giovedì 22 ottobre 2015
L'accoglienza dell'aristocrazia romana al fascismo
Risvolto
Una storia dissacrante e divertente dell’incontro fra la rivoluzione fascista, giunta a Roma «confezionata e fabbricata come un panettone milanese», e la società aristocratica delle capitale divisa tra la fedeltà “codina” alla vecchia Roma papale e la fedeltà alla monarchia sabauda. Mentre un giovane diplomatico di carriera si preoccupa di far diventare “sopportabile” l’abbigliamento e il modo di comportarsi in pubblico di Mussolini, il parvenu giunto al potere, la rivoluzione fascista non riesce a intaccare vecchi riti e abitudini come la caccia alla volpe e la passione per i cavalli. Il libro racconta la storia minore, ma non per questo meno vera, del difficile rapporto fra un mondo che guarda al passato e un mondo privo di tradizioni: la corsa alla ricerca dei titoli nobiliari, le dame dell’aristocrazia fra sussulti borghesi e rivendicazioni di ruolo, la funzione dell’ippodromo romano delle Capannelle come luogo di socializzazione fra la “nuova classe” e l’antica aristocrazia. Un libro frizzante, un caleidoscopio di personaggi.
Una
storia dissacrante e divertente dell’incontro fra la rivoluzione
fascista, giunta a Roma «confezionata e fabbricata come un panettone
milanese», e la società aristocratica delle capitale divisa tra la
fedeltà “codina” alla vecchia Roma papale e la fedeltà alla monarchia
sabauda. Mentre un giovane diplomatico di carriera si preoccupa di far
diventare “sopportabile” l’abbigliamento e il modo di comportarsi in
pubblico di Mussolini, il parvenu
giunto al potere, la rivoluzione fascista non riesce a intaccare
vecchi riti e abitudini come la caccia alla volpe e la passione per i
cavalli. Il libro racconta la storia minore, ma non per questo meno
vera, del difficile rapporto fra un mondo che guarda al passato e un
mondo privo di tradizioni: la corsa alla ricerca dei titoli nobiliari,
le dame dell’aristocrazia fra sussulti borghesi e rivendicazioni di
ruolo, la funzione dell’ippodromo romano delle Capannelle come luogo di
socializzazione fra la “nuova classe” e l’antica aristocrazia. Un libro
frizzante, un caleidoscopio di personaggi.
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Il Ventennio nell’Urbe Così i nobili romani accolsero il fascismo
22 ott 2015 Libero
Qui a Roma è accaduto tutto», recita un antico aforisma capitolino. E si accolgono tutti. Paciosamente. Dunque, anche i marciatori fascisti del 28 ottobre 1922 furono accettati «in uno spirito di quietismo ottimista». Così scriveva Fabrizio Sarazani, giornalista e cineasta, uomo di mondo e grande frequentatore delle segrete stanze vaticane e patrizie, in una gustosa rievocazione del Ventennio nell’Urbe, apparsa a puntate sul Borghese dal 13 dicembre 1970 al 10 gennaio 1971 e ora riproposta a cura di Francesco Perfetti da Le Lettere (Alla corte del Duce. L'aristocrazia romana e il fascismo, pp. 146, euro 11,50). Già alla vigilia della Marcia la regina Margherita aveva espresso simpatie fasciste, invitando a cena a Bordighera i «comandanti generali» Balbo, De Bono e de Vecchi e formulando auguri alle camicie nere. E l'aristocrazia, con la consueta «flemma sciroccosa romana», aveva salutato nel Duce l’eliminatore di scioperi, tafferugli e spedizioni punitive. Certo, molti fascisti - a partire da Mussolini ostentavano uno spiccio vigore guerresco un po' cafone. Ma i nobili, forti del loro «snobismo sornione», e senza rinunciare ai soliti rituali (dalla caccia alla volpe alle corse dei cavalli), riuscirono a dirozzarli. Siccome, poi, i titoli piacciono a tutti, a vari gerarchi furono concesse «onoreficenze altisonanti». Con tanto di ammissione nei circoli più esclusivi.
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