giovedì 8 ottobre 2015

La stagione mediatica di Podemos e Syriza e durata cinque mesi

Risultati immagini per manager airfranceGrecia e Portogallo lo slancio perduto dei partiti anti rigore e dei nemici del sistema.
Cambio di stagione Dai Paesi finiti sotto tutela della Troika che hanno chiesto un prestito per salvarsi arriva un messaggio al resto dell’area euro: è stata dura ma volevamo restare in questo club
di Federico Fubini Corriere 6.10.15

S embra che fra i grandi investitori presenti in Spagna si sia radicata l’abitudine di aggiungere ai contratti una clausola speciale. Riguarda l’ipotesi di un ingresso di Podemos al governo dopo le elezioni di dicembre prossimo: se succede, i fondi-avvoltoio che adesso comprano condomini iberici a prezzi di saldo chiedono di poter rompere gli accordi. L’esperienza della Grecia di Syriza nella prima parte dell’anno è bastata: nessuno vuole restare intrappolato in un Paese dove comanda una forza anti-sistema.

Non è chiaro quanto sia diffusa questa clausola. Ciò che appare evidente però è che alla fine potrebbe rivelarsi superflua, perché il vento è cambiato. Le nuove forze politiche che mettono in discussione l’euro e le sue regole sui conti pubblici non hanno più il vento in poppa. Lo avevano qualche mese fa, adesso no. Dalla Spagna, dal Portogallo e dagli altri Paesi finiti sotto la tutela della Troika, quelli che fra il 2010 e il 2012 hanno chiesto un prestito internazionale per salvarsi, arriva un nuovo messaggio al resto dell’area euro: è stata dura, ma volevamo restare in questo club.
Podemos in Spagna è ancora forte, al 15,9% nella media degli ultimi sondaggi, eppure viaggia undici punti sotto ai massimi di otto mesi fa e non compete più per il primo posto. Corre per non arrivare quarto, incalzato dai liberali di Ciudadanos e staccato dai conservatori al governo così come dai socialisti.
Anche il voto in Portogallo di domenica scorsa conferma che qualcosa sta cambiando. Fino alla primavera sembrava che i conservatori del premier Pedro Passos Coelho non avessero chance, dopo quattro anni di austerità e disoccupazione. Domenica hanno rivinto. Passos Coelho ha meno voti rispetto al 2011 e dovrà allearsi con il centrosinistra. Ma resta al governo malgrado i sacrifici che ha imposto, incluso un taglio del 12% agli stipendi degli statali. L’equivalente lusitano di Podemos, il Blocco della Sinistra, non arriva all’11%. E i grandi perdenti sono i socialisti, che avevano impostato tutta la campagna elettorale contro l’austerità.
Quanto alla Grecia, la sostanza è sotto gli occhi di tutti: il mese scorso l’80% degli elettori ha votato per partiti che promettono di eseguire un programma europeo più duro di quello bocciato nel referendum di appena tre mesi fa. Una frangia più radicale che continua a opporsi al memorandum con Bruxelles si è staccata da Syriza, il partito del premier Alexis Tsipras. Ma Syriza ha incassato di nuovo la stessa percentuale di voti del gennaio scorso - con un programma opposto - mentre gli scissionisti non hanno strappato neanche un seggio in parlamento.
In Irlanda, il quarto Paese ad aver ospitato la Troika, si voterà in primavera. All’apice della crisi gli stipendi pubblici sono stati tagliati del 15%, la disoccupazione era al 15% (oggi è sotto al 10%), ma nettamente in testa ai sondaggi resta il premier uscente Enda Kenny: il conservatore che ha imposto quattro anni di sacrifici. Sinn Fein, il partito anti-sistema, per il momento non va oltre il terzo posto.
Wolfgang Schäuble prenderebbe un abbaglio se concludesse che l’intero arco di crisi dell’area euro si è convertito alla sua visione. In Europa non ha ancora vinto il rigore difeso dal ministro delle Finanze di Berlino: in questi giorni i leader impeccabilmente moderati di Italia, Francia e Spagna stanno mandando a Bruxelles leggi di bilancio che sfidano ancora una volta lo spirito e la lettera delle regole europee. E anche in Portogallo, Grecia o Irlanda Schäuble può contare su pochi amici sinceri.
Il ministro tedesco non ha vinto, eppure nella cosiddetta «periferia» dell’euro le forze a lui più ostili hanno iniziato a perdere. Ormai troppi fattori giocano contro di loro, non solo la ripresa partita due anni fa in Irlanda e da un anno e mezzo in Spagna e Portogallo. Gli elettori in Europa hanno visto come Tsipras in versione anti-sistema avesse cacciato la Grecia in un drammatico vicolo cieco: alla fine il premier di Atene ha dovuto imprimere un’improvvisa inversione di rotta per salvare il Paese, perché nessun altro piano era realmente praticabile.
C’è poi un altro dettaglio: l’argomento più ossessivo di Podemos, Syriza o degli anti-euro d’Italia è sempre stato che in Europa si soffoca, perché non si può creare moneta a volontà quando serve.
Da qualche mese però la Banca centrale europea ha iniziato a creare nuova moneta e a riversarla nell’economia in modo molto più poderoso, efficiente e privo di contraccolpi negativi di quanto potrebbe mai riuscire a un piccolo Paese «sovrano» in solitudine. Si è capito che l’euro serve anche a questo, e funziona meglio così.
Ora resta possibile che qualche investitore richiami la clausola di fuga dalla Spagna, perché Podemos può comunque arrivare al governo con i socialisti. Il suo modello resta Syriza: ma ormai sarà quello della seconda vita di Tsipras.

Amadieu: “In Francia conflitti più violenti che in Italia. 
C’è una nuova forma di lotta di classe”
L’accademico della Sorbona: non ha funzionato offrire ai dipendenti azioni e posti nel cdaintervista di Leonardo Martinelli La Stampa 6.10.15
È ancora choccato. «Quando ho visto quelle immagini, non credevo ai miei occhi». Jean-François Amadieu, professore alla Sorbona, è uno dei più grandi specialisti di relazioni industriali in Francia. E conosce benissimo Xavier Broseta, responsabile delle risorse umane a Air France, ieri aggredito da un gruppo di dipendenti, fuggito a gambe levate al di là di una rete, con la camicia strappata e il torso nudo. «Xavier viene spesso nel nostro dipartimento a insegnare agli studenti come gestire le relazioni con i sindacati. È una persona ragionevole, conciliante».
Com’è potuto accadere ?
«In Francia esistono forme di radicalizzazione dei conflitti sociali, che sono sconosciute negli altri Paesi, in Germania e anche in Italia. Emersero la prima volta nel 1995, quando vivemmo una fase socialmente difficile. Iniziarono i sequestri di dirigenti, soprattutto i responsabili delle risorse umane. E quelli sono continuati fino a oggi. Ci sono stati casi di questo tipo anche negli ultimi mesi. Servono ai lavoratori e ai sindacati per far sì che i media parlino di loro».
Stavolta, però, si è andati oltre...
«Sì, è grave, si è arrivati all’aggressione fisica».
Lei ha pubblicato due anni fa per Seuil un libro dal titolo « Drh : le livre noir ». Il libro nero delle risorse umane. Aveva già visto arrivare questa tendenza?
«Credo di sì, il fatto che la rabbia si focalizzi su questi dirigenti, che sono dipendenti, spesso più che sui proprietari dell’azienda o su chi la dirige veramente. Diventano i capri espiatori di tutto».
Ritorniamo a Air France. Perché la situazione è degenerata?
«È sorprendente nel senso in cui questo gruppo a lungo ha saputo gestire in maniera esemplare le relazioni con le rappresentanze dei lavoratori. Ai tempi dell’ultima grande crisi di Air France, prima dei Mondiali di calcio del 1998, piloti e dipendenti minacciarono di bloccare il traffico al momento dell’evento. Allora si risolse il problema all’americana, offrendo azioni ai dipendenti e un posto ai piloti nel consiglio di amministrazione: cercando di responsabilizzarli. Funzionò: si parlò della nascita di un nuovo modello di relazioni industriali. E ora, invece, guarda a cosa siamo arrivati».
Chi sono le persone che hanno aggredito oggi Xavier Broseta?
«E’ ancora troppo presto per dirlo. Ma ho guardato più volte il video. È chiaro che i dirigenti della Cgt (ndr, equivalente in Francia della Cgil) hanno perso il controllo su quei dipendenti. O forse non ce l’hanno mai avuto. In Francia le forme di radicalizzazione hanno spesso origine da persone che non sono sindacalizzate».
Possono essere rappresentanti di estrema sinistra ?
«Questi esistono e sono in molti casi i più duri nelle contrattazioni. Capita nel caso delle Poste, ad esempio. In questo senso esiste una derivazione ideologica rispetto a coloro che animavano le proteste sindacali negli anni Settanta. Ma nel caso di Air France non si è mai parlato di una presenza forte dell’estrema sinistra al suo interno. Non siamo nel campo della classe operaia in generale: è una compagnia aerea. La situazione è anche molto diversa rispetto a Sncf, le ferrovie, che hanno una tradizione dura di negoziazione sindacale».
Ma allora chi sono i dipendenti che hanno aggredito il responsabile delle risorse umane di Air France ?
«Si tratta probabilmente di rappresentanti del personale di terra, quello meno retribuito e che più ha subito i tagli agli stipendi, rispetto soprattutto ai piloti. Esistono ormai forti spaccature all’interno del gruppo, divari di tipo sociale. Siamo di fronte a una nuova forma di lotta di classe».
Protesta nella sede della compagnia contro il piano di 2900 esuberi: vergogna, andatevene
Sette feriti, due dirigenti assaliti dalla folla. Il premier Valls ai sindacati: sono scandalizzato
Un paese smarrito che ha perso i riferimenti
di Cesare Martinetti La Stampa 6.10.15
La Francia è un paese sull’orlo della crisi di nervi? Dopo quel che è successo ieri mattina a Air France si direbbe già ben oltre, anche se tutto si tiene nella tradizione del sindacalismo francese, che si manifesta spesso in forza e quantità inversamente proporzionale alla sua rappresentanza: forte nel pubblico, debole nel privato.
Ma anche per questo tanto più «en colère», in una collera che si manifesta di volta in volta con azioni durissime. Il sequestro dei dirigenti di fabbrica (per cui si è coniata la parola «bossnapping») è diventato ormai un luogo comune: la realtà ha superato il cinema del vecchio «Crepa padrone, tutto va bene» di Jean-Luc Godard, con Jane Fonda e Yves Montand di sessantottina memoria.
Ma ieri, se possibile, si è andati oltre: le immagini dei due manager Air France che fuggono a torso nudo da una folla inferocita che aveva strappato loro la camicia e che scavalcano come ladri aiutati dalla polizia le reti di recinzione per mettersi in salvo sono già un’icona di questi tempi e raccontano molto più di una collera sindacale: sono la misura di un Paese smarrito, che ha perso i «repères», i punti di riferimento, dove la politica appare chiusa dentro una cittadella autoreferenziale incapace di comunicare le decisioni più elementari senza che subito tutto si trasformi in rissa e malintesi.
È un paese che vive sull’orlo di un precipizio culturale e politico che si chiama Marine Le Pen. Il successo del Front National rinnovato e aggiornato dalla figlia del vecchio fondatore che portava le stimmate di una Francia impresentabile (e per questo è stato messo al bando dall’erede) è un terremoto di portata epocale di cui queste esplosioni di collera sociale sono i sintomi drammatici. Che sia la rabbia degli allevatori che hanno bloccato per una settimana la Normandia contro Bruxelles, o quella dei tassisti contro Uber, o questa dei lavoratori Air France, il denominatore comune è sempre riconducibile alla perdita di identità e di sovranità. La risposta è nell’illusione del rifugiarsi nella vecchia Francia ordinata che si mette al riparo della mondializzazione, come promette Madame Le Pen, in una guerra «sans merci», senza tregua, contro l’Unione europea costi quel che costi.
Ecco, il cocktail che innesca la collera dei lavoratori francesi fino a spingerli al tentativo di linciaggio operato ai danni dei manager Air France è che questo stato d’animo pompato ogni giorno dal Front National (ormai indiscutibilmente il primo partito tra gli operai e i salariati francesi) si fonde e moltiplica con le parole d’ordine dell’ultra sinistra tradizionale ispiratrice del sindacalismo di base che non ha paura di antiche assonanze trotzkiste o anarchiche. L’alleanza «oggettiva» con il Front National che giornali come Le Monde attribuiscono a intellettuali un tempo considerati di sinistra (Michel Onfray, Alain Finkielkraut, ecc) è di fatto già operante nel sociale: solo fragili e antiche barriere ideologiche non consentono ai militanti della sinistra estrema di manifestare con quelli del Front. Sul piano economico, sociale, nel giudizio sull’Europa la linea è la stessa. Madame Le Pen non si era forse schierata con il primo Tsipras trovandosi in (in)naturale compagnia del tribuno anticapitalista Mélenchon?
Di fronte a tutto ciò che fa la politica tradizionale, di destra e sinistra? Sbarella, per dirla in italiano corrente. Il giovane, brillantissimo e ultra liberista ministro dell’economia Emmanuel Macron attacca apertamente i funzionari pubblici (un mito del Paese) costringendo Hollande ad una messa a punto grottesca.
O, a destra, una delle donne più vicine a Sarkozy, Nadine Morano, dice che la Francia è un paese di «uomini bianchi» costringendo il suo capo a una – tardiva e imbarazzata – correzione.
Sono saltati i confini e la tenuta anche semantica della politica. È come se il Paese vivesse su una slavina che sta scivolando in un passaggio d’epoca con possibili esiti «rivoluzionari» o contro-rivoluzionari, a seconda dei punti di vista. L’appuntamento più vicino è quello delle elezioni regionali di dicembre: lì si misurerà la vera febbre francese. Se il Front National, come previsto, guadagnerà un paio di regioni per la prima volta nella storia, il piano su cui scivola la slavina sarà sempre più inclinato. 

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