Thomas Guénolé:
Les jeunes de banlieue mangent-ils les enfants?, Le bord de l'eau
Risvolto
Le « jeune-de-banlieue » est devenu l’ogre des temps modernes. Arabe
mal rasé de 15-35 ans vêtu d’un survêtement à capuche, il se promène
avec un cocktail Molotov dans une main et une kalachnikov dans l’autre.
Il fume du shit dans les cages d’ascenseur, il brûle des voitures ; il
gagne sa vie grâce à des trafics de toutes sortes et en fraudant les
allocations sociales. Sa sexualité consiste à violer les filles en bande
dans des caves ; sa spiritualité, à écouter les prêches djihadistes de
l’« islam-des-banlieues », dans des caves également. Il hait la France,
l’ordre, le drapeau, et bien sûr, il déteste les Français (comprendre :
« les Blancs »). Il aime le jihad et l’islamisme. Son rêve : partir en
Syrie se battre aux côtés d’Al Qaïda, pour ensuite revenir en France
commettre des attentats. Il ne serait donc pas étonnant que bientôt les
parents disent à leurs enfants : « Si tu n’es pas sage, le
jeune-de-banlieue viendra te chercher. »
La réalité est moins spectaculaire... L’ascenseur social étant à
l’arrêt depuis longtemps, seule une toute petite minorité de jeunes de
banlieue arrive à s’en sortir. Pour les autres, tous les autres, la vie
est une galère de jeune pauvre urbain qui vivote et ne sortira pas du
ghetto.
Thomas Guénolé déconstruit le stéréotype du monstrueux
« jeune-de-banlieue ». Il décrit la « balianophobie » qui inonde la
société française des élites aux classes populaires.
Thomas GUÉNOLÉ est un politologue français (PhD
Sciences Po CEVIPOF). Essayiste, il a publié mi-2013 le premier ouvrage
consacré à l’hypothèse du retour de Nicolas Sarkozy en politique (Nicolas Sarkozy, chronique d’un retour impossible,
éd.First, 2013). Il est très régulièrement sollicité par les grands
médias nationaux (RMC, France Culture, Europe 1, BFMTV, Canal+…) pour
expliquer la vie politique au grand public. En 2015, il a créé le Prix annuel du menteur en politique, décerné par un jury de journalistes politiques.
Le traiettorie della paura
Saggi. «Les jeunes de banlieue mangent-ils les enfants?» di Thomas Guénolé: un autentico «livre de combat», un vero manuale di controinformazione
Guido Caldiron Manifesto 31.10.2015, 0:06
Impertinente caso editoriale fin dal titolo, Les jeunes de banlieue mangent-ils les enfants?, Editions Le Bord de l’Eau (pp. 213, euro 17), il saggio del giovane politologo Thomas Guénolé, che si avvale della prefazione di un nome illustre della ricerca sociale europea quale è quello di Emmanuel Todd, pubblicato alla vigilia dell’anniversario della grande rivolta delle periferie francesi scoppiata nel 2005, passa in rassegna pregiudizi e stereotipi che caratterizzano lo sguardo di buona parte della società transalpina sui giovani delle periferie metropolitane.
Se a dieci anni dalla loro morte, mentre gli agenti coinvolti sono stati tutti prosciolti, una strada di Clichy-sous-Bois è stata intitolata a Zyed Benna e Bouna Traoré, i due adolescenti che rimasero uccisi per sfuggire a un inseguimento della polizia, provocando le violente proteste che dalla cintura urbana di Parigi si sarebbero rapidamente estese all’intero paese, il libro segnala come molto poco sia cambiato rispetto alle tragiche dichiarazioni rilasciate dal ministro degli Interni dell’epoca, e futuro presidente, Nicolas Sarkozy che definì «racaille», feccia, i giovani banlieusard e promise che uno di questi quartieri, La Courneuve, sarebbe stato «ripulito con il karcher», gli idranti con cui i netturbini spazzano i bagni pubblici e i boulevard, dopo la morte violenta di un altro ragazzo.
Pensato, secondo Todd, come un autentico «livre de combat», una sorta di «manuale di contro-informazione» si potrebbe dire ricorrendo ad un vocabolario d’altri tempi, Les jeunes de banlieue mangent-ils les enfants? individua e si ripromette di confutare le criticità che emergono nella narrazione collettiva e dominante sulle banlieue, e in particolare sui loro giovani abitanti, specie se di origine maghrebina o africana, oggetto di una discriminazione preventiva, che tende a determinarne la possibile traiettoria, che si presume non possa che condurre a «un’esistenza parassitaria», quando non ad esplicite attività criminali o addirittura al terrorismo di matrice islamista, e questo per il solo fatto di provenire da determinati quartieri e zone delle metropoli. Sviluppato attraverso voci che fanno riferimento ai punti maggiormente toccati dal dibattito pubblico francese, da Islam e velo, a giovani e malavita, alla crescita di un nuovo antisemitismo, fino alla situazione sociale di questi quartieri, con particolare attenzione all’istruzione e al lavoro, e al modo in cui i media e l’industria culturale contribuiscono al prendere piede di cliché e pregiudizi, la ricerca di Guénolé analizza anche il rapporto della politica con «la gente di banlieue» e il ruolo che intellettuali e commentatori, soprattutto ma non esclusivamente di destra, giocano nel diffondersi di un’immagine atta a suscitare paura e inquietudine nell’opinione pubblica — quella per cui l’autore ha coniato il neologismo di «banlianophobie mediatica» -, attraverso la trasformazione dei giovani delle periferie in una specie di «mostri della porta accanto» per molti francesi.
Questo, come sottolinea Guénolé, malgrado «per la stragrande maggioranza dei ragazzi delle banlieue — con l’eccezione di un’esigua minoranza composta da chi riesce nella sua ascesa sociale o, al contrario, vive di traffici diversi o, in misura ancora minore, precipita nell’adesione al totalitarismo wahabita o salafita -, la realtà quotidiana equivale alla routine di un giovane povero che tira a campare e non riuscirà mai ad uscire in alcun modo dal ghetto in cui vive: tra costoro, 6 su 10 hanno un lavoro sottopagato o precario, 4 su 10 sono disoccupati».
In sintesi, come spiega Emmanuel Todd, si tratta di un volume che è frutto di un attento lavoro di documentazione, ma anche della sincera volontà di decostruire quei luoghi comuni che sono alla base di scelte politiche dalle conseguenze nefaste. Questo perché, a detta del celebre intellettuale, l’autore è riuscito a sottrarsi «alla grande separazione, alla doppia irresponsabilità: è, come i giornalisti, ancorato al presente e alle sue crisi, ma allo stesso tempo si muove in una percezione sociologica e statistica dei fenomeni e dei loro meccanismi».
Gli orchi non vivono in periferia
Intervista. A dieci anni dalla più grande rivolta urbana della storia francese, parla il politologo Thomas Guénolé, autore del libro diventato un caso «Les jeunes de banlieue mangent-ils les enfants?»
Guido Caldiron Manifesto 31.10.2015, 0:03
Arabo, mal rasato, tra i tredici e i trent’anni, indossa una felpa con il cappuccio e cammina con una Molotov in una mano e un coltello nell’altra. Si fa una canna nei sottoscala. Incendia delle auto. Tira a campare grazie a dei traffici illeciti o frodando l’assistenza sociale. Stupra le ragazze nelle cantine; ascolta le prediche fondamentaliste nelle stesse cantine. Odia la Francia, l’ordine e detesta i francesi (intesi come ’bianchi’). Ama la jihad. Il suo sogno: battersi in Siria al fianco di Al Qaeda o dell’Isis, per poi tornare in Francia per commettere degli attentati. Il ’giovane della periferia’ è l’orco dei tempi moderni».
Politologo e docente a Sciences Po e all’Hec di Parigi, cofondatore di Vox Politica, collaboratore di Libération, di Bfmtv e del sito Slate.fr, Thomas Guénolé ha suscitato un ampio dibattito con il suo recente Les jeunes de banlieue mangent-ils les enfants?, uscito nell’anniversario dalla più grande rivolta urbana della storia francese, scoppiata nell’ottobre del 2005. Dieci anni dopo la grande rivolta il suo libro cerca di smontare il mito negativo che circonda la figura del «giovane di periferia», fantasma ricorrente che alimenta ogni sorta di timore nella società. Cosa è cambiato nel frattempo e chi sono davvero questi ragazzi?
Passo dopo passo, nel corso di questo decennio, il razzismo è diventato un fenomeno di massa in Francia. Dieci anni fa, Nicolas Sarkozy introduceva nel dibattito pubblico un linguaggio aggressivo nei confronti dei banlieusard, ma erano in campo anche altre opzioni. Oggi, il dibattito è totalmente dominato da quel tipo di toni e posizioni che puntano ad alimentare paura e inquitudine, in un modo del tutto immotivato. I giovani che vivono in banlieue sono infatti poco più di un milione e nel 98% dei casi non sono né dei «parassiti», né dei delinquenti o appartenenti a bande criminali, né dei proseliti dell’islam radicale. Solo che il cosiddetto ascensore sociale è in panne da tempo e così soltanto un piccolo numero di costoro riesce a trovare un lavoro qualificato o a costruirsi una carriera degna di questo nome e, di conseguenza, a cambiare quartiere lasciando le periferie. Per tutti gli altri, si tratta di sopravvivere tra disoccupazione, lavoretti precari, «l’arte di arrangiarsi» e la noia. O la frustrazione di un orizzonte senza prospettive. Inoltre, c’è una cosa che salta subito agli occhi: queste zone presentano le medesime caratteristiche socio-economiche dei paesi in via di sviluppo: il fatto che un abitante su due sia giovane, sotto in trent’anni, l’elevato tasso di disoccupazione, l’assenza di formazione, lo stato di abbandono delle infrastrutture.
Gli stereotipi e i pregiudizi in base ai quali sono descritti questi giovani celano in realtà una nuova «questione sociale»?
In gran parte sì. Nel momento in cui il vostro benessere poggia sulla povertà di qualcun’altro, avrete sempre bisogno di demonizzare quest’ultimo per giustificare la patente ingiustizia, anche solo di fronte a voi stessi. In caso contrario, se si dovesse ammettere che, come è nella realtà dei fatti, la grande maggioranza dei giovani disoccupati, precari o senza alcun redditto di questo paese, vale a dire i ragazzi delle banlieue, non sono né dei banditi né degli approfittatori e non rappresentano alcun tipo di pericolo, la prosperità e l’agio di cui godono le classi medio-alte del paese risulterebbero intollerabili di fronte a una tale estensione della povertà. In questo senso, la stigmatizzazione dei banlieusard è pressoché necessaria per i maschi bianchi e adulti appartenenti alle classi superiori che guidano la nostra società. I mostruosi ragazzi delle periferie incarnano le peggiori paure di costoro: la paura dei giovani, dei poveri, degli arabi, dei neri, dei musulmani. E minacciano le loro case, i loro beni, le loro donne, ogni cosa. Per risolvere il cosiddetto problema delle banlieue si dovrebbe in realtà abbattere il sistema di segregazione economica sociale e culturale su cui si basa la Francia del 2015.
Il sociologo Emmanuel Todd sostiene che malgrado le grandi manifestazioni unitarie che hanno fatto seguito alla strage a «Charlie Hebdo», il paese non abbia in realtà superato le sue divisioni e in particolare l’esclusione che colpisce gli abitantti delle periferie urbane. È d’accordo?
In effetti, come ha spiegato Todd, quella che va per la maggiore è in realtà un’affermazione falsa. Dopo la strage, è il ceto medio a essere sceso in piazza e a essersi presentato come portavoce dell’intera nazione. Ma in quelle manifestazioni i giovani delle banlieue, come il resto dei ceti popolari, erano scarsamente rappresentati. Nello specifico, i poveri sono rimasti ai margini della mobilitazione esattamente perché sono esclusi dalla società e dalla politica. Inoltre, un po’ meno della metà dei giovani di periferia è cresciuta in famiglie musulmane, anche se non frequenta le moschee o segue i precetti — le ricerche più recenti indicano che solo il 20% di loro si definisce «praticante». Partecipare a iniziative che, in molti casi, potevano apparire come critiche verso l’Islam rappresentava qualcosa di molto complesso. Piuttosto, la tragedia di gennaio ha avuto una conseguenza diretta sulla percezione che si ha di questi giovani: dal «mostro delle banlieue» si è passati al «mostro musulmano».
Lei descrive l’insieme delle retoriche pregiudiziali attive in questo contesto come una «balianophobie» alimentata dai media, da commentatori come Eric Zemmour o da intellettuali come Alain Finkielkraut che conducono una campagna sulla presunta «decadenza» della Francia.
Con il termine di balianophobie ho voluto descrivere il mix di paura e odio verso i giovani delle banlieue che sembra caratterizzare la nostra classe media, il nostro sistema informativo, il nostro cinema ma anche le élite del paese. Si tratta di sostituire sistematicamente la realtà con dei cliché che incutono timore e inquietudine.
Penso a film di successo come Intouchables, dove Omar Sy interpreta il ruolo di un ragazzo di periferia che diventa un gangster o alle parole di Finkielkraut che già all’epoca della rivolta del 2005 evocava la «pista jihadista» dietro alle proteste; proprio lui che nel ’68 stava dalla parte di chi tirava i sassi contro i poliziotti. Il problema è che le idee degli intellettuali reazionari sembrano essere divenute egemoniche nella Francia odierna.
Si tratta del compimento di un percorso iniziato all’indomani dell’11 settembre e che si è fatto via via più aggressivo. La messa in discussione della grandeur del paese a causa della crisi economica e di diversi fattori geopolitici e l’impasse del modello repubblicano, producono un terreno favorevole a discorsi basati sul sospetto e sulla ricerca di un capro espiatorio e i giovani di banlieue sembrano fatti apposta per incarnare questa minaccia, sono l’«altro» per antonomasia.
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