giovedì 22 ottobre 2015
L'archivio di García Márquez all'Università del Texas
L’Università del Texas ha aperto a Austin la raccolta di documenti appartenuti all’autore premio Nobel Dalle lettere alle foto private
OMERO CIAI repubblica 22 10 2015
A García Márquez, storici, studenti e giornalisti che annusavano nel suo passato alla ricerca di interpretazioni del suo universo letterario, non sono mai piaciuti. Infastidito diceva: «È come se ti beccassero con i pantaloni abbassati». Ma da oggi migliaia di documenti sulla sua vita di scrittore pubblicato, tradotto e amato in tutto il mondo, diventano pubblici presso il Ransom Center dell’Università di Austin in Texas. «Ecco Gabo in mutande», scherzano i giornali colombiani che grazie a Victor García Perdomo, un giovane professore di Bogotà che studia nell’Università americana, hanno avuto
qualche primizia sull’archivio del premio Nobel prima dell’apertura ufficiale. Quarantatré album di foto private, dall’infanzia agli ultimi anni; dieci diverse bozze del famoso racconto inedito En agosto nos vemos (Ci vediamo ad agosto); numerosi frammenti della seconda parte, mai terminata, dell’autobiografia, Vivir para contarla ; quindici versioni dell’ultimo romanzo Memorias de mis putas tristes ; gli originali dattiloscritti di dieci romanzi con una infinità di correzioni, cancellature e annotazioni sui margini; duemila lettere di amici scrittori, da Graham Greene a Carlos Fuentes, che aveva conservato e, infine, un’altra cassa, che sua moglie Mercedes Barcha aveva gelosamente custodito, piena di lettere di ammiratori in tutte le lingue, una Babele di lodi e elogi da tutto il mondo.
22 ott 2015 Corriere della Sera © RIPRODUZIONE RISERVATA L’archivio, che è stato in parte restaurato e verrà completamente digitalizzato, è stato acquistato dal Ransom Center poche settimane dopo la morte dello scrittore, a Città del Messico il 17 aprile del 2014. La famiglia di Márquez – la moglie Mercedes, e i due figli Rodrigo e Gonzalo – cercava un luogo dove poter custodire e rendere pubblici i ricordi privati dello scrittore e, grazie all’agente newyorchese Glenn Horowitz, alla fine ha deciso di cederli per 2,2 milioni di dollari all’Università di Austin. Secondo Victor García Perdomo, che ha scritto in anteprima l’articolo per El Espectador di Bogotà, la parte più interessante dell’archivio sono i 43 album di fotografie. Quelle più vecchie sono state restaurate. «Credo che nessun altro archivio di uno scrittore – ha detto Daniela Lozano, archivista del Ransom – ci siano tante foto rilevanti come quelle di García Márquez. Sono rimasta impressionata soprattutto dalle tante fotografie in situazioni private, con la famiglia e con gli amici. Offrono del personaggio una visione diversa dal solito, molto personale». Ci sono anche molte foto interessanti di Gabo con Fidel Castro, mentre preparano una grigliata, in barca o a pesca a Cuba. E altre immagini di incontri privati con Bill e Hillary Clinton. Di grande interesse sono tutti i dattiloscritti corretti a mano dei sui libri più noti, dai Cent’anni a L’amore ai tempi del colera . Márquez era ossessivo con i suoi libri, correggeva e riscriveva continuamente interi paragrafi e di tutto questo interminabile lavoro conservava pochissime prove. José Montelongo, lo storico della letteratura latino americana che ha accompagnato il direttore del Ransom Center nella casa messicana di Gabo prima dell’acquisizione dell’archivio, sostiene che la peculiarità dei documenti è proprio quella di visualizzare, attraverso le correzioni, il processo creativo. E i “pentimenti” dello scrittore. Circostanza abbastanza rara perché Márquez, oltre che ossessivo, è stato sempre molto geloso del suo modo di lavorare e, in moltissimi casi, per evitare di essere “ beccato con i pantaloni calati”, ha distrutto i suoi quaderni di appunti e le prime bozze originali dei romanzi. Una curiosità che emerge da alcune lettere era la sua intenzione di scrivere in forma di poesia L’autunno del Patriarca , desiderio poi abbandonato perché, confessa, non riusciva a rinunciare alla prosa.
22 ott 2015 Corriere della Sera © RIPRODUZIONE RISERVATA L’Harry Ransom Center di Austin si poteva considerare uno dei templi delle letteratura moderna anche prima dell’acquisizione dell’archivio del premio Nobel. Nelle sue aule si conservano gli archivi di Ja- mes Joyce, William Faulkner, Ernest Hemingway, Virginia Woolf, Jorge Luis Borges e J.M. Coetzee. Ma non sono mancate le polemiche. Soprattutto in Colombia, dove lo scrittore nacque il 6 marzo del 1927. Quando si seppe che i documenti più preziosi di Márquez sarebbero stati conservati in una Università degli Stati Uniti – un Paese che gli negò per anni un visto d’ingresso e che, come rivelano file top secret dell’Fbi declassificati di recente, lo spiò per molto tempo – le autorità colombiane ci rimasero male. Non meno di quelle messicane, visto che Gabo trascorse la maggior parte della sua vita a Città del Messico.
Polemiche che l’università texana ci tiene a smorzare: «Márquez è senza dubbio un patrimonio della Colombia – dice un responsabile del Ransom Center – ma la sua opera è universale e qui a Austin noi siamo in grado di offrire la totale collaborazione per tutti coloro che vorranno studiarlo». La prossima settimana l’università organizzerà un convegno di tre giorni sull’opera dello scrittore che verrà aperto da un intervento di Salman Rushdie. Se l’archivio va in America, le ceneri di Gabo andranno in Colombia. Per l’8 dicembre a Cartagena de Indias, città non lontana da Aracataca, dove Márquez nacque, è prevista la cerimonia per la tumulazione delle sue ceneri.
Acquisito e aperto dal Ransom Center dell’Università di Austin Ritagli, lettere e i romanzi riscritti L’archivio di Gabo, tesoro di tutti
La corrispondenza con Rushdie e i contatti con Jimmy Carter: «Liberate Figueroa Cordero»
Corriere 22 10 2015
Alcuni testi rivisti da Márquez. Sopra: che ha curato la catalogazione —. C’è anche materiale digitale come i file estratti dai dischi rigidi dei computer, che saranno classificati e resi disponibili in futuro». Scorrendo veloce l’indice delle missive catalogate, ci si sente soverchiati dalla storia e dalla letteratura. Rushdie, ma anche Günter Grass, Carlos Fuentes, Julio Cortázar. O leader mondiali come Bill Clinton, Fidel Castro, François Mitterrand, Indira Gandhi, Henry Kissinger. Testimonianze di impegno civile, anche. È il primo ottobre 1977 quando García Márquez scrive al presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter. «Con nessun altro titolo che quello di uno scrittore latinoamericano, vi imploro di considerare, dal profondo del vostro cuore cristiano, la situazione critica del patriota portoricano Andrés Figueroa Cordero, che sta scontando una pena di 23 anni di reclusione negli Usa, e che ora sta affrontando la morte, a causa di una malattia incurabile». Figueroa Cordero viene rilasciato poco dopo.
Parole nette, decise. Pagine ben diverse da quelle tortuose dei suoi manoscritti. «García Márquez creava meticolosamente le sue opere — racconta Megan Barnard, direttore associato per le acquisizioni e l’amministrazione dell’Harry Ransom Center —. Il materiale relativo a Memoria delle mie puttane tristi of f re un chiaro esempio di come rivedesse e riscrivesse bozza dopo bozza il suo lavoro. Per questa sola opera ci sono più di dieci differenti stesure a macchina, tutte con i suoi cambiamenti e le note a mano». Così pure è per En agosto nos vemos (uno dei due inediti che fanno parte dell’archivio, l’altro riguarda le prime bozze relative al secondo volume delle sue memorie): per quest’ultimo romanzo, di cui sono stati pubblicati solo pochi estratti — dice Lozano — «ci sono dieci versioni, inclusa una finale, spedita alla sua agente Carmen Balcells (scomparsa un mese fa, ndr), e alcuni frammenti». I quattro quaderni con le sue critiche a Cent’anni di solitudine, quelli che si racconta siano stati bruciati dopo la pubblicazione dell’opera, rimangono avvolti ancora in un’aura quasi mitologica. Esiste, nell’archivio, una copia del suo capolavoro con qualche piccola annotazione. Dell’Italia, poche tracce: «Principalmente ritagli e qualche lettera», sostiene Lozano. «Mi sono imbattuta in un paio di lettere di Monica Vitti e in un invito del Pci», aggiunge. Ma poi, l’elenco si allunga. Ancora politica — Enrico Berlinguer, Gianni De Michelis — e l’impegno del cinema, con Ettore Scola e Gillo Pontecorvo.
Tra le pagine non perdute
RICCARDO STAGLIANÒ Repubblica 1 11 2015
CI SONO I MANOSCRITTI di Coetzee, rilegati da lui medesimo in cartone ondulato. E c’è la foto di tripudio domestico dove Mercedes Barcha bacia sulla guancia, nel giardino di casa, il marito Gabriel García Márquez che ha appena appreso di aver vinto il Nobel.
L’archivio dell’autore di
Cent’anni di solitudine è solo l’ultimo arrivato all’Harry Ransom Center (Hrc) dell’università del Texas a Austin, un super-caveau delle lettere che cresce come nessun altro: 42 milioni di manoscritti, un milione di libri rari, cinque di fotografie. Ma perché, di tutti i posti, le spoglie cartacee di queste e molte altre superpotenze letterarie finiscono proprio qui? L’università del Texas nella classifica di Us News&World Report arriva cinquantaduesima. Eppure l’Hrc ha stracciato i suoi omologhi di Yale e Harvard quanto a forza attrattiva. Che è un po’ come se Messi al Barcellona preferisse l’Empoli. Ci dev’essere un trucco, ma quale?
Qualche mese fa sono andato a vedere. Il cubo di calcare e vetro, nella cittadella studentesca, assomiglia più a un deposito di lingotti che di libri. Ma con un centro modaiolo e festival di culto come il “South by southwest” Austin ha fatto miracoli nello scrollarsi di dosso i cliché petrolio& pistole e qui ora si viene in cerca di cibo per la mente. Entrare è facile. In teoria è un luogo per ricercatori, in pratica basta dimostrare che vi interessate a un certo autore e nessuno farà storie. Un video preliminare vi dà le istruzioni per l’uso e qualche avvertimento solo all’apparenza banale, tipo non strusciare con i gomiti sopra gli incunaboli (hanno anche una delle ventitré copie complete della Bibbia di Gutenberg, comprata nel 1978 per 2,4 milioni di dollari). Un bibliotecario vi mostra come reperire i materiali sui computer. Entro un quarto d’ora un inserviente vi consegnerà questi parallelepipedi grigio topo pieni di faldoni da consultare su bei tavoli di rovere. Vi mettono anche a disposizione fogli gialli e matite per gli appunti. Una pacchia, a metà strada tra un Luna Park e uno spettacolo per voyeur bibliofili.
Il centro deve il suo nome a Harry Huntt Ransom, preside dell’università negli anni Cinquanta, che denunciò lo scarto tra la povertà dei giacimenti librari rispetto alla ricchezza texana. I petrolieri, punti sul vivo, misero mano al portafogli. E l’università, che siede sul Bacino Permiano e possiede quindi i diritti minerari di un certo numero di pozzi, lo autorizzò a usare un po’ di quel denaro per le acquisizioni. All’inizio furono i modernisti britannici, da Beckett a Joyce, con un’intensità tale che il poeta Philip Larkin lanciò l’allarme che se continuava così tutti gli scrittori in lingua inglese sarebbero finiti in America. Nell’88 nominano direttore Thomas Staley, tanto colto studioso di Joyce quanto una forza della natura nella raccolta fondi. Sotto il suo regno le dotazioni finanziarie passano da un milione di dollari a venticinque milioni. Nella lista dei filantropi da oltre centomila dollari figurano i coniugi Jeanne e Michael L. Klein, benedetti dagli idrocarburi, e il finanziere David G. Booth che aveva già stabilito il record di munificenza verso un’università (300 milioni di dollari alla business school di Chicago, poi ribattezzata). Il primo colpo grosso di Staley è un tesoretto di materiali joyciani che fa uscire dalla Francia, temendo problemi doganali, nascosti in un furgoncino del pane. Ci troveranno, tra l’altro, le correzioni a mano del dublinese al primo capitolo di
Finnegans Wake , sin lì uno dei principali anelli mancanti. Poi è la volta dell’archivio di Tom Stoppard, Isaac Singer, Bernard Malamud, Julian Barnes, Don DeLillo, Mailer, Foster Wallace, materiali di Graham Greene e Coetzee, oltre a Borges, Lessing, Queneau, documenti del Watergate, lettere di Steinbeck e via elencando. Il tutto assicurato, già qualche anno fa, per un miliardo di dollari. Di tutte le attrazioni ospitate all’Hrc la più globalmente magnetica, mi ha spiegato la curatrice Megan Barnard, è l’opus wallaciano. Tra le cose meno note i programmi dei suoi corsi all’università, con i caveat circa la qualità delle opinioni da sviluppare («” Pensavo che la poesia fosse, cioè, ok ” non vi porterà molto lontano. Invece qualsiasi cosa sincera, ogni prodotto di una reale attività neurologica va bene»).
Dà una sensazione ambivalente rovistare tra queste carte. Da una parte l’entusiasmo di avere un osservatorio così intimo nel sistema operativo di un autore idolatrato. Dall’altra la vergogna di sbirciare senza il suo permesso. Pare che Mailer, quando andò a vedere gli scaffali dove la sua corrispondenza sarebbe finita, rispose così: «È senz’altro appropriato. In un modo o nell’altro finiremo tutti in qualche scatola». Chi apre le casse spesso si imbatte in piccole sorprese, come un mezzo sandwich vetrificato e un calzino tra gli scartafacci di Singer. Dai materiali di DeLillo si ha la conferma che il titolo di Rumore bianco doveva essere Panasonic e si apprezza quanto fu seccato dall’indisponibilità dell’azienda giapponese a farglielo usare (tra i titoli alternativi anche All Souls e Ultrasonic ).
Con il congedo di Staley nel 2013, oggi il capo è Stephen Enniss, che a Washington dirigeva la più grande biblioteca shakesperiana al mondo. Non c’è segreto, ci dice, solo buoni ingredienti: «Le acquisizioni vengono fatte grazie a un mix di fondi del centro, dell’università e di filantropi privati». Una sottile linea nera, bituminosa, tiene insieme i tre soggetti, ma il direttore sembra ritenere volgare menzionarlo. Ricorda invece «la reputazione di eccellenza nella catalogazione e nella conservazione e il fatto che si siano già accasati qui autori molto importanti facilita l’arrivo di altri di pari livello ». Il motivo per cui al cimitero del Père-Lachaise hanno voluto finirci da Balzac a Jim Morrison. Non c’è modo di estorcergli quale sia il suo frammento preferito. Padre salomonico, si limita a dire che è rimasto affascinato dai blocchi di McEwan per Espiazione e da un incartamento di racconti con l’etichetta “completi ma abbandonati” («sono sempre attratto dai manoscritti che un romanziere decide di non pubblicare»). Quanto alle prossime acquisizioni, «saranno in linea con il Dna creativo che lega le attuali». Il pasto marqueziano è costato 2,2 milioni di euro. Ci vorrà tempo per smaltirlo.
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