sinistra al suo interno. Non siamo nel campo della classe operaia in generale: è una compagnia aerea. La situazione è anche molto diversa rispetto a Sncf, le ferrovie, che hanno una tradizione dura di negoziazione sindacale». Ma allora chi sono i dipendenti che hanno aggredito il responsabile delle risorse umane di Air France ? «Si tratta probabilmente di rappresentanti del personale di terra, quello meno retribuito e che più ha subito i tagli agli stipendi, rispetto soprattutto ai piloti. Esistono ormai forti spaccature all’interno del gruppo, divari di tipo sociale. Siamo di fronte a una nuova forma di lotta di classe».
Sette feriti, due dirigenti assaliti dalla folla. Il premier Valls ai sindacati: sono scandalizzato
Un paese smarrito che ha perso i riferimentidi Cesare Martinetti La Stampa 6.10.15
Ma anche per questo tanto più «en colère», in una collera che si manifesta di volta in volta con azioni durissime. Il sequestro dei dirigenti di fabbrica (per cui si è coniata la parola «bossnapping») è diventato ormai un luogo comune: la realtà ha superato il cinema del vecchio «Crepa padrone, tutto va bene» di Jean-Luc Godard, con Jane Fonda e Yves Montand di sessantottina memoria.
Ma ieri, se possibile, si è andati oltre: le immagini dei due manager Air France che fuggono a torso nudo da una folla inferocita che aveva strappato loro la camicia e che scavalcano come ladri aiutati dalla polizia le reti di recinzione per mettersi in salvo sono già un’icona di questi tempi e raccontano molto più di una collera sindacale: sono la misura di un Paese smarrito, che ha perso i «repères», i punti di riferimento, dove la politica appare chiusa dentro una cittadella autoreferenziale incapace di comunicare le decisioni più elementari senza che subito tutto si trasformi in rissa e malintesi.
È un paese che vive sull’orlo di un precipizio culturale e politico che si chiama Marine Le Pen. Il successo del Front National rinnovato e aggiornato dalla figlia del vecchio fondatore che portava le stimmate di una Francia impresentabile (e per questo è stato messo al bando dall’erede) è un terremoto di portata epocale di cui queste esplosioni di collera sociale sono i sintomi drammatici. Che sia la rabbia degli allevatori che hanno bloccato per una settimana la Normandia contro Bruxelles, o quella dei tassisti contro Uber, o questa dei lavoratori Air France, il denominatore comune è sempre riconducibile alla perdita di identità e di sovranità. La risposta è nell’illusione del rifugiarsi nella vecchia Francia ordinata che si mette al riparo della mondializzazione, come promette Madame Le Pen, in una guerra «sans merci», senza tregua, contro l’Unione europea costi quel che costi.
Ecco, il cocktail che innesca la collera dei lavoratori francesi fino a spingerli al tentativo di linciaggio operato ai danni dei manager Air France è che questo stato d’animo pompato ogni giorno dal Front National (ormai indiscutibilmente il primo partito tra gli operai e i salariati francesi) si fonde e moltiplica con le parole d’ordine dell’ultra sinistra tradizionale ispiratrice del sindacalismo di base che non ha paura di antiche assonanze trotzkiste o anarchiche. L’alleanza «oggettiva» con il Front National che giornali come Le Monde attribuiscono a intellettuali un tempo considerati di sinistra (Michel Onfray, Alain Finkielkraut, ecc) è di fatto già operante nel sociale: solo fragili e antiche barriere ideologiche non consentono ai militanti della sinistra estrema di manifestare con quelli del Front. Sul piano economico, sociale, nel giudizio sull’Europa la linea è la stessa. Madame Le Pen non si era forse schierata con il primo Tsipras trovandosi in (in)naturale compagnia del tribuno anticapitalista Mélenchon?
Di fronte a tutto ciò che fa la politica tradizionale, di destra e sinistra? Sbarella, per dirla in italiano corrente. Il giovane, brillantissimo e ultra liberista ministro dell’economia Emmanuel Macron attacca apertamente i funzionari pubblici (un mito del Paese) costringendo Hollande ad una messa a punto grottesca.
O, a destra, una delle donne più vicine a Sarkozy, Nadine Morano, dice che la Francia è un paese di «uomini bianchi» costringendo il suo capo a una – tardiva e imbarazzata – correzione.
Sono saltati i confini e la tenuta anche semantica della politica. È come se il Paese vivesse su una slavina che sta scivolando in un passaggio d’epoca con possibili esiti «rivoluzionari» o contro-rivoluzionari, a seconda dei punti di vista. L’appuntamento più vicino è quello delle elezioni regionali di dicembre: lì si misurerà la vera febbre francese. Se il Front National, come previsto, guadagnerà un paio di regioni per la prima volta nella storia, il piano su cui scivola la slavina sarà sempre più inclinato.
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