domenica 4 ottobre 2015

Rovine. Una mostra a Roma
























Dalla nostalgia delle rovine la forza di ricominciare 
Una mostra alla Galleria Nazionale di Roma racconta il fascino delle macerie antiche e moderne, tra dipinti, sculture, trailer e musica 
Flavia Amabile Stampa 13 10 2015
Nell’ultimo secolo l’abbiamo dimenticato ma dall’antichità in poi le rovine sono anche state arte, letteratura, cultura. Cicerone si ferma a riflettere davanti a Corinto distrutta, Properzio scrive versi sui resti di Veio, potenza etrusca ai suoi tempi in rovina. Nobili e intellettuali romani riflettono sulla caducità della vita che il loro popolo ha provocato. Intuiscono il destino che li attende, saranno proprio le rovine romane a diventare lo sfondo preferito, quasi un esotismo, di molta pittura dei secoli seguenti. Altre rovine seguiranno, fino ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, o i resti Beirut distrutta dalla guerra civile e L’Aquila dal terremoto diventando capolavori del cinema, della fotografia, dell’arte. Tutto questo è raccontato in una mostra a Palazzo Altemps a Roma che resterà aperta fino al 31 gennaio 2016. 
Sono 127 opere tra sculture e pitture, incisioni e acquerelli, antichi volumi, e poi fotografie, video, pubblicità, trailer di film, brani musicali, testi scritti e, certo, anche quadri permettono di ricostruire che cosa sono state per il mondo le rovine dal 40 d.C ai nostri giorni. E’ lo spettacolo dello squallore e della devastazione che si mescola alla perfezione delle statue romane in esposizione permanente nel Museo. L’effetto finale è forte, un contrasto netto tra la bellezza originaria di busti e forme antiche e il loro inevitabile epilogo. 
Alla fine più che una mostra è un atto di coraggio, una scommessa che esce fuori dai soliti modelli di mostre ,fortemente voluta dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma. E rappresenta anche l’occasione, come ha spiegato il Soprintendente Francesco Prosperetti, per «far conoscere e riscoprire Palazzo Altemps, uno scrigno prezioso di bellezza».
La mostra si divide in nove sezioni ognuna dedicata ad un tema diverso ma tutti intimamente legati. Ci sono le catastrofi naturali ed artificiali guerre, disastri nucleari e ambientali e terremoti raccontate come in uno specchio. Le immagini di Gibellina con il dipinto di Renato Guttuso che mostra un ammasso di cadaveri e una donna disperata dopo il terremoto del Belice, è messo a confronto con la fotografia di Massimo Cristaldi nella quale il teatro progettato da Pietro Consagra per la stessa città è diventato una rovina involontaria.
C’è l’angolo dedicato a Giambattista Piranesi, vero e proprio esperto nel mettere a nudo l’anatomia delle rovine e quello sulla musica tra canti gregoriani e Variazioni di Goldberg partendo dal presupposto che è il frammento all’origine di una composizione. Ci sono le Muallaqat, poemi sospesi della letteratura preislamica scritti in lettere dorate su pezzi di lino che in seguito saranno ripiegati e appesi alla Ka’ba. E c’è anche l’angolo trash con la pubblicità della cintura Gibaud e un doveroso omaggio a Fellini e alla scena girata tra i resti di una casa romana e di suoi affreschi riemersi durante i lavori della metropolitana di Roma. 
Come sottolinea da uno dei curatori, Marcello Barbanera, che ha curato la mostra insieme con con Alessandra Capodiferro (direttrice di Palazzo Altemps): «Quando si parla di rovine si pensa subito ai paesaggi romantici del Cinquecento o Settecento, tuttavia l’idea in questo caso non vuole essere consolatoria, le rovine in fondo rappresentano la grande metafora dell’esistenza umana, fatta anche di guerre e distruzione come purtroppo abbiamo avuto modo di constatare recentemente a Palmira».
«Il nostro obiettivo è raccontare una storia - prosegue Marcello Barbanera - Abbiamo voluto proporre una commistione tra alto e basso, tra artisti noti e meno noti, e siamo partiti dal contemporaneo, anche se noi creiamo macerie che non hanno il tempo di diventare rovine».
«Abbiamo voluto dare un segno di discontinuità: non capita spesso una raccolta così estesa di opere e autori che attraversa i secoli - sottolinea Francesco Prosperetti - e riflette su un concetto che ha permeato il pensiero dell’uomo fin dall’antichità e il cui significato si è evoluto nel corso della storia».

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