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giovedì 1 ottobre 2015
Perché mi candido al Senato Accademico dell'Università di Urbino
Cara collega, caro collega,
Come anticipato in uno degli ultimi
resoconti della nostra assemblea periodica, presenterò la mia candidatura alle
elezioni per il prossimo Senato Accademico in rappresentanza dei ricercatori a
tempo indeterminato. Ho già ricoperto l'incarico di rappresentante in Cda
diversi anni fa, con l'obiettivo principale (raggiunto solo in parte, bisogna
ammettere) di accelerare il processo di statalizzazione dell'Ateneo e
sconfiggere le resistenze del localismo. Oggi le ragioni della mia candidatura,
che nasce al di fuori da ogni accordo di vertice, sono invece quelle che qui ti
espongo in sintesi.
1) Dalla “mala scuola” alla “mala
università”? Difendere l’autonomia e la dignità della formazione superiore
pubblica
Dopo un pesante intervento sulla
scuola, il governo si prepara a colpire di nuovo l'Università. Da tempo circola
una bozza nella quale viene portato alle estreme conseguenze un ragionamento
sulla struttura di governo degli Atenei e sui compiti della formazione pubblica
superiore che risale almeno ai provvedimenti di Ruberti all'inizio degli anni
Novanta.E' un processo che ha anche a che fare con gli aspetti più perversi del
processo di convergenza europea e che in diverse tappe – da Zecchino a
Berlinguer a Mussi a Moratti a Gelmini – ha snaturato in profondità
l'Università pubblica italiana.
Mentre vengono ridotte anno dopo
anno le risorse del FFO e si stravolgono gli ordinamenti didattici, facendo
dell'Università una sorta di liceo minore, le logiche della ricerca e del
sapere scientifico sono sottomesse alle esigenze di una struttura produttiva
parassitaria e di un mercato del lavoro precarizzato e devastato. E' questo il
presupposto che presiede alla logica di quella “meritocrazia all'italiana” che
ha generato l'Anvur: un organismo che ha fatto dell'irrazionalità il proprio
metro di misura e ha peggiorato drasticamente la vita accademica,
burocratizzandola ulteriormente e incentivando gli aspetti più sgradevoli della
competizione tra colleghi e gruppi di ricerca.
Il risultato è una fortissima
concentrazione del potere nelle mani dei Rettori e del loro staff, l'ingerenza
da parte di soggetti esterni, una concorrenza sfrenata al ribasso tra gli
Atenei e al loro interno, una crescente frustrazione del corpo docente. Nel
frattempo, il problema del rapporto tra sistema formativo e apparato produttivo
del paese, così come tanti altri problemi reali dell'Università - primo tra
tutti quello di una autentica valutazione cooperativa -, non viene nemmeno
sfiorato e l'Italia continua ad avere un numero troppo basso di laureati e di
docenti.
Il governo vorrebbe darci il colpo
di grazia, sancendo per legge la spaccatura del sistema universitario nazionale
in un nuovo sistema duale: poche università “eccellenti”, finanziate sulla base
di un presunto merito certificato dall'Anvur secondo i suoi strampalati criteri
e destinate alla formazione delle classi dirigenti; una pletora di atenei di
massa sottofinanziati.
Contro questa operazione sarà
necessario mobilitarsi molto presto, sapendo che il conflitto sarà più
complicato di quello che divampò sotto Berlusconi e sapendo che anche questa
volta, al di là delle dichiarazioni di facciata, né i Rettori né gli organismi
di governo degli Atenei, né quelle fasce che nell'Università hanno un potere
reale muoveranno un dito: saremo soli in questo conflitto, perché tutti
cercheranno semmai di scaricare proprio sui ricercatori i costi di questa
ennesima controriforma.
Il mio primo impegno sarà dunque
questo: organizzare e mobilitare i colleghi, per quanto possibile, al fine di
difenderci – in coordinamento con iniziative analoghe che stanno per partire in
tutte le Università italiane – di fronte a questo atto ulteriore di
smantellamento della formazione pubblica. Nelle condizioni in cui siamo, nulla di più è possibile
e già questa resistenza sarà difficilissima.
2) Tutti i ricercatori abilitati
vengano chiamati
Sapevamo sin dall'inizio che la
procedura di Abilitazione Scientifica Nazionale era stata pensata anche con
l'intento di dividere ulteriormente il corpo docente e sollecitare la
competizione interna. Purtroppo non siamo riusciti a mettere in atto le
contromisure necessarie e ci siamo fatti del male da soli.
La questione delle abilitazioni e
delle chiamate può essere affrontata da ciascuno di noi in maniera individuale,
cercando di contrattare per quanto possibile il proprio avanzamento di carriera
all'interno dei Dipartimenti sulla base di un rapporto diretto e personale con
il ristretto degli ordinari: è quanto è avvenuto per lo più sinora, senza
grandi successi. Oppure si può cercare di essere per quanto possibili uniti,
nella consapevolezza che muoverci e rivendicare tutti insieme è la condizione
per massimizzare il risultato: è la strada che propongo di seguire.
Il mio impegno – preferisco parlare
con chiarezza e perdere consenso che essere ipocrita - sarà quello di fare
pressione, forte del vostro sostegno, affinché tutte le risorse destinate agli
avanzamenti di carriera siano impiegate per le chiamate di tutti i colleghi
abilitati: in primo luogo quei ricercatori a tempo indeterminato ai quali
il passaggio di fascia conviene ancora sul piano retributivo e pensionistico
(dividere le risorse per 0,20 è la forma di allocazione più razionale, quella
che investe la platea maggiore e che libera prima le risorse successive); in
secondo luogo i ricercatori a tempo determinato abilitati.
A quel punto si potrà passare
all'assunzione di nuovi ricercatori e alle progressioni verso la prima fascia.
Il problema di una crisi del governo dell’Ateneo dovuta alla scarsità di
ordinari, infatti, è solo un trucco retorico per metterci con le spalle al
muro; mentre in mancanza di risorse aggiuntive un nuovo reclutamento, di per sé
auspicabile, diventa principalmente uno strumento per tenere sotto bastone sia
il personale strutturato che quello precario.
Questi due punti fondamentali
richiederanno già di per sé un notevole lavoro, per il quale sarà necessario
l'aiuto di tutti i colleghi. Essi si completano, però, in queste altre due
proposte:
3) Una politica redistributiva di
perequazione interna all'Ateneo
Da tempo lo Stato e il Ministero
hanno abdicato completamente ad ogni responsabilità di redistribuzione delle
risorse tra gli Atenei e tra le categorie del corpo docente, preferendo la
strada di una competizione sregolata che favorisce chi è già più forte. In una
situazione di FFO decrescente e di stipendi bloccati, gli Atenei dovrebbero
perciò supplire per quanto possibile a questa funzione perequativa, dotandosi
di un meccanismo di redistribuzione interna.
A questo proposito, si può
intervenire in due modi: 1) nella distribuzione dei fondi di ricerca, a fronte
di una produzione scientifica accertata secondo criteri realmente adeguati a
ciascun settore, i ricercatori devono ricevere maggiori risorse rispetto alle
altre fasce; 2) soprattutto, è necessario rivedere il pagamento degli
insegnamenti dei ricercatori, che vanno fortemente rivalutati.
Sempre a fronte di una produttività
accertata secondo i criteri specifici di ogni area scientifica, queste misure
di perequazione dovranno essere rivolte in particolare a vantaggio di quei
colleghi che non hanno ancora ottenuto l'abilitazione e di quelli per i quali
un avanzamento di carriera è ormai controproducente sul piano economico.
Queste forme di redistribuzione
intendono restituire all'Università anche una funzione di autogoverno, di reale
autonomia e solidarietà interna e valgono per gli aspetti economici ma valgono
ancora di più per il potere: anche gli incarichi di governo dei
dipartimenti, delle scuole e dell'Ateneo vanno redistribuiti, ampliando al
massimo – anche lavorando tra le maglie della legge - le funzioni dirigenti dei
ricercatori.
4) Un nuovo assetto universitario
regionale come alternativa al declino
La proposta di dare priorità ai
ricercatori nelle progressioni di carriera solleverà la prevedibile obiezione
della necessità di salvaguardare la mitica “governance” di Ateneo e
Dipartimenti e l'offerta formativa. E' un modo sbagliato di affrontare la
questione, soprattutto da parte di una fascia, quella degli ordinari, che sa
praticare il corporativismo economico e quello del potere molto meglio di noi.
Da un lato, gli associati possono svolgere le stesse funzioni degli ordinari in
mancanza di queste figure; dall'altro, i problemi e le carenze strutturali del
nostro ateneo sono molto più ampi e così gravi che in nessun caso sarebbe
possibile, con le risorse a disposizione e con quelle prevedibili, garantire a
lungo un'offerta formativa così ampia.
Si tratta semmai di fare un
ragionamento complessivo: quanto a lungo l'Ateneo di Urbino potrà andare avanti
con le proprie gambe in questo scenario? E' pensabile un futuro di sviluppo per
l'Università italiana e per Urbino in particolare o andiamo incontro a una
stagnazione se non a un declino? Inoltre: è' realistico che in un bacino di
utenza molto limitato come quello delle Marche siano presenti ben quattro
università? Non sarebbe meglio pensare sin d'ora a un processo di convergenza
regionale, confrontandoci con gli altri Atenei e contrattando mentre siamo
ancora vivi e in piedi, piuttosto che farci comprare domani per un tozzo di
pane? Vogliamo replicare i colpevoli ritardi già scontati per la
statalizzazione, a causa dei quali siamo nella situazione in cui ci troviamo?
A questo proposito non pretendo di
avere una ricetta già pronta e molte cose devono essere approfondite. Il mio
intento è però quello di sollecitare quantomeno l’apertura a breve di un
dibattito: discutere di un assetto delle università marchigiane che sia più
razionale e sostenibile di quello attuale e che veda Urbino di nuovo in prima
fila.
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Come vedi, si tratta di sfide
piuttosto impegnative, anche se non esaustive. Ed è prevedibile che per
affrontarle sarà necessario a volte entrare in conflitto con le componenti più
forti dell'ateneo e anche con gli organismi di direzione. Mai come oggi però, a
guardar bene, ogni proposito realmente costruttivo – e costruttivo dovrà essere
il mio come il vostro impegno - passa anzitutto proprio per il conflitto. Ogni
finzione paternalistica di un'uniformità di situazioni e interessi e di
un'inesistente solidarietà di intenti - “siamo tutti sulla stessa barca” ci ha
detto il Rettore in una delle ultime assemblee, dimenticando il fatto che su
questa barca le diverse componenti occupano posizioni molto diverse – è in realtà
la copertura e la legittimazione dei rapporti di forza vigenti.
Credo di essere stato chiaro e se mi
voterai come ti chiedo, sulla base di questo programma esplicito, saprai perciò
già in quale direzione intendo andare. Le elezioni saranno in tal modo anche
l'occasione per misurare gli umori e l'orientamento complessivo dei colleghi di
fronte alla crisi dell'università italiana e del nostro Ateneo in particolare:
se la mia impostazione non dovesse essere valutata opportuna, ovviamente,
nessuna tragedia.
Grazie per l'attenzione e un caro
saluto,
Stefano G. Azzarà
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Roberto Ciccarelli Manifesto 30.9.2015, 23:59
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Cercasi via di fuga dalla «Buona Università» di Renzi
La riforma annunciata estenderà il «Jobs Act» anche ai precari della ricerca e porterà un attacco alle garanzie costituzionali della docenza universitaria. Il governo tiene ancora un profilo basso, tra indiscrezioni inquietanti. Oggi e domani a Roma assemblea nazionale della Flc-Cgil: si cerca un’uscita dalla crisi epocale
L’assemblea «Fuori dall’emergenza, costruiamo insieme una via d’uscita dalla crisi dell’università», organizzata dalla Flc-Cgil oggi e domani al dipartimento di Architettura di Roma Tre a Roma (Largo Giovanni Battista Marzi 10) apre la stagione politica dell’università. Quella che dovrebbe portare all’approvazione, via decreto, della molto vociferata — ma al momento priva di contenuti — «Buona Università» annunciata da Renzi: la «riforma» che estenderà il «Jobs Act» anche ai precari della ricerca e porterà un attacco alle garanzie costituzionali della docenza universitaria escludendola dalla pubblica amministrazione.
Progetti roboanti ma di cui, ancora, non c’è traccia. Il governo ha infatti spento i riflettori dopo la mobilitazione contro la riforma della scuola e dopo una serie di uscite non proprio smaglianti. Memorabile è stata la «giornata d’ascolto» organizzata dal Pd a febbraio, quando Francesca Puglisi — la responsabile scuola-università del partito — presentò agli invitati una bozza di discussione sulla riforma che in realtà era stata decisa un mese e mezzo prima. Seguirono infuocate polemiche.
Università: Renzi è la continuazione della riforma Gelmini con gli stessi mezzi
Oggi il profilo è basso: nella legge di stabilità ci sarebbero 100 milioni di euro per la «chiamata diretta» per nuovi docenti, praticamente una cooptazione libera a dispetto dei concorsi; ci potrebbe essere un «restyling» dei contratti precari (dottorato, assegnisti, borsisti e altri) in un contratto unico — «a tutele crescenti» del Jobs Act; forse una manutenzione della riforma dei criteri Isee che impediscono agli studenti aventi diritto di accedere alle borse di studio. Emergenze a cui il governo potrebbe rimediare con qualche toppa, usando la logica di chi guarda il dito e non la luna.
Università: fine annunciata dopo quattro anni da cavia
La crisi del sistema universitario è prodotta dalle incogruenze del sistema della valutazione Anvur che mette in competizione diretta gli atenei del Sud con quelli del Nord. La distribuzione delle premialità e dei «punti organico» previsti dalla «riforma» Gelmini ha privato gli atenei del Centro-Sud di quasi 700 ricercatori dirottati verso quelli del Nord-Italia. Una trasformazione genetica dell’università che sarà amplificata dalla nuova «Valutazione della Qualità della ricerca» (Vqr) ai nastri di partenza. Nel programmato dissolvimento dell’università pubblica, qualcosa si muove ma sembra avere un profilo corporativo. Il blocco degli stipendi dal 2010 ha prodotto una protesta tra i docenti che è partita da Torino e si è estesa altrove. Si parla di un boicottaggio della «Vqr» se non ci sarà l’adeguamento salariale. Nell’università ostaggio della meritocrazia, e dissanguata dai tagli, serpeggia il malcontento.
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