sabato 31 ottobre 2015

Sociologia e antropologia dei giovani di banlieu

Thomas Guénolé: Les jeunes de banlieue mangent-ils les enfants?, Le bord de l'eau

Risvolto
  Le « jeune-de-banlieue » est devenu l’ogre des temps modernes. Arabe mal rasé de 15-35 ans vêtu d’un survêtement à capuche, il se promène avec un cocktail Molotov dans une main et une kalachnikov dans l’autre. Il fume du shit dans les cages d’ascenseur, il brûle des voitures ; il gagne sa vie grâce à des trafics de toutes sortes et en fraudant les allocations sociales. Sa sexualité consiste à violer les filles en bande dans des caves ; sa spiritualité, à écouter les prêches djihadistes de l’« islam-des-banlieues », dans des caves également. Il hait la France, l’ordre, le drapeau, et bien sûr, il déteste les Français (comprendre : « les Blancs »). Il aime le jihad et l’islamisme. Son rêve : partir en Syrie se battre aux côtés d’Al Qaïda, pour ensuite revenir en France commettre des attentats. Il ne serait donc pas étonnant que bientôt les parents disent à leurs enfants : « Si tu n’es pas sage, le jeune-de-banlieue viendra te chercher. »
La réalité est moins spectaculaire... L’ascenseur social étant à l’arrêt depuis longtemps, seule une toute petite minorité de jeunes de banlieue arrive à s’en sortir. Pour les autres, tous les autres, la vie est une galère de jeune pauvre urbain qui vivote et ne sortira pas du ghetto.
Thomas Guénolé déconstruit le stéréotype du monstrueux « jeune-de-banlieue ». Il décrit la « balianophobie » qui inonde la société française des élites aux classes populaires.
Thomas GUÉNOLÉ est un politologue français (PhD Sciences Po CEVIPOF). Essayiste, il a publié mi-2013 le premier ouvrage consacré à l’hypothèse du retour de Nicolas Sarkozy en politique (Nicolas Sarkozy, chronique d’un retour impossible, éd.First, 2013). Il est très régulièrement sollicité par les grands médias nationaux (RMC, France Culture, Europe 1, BFMTV, Canal+…) pour expliquer la vie politique au grand public. En 2015, il a créé le Prix annuel du menteur en politique, décerné par un jury de journalistes politiques. 

Le traiettorie della paura 

Saggi. «Les jeunes de banlieue mangent-ils les enfants?» di Thomas Guénolé: un autentico «livre de combat», un vero manuale di controinformazione 

Guido Caldiron Manifesto 31.10.2015, 0:06 

Imper­ti­nente caso edi­to­riale fin dal titolo, Les jeu­nes de ban­lieue mangent-ils les enfants?, Edi­tions Le Bord de l’Eau (pp. 213, euro 17), il sag­gio del gio­vane poli­to­logo Tho­mas Gué­nolé, che si avvale della pre­fa­zione di un nome illu­stre della ricerca sociale euro­pea quale è quello di Emma­nuel Todd, pub­bli­cato alla vigi­lia dell’anniversario della grande rivolta delle peri­fe­rie fran­cesi scop­piata nel 2005, passa in ras­se­gna pre­giu­dizi e ste­reo­tipi che carat­te­riz­zano lo sguardo di buona parte della società tran­sal­pina sui gio­vani delle peri­fe­rie metropolitane. 
Se a dieci anni dalla loro morte, men­tre gli agenti coin­volti sono stati tutti pro­sciolti, una strada di Clichy-sous-Bois è stata inti­to­lata a Zyed Benna e Bouna Traoré, i due ado­le­scenti che rima­sero uccisi per sfug­gire a un inse­gui­mento della poli­zia, pro­vo­cando le vio­lente pro­te­ste che dalla cin­tura urbana di Parigi si sareb­bero rapi­da­mente estese all’intero paese, il libro segnala come molto poco sia cam­biato rispetto alle tra­gi­che dichia­ra­zioni rila­sciate dal mini­stro degli Interni dell’epoca, e futuro pre­si­dente, Nico­las Sar­kozy che definì «racaille», fec­cia, i gio­vani ban­lieu­sard e pro­mise che uno di que­sti quar­tieri, La Cour­neuve, sarebbe stato «ripu­lito con il kar­cher», gli idranti con cui i net­tur­bini spaz­zano i bagni pub­blici e i bou­le­vard, dopo la morte vio­lenta di un altro ragazzo. 
Pen­sato, secondo Todd, come un auten­tico «livre de com­bat», una sorta di «manuale di contro-informazione» si potrebbe dire ricor­rendo ad un voca­bo­la­rio d’altri tempi, Les jeu­nes de ban­lieue mangent-ils les enfants? indi­vi­dua e si ripro­mette di con­fu­tare le cri­ti­cità che emer­gono nella nar­ra­zione col­let­tiva e domi­nante sulle ban­lieue, e in par­ti­co­lare sui loro gio­vani abi­tanti, spe­cie se di ori­gine magh­re­bina o afri­cana, oggetto di una discri­mi­na­zione pre­ven­tiva, che tende a deter­mi­narne la pos­si­bile tra­iet­to­ria, che si pre­sume non possa che con­durre a «un’esistenza paras­si­ta­ria», quando non ad espli­cite atti­vità cri­mi­nali o addi­rit­tura al ter­ro­ri­smo di matrice isla­mi­sta, e que­sto per il solo fatto di pro­ve­nire da deter­mi­nati quar­tieri e zone delle metro­poli. Svi­lup­pato attra­verso voci che fanno rife­ri­mento ai punti mag­gior­mente toc­cati dal dibat­tito pub­blico fran­cese, da Islam e velo, a gio­vani e mala­vita, alla cre­scita di un nuovo anti­se­mi­ti­smo, fino alla situa­zione sociale di que­sti quar­tieri, con par­ti­co­lare atten­zione all’istruzione e al lavoro, e al modo in cui i media e l’industria cul­tu­rale con­tri­bui­scono al pren­dere piede di cli­ché e pre­giu­dizi, la ricerca di Gué­nolé ana­lizza anche il rap­porto della poli­tica con «la gente di ban­lieue» e il ruolo che intel­let­tuali e com­men­ta­tori, soprat­tutto ma non esclu­si­va­mente di destra, gio­cano nel dif­fon­dersi di un’immagine atta a susci­tare paura e inquie­tu­dine nell’opinione pub­blica — quella per cui l’autore ha coniato il neo­lo­gi­smo di «ban­lia­no­pho­bie media­tica» -, attra­verso la tra­sfor­ma­zione dei gio­vani delle peri­fe­rie in una spe­cie di «mostri della porta accanto» per molti francesi. 
Que­sto, come sot­to­li­nea Gué­nolé, mal­grado «per la stra­grande mag­gio­ranza dei ragazzi delle ban­lieue — con l’eccezione di un’esigua mino­ranza com­po­sta da chi rie­sce nella sua ascesa sociale o, al con­tra­rio, vive di traf­fici diversi o, in misura ancora minore, pre­ci­pita nell’adesione al tota­li­ta­ri­smo waha­bita o sala­fita -, la realtà quo­ti­diana equi­vale alla rou­tine di un gio­vane povero che tira a cam­pare e non riu­scirà mai ad uscire in alcun modo dal ghetto in cui vive: tra costoro, 6 su 10 hanno un lavoro sot­to­pa­gato o pre­ca­rio, 4 su 10 sono disoccupati». 
In sin­tesi, come spiega Emma­nuel Todd, si tratta di un volume che è frutto di un attento lavoro di docu­men­ta­zione, ma anche della sin­cera volontà di deco­struire quei luo­ghi comuni che sono alla base di scelte poli­ti­che dalle con­se­guenze nefa­ste. Que­sto per­ché, a detta del cele­bre intel­let­tuale, l’autore è riu­scito a sot­trarsi «alla grande sepa­ra­zione, alla dop­pia irre­spon­sa­bi­lità: è, come i gior­na­li­sti, anco­rato al pre­sente e alle sue crisi, ma allo stesso tempo si muove in una per­ce­zione socio­lo­gica e sta­ti­stica dei feno­meni e dei loro meccanismi».



Gli orchi non vivono in periferia 
Intervista. A dieci anni dalla più grande rivolta urbana della storia francese, parla il politologo Thomas Guénolé, autore del libro diventato un caso «Les jeunes de banlieue mangent-ils les enfants?» 

Guido Caldiron Manifesto 31.10.2015, 0:03 

Arabo, mal rasato, tra i tre­dici e i trent’anni, indossa una felpa con il cap­puc­cio e cam­mina con una Molo­tov in una mano e un col­tello nell’altra. Si fa una canna nei sot­to­scala. Incen­dia delle auto. Tira a cam­pare gra­zie a dei traf­fici ille­citi o fro­dando l’assistenza sociale. Stu­pra le ragazze nelle can­tine; ascolta le pre­di­che fon­da­men­ta­li­ste nelle stesse can­tine. Odia la Fran­cia, l’ordine e dete­sta i fran­cesi (intesi come ’bian­chi’). Ama la jihad. Il suo sogno: bat­tersi in Siria al fianco di Al Qaeda o dell’Isis, per poi tor­nare in Fran­cia per com­met­tere degli atten­tati. Il ’gio­vane della peri­fe­ria’ è l’orco dei tempi moderni». 
Poli­to­logo e docente a Scien­ces Po e all’Hec di Parigi, cofon­da­tore di Vox Poli­tica, col­la­bo­ra­tore di Libé­ra­tion, di Bfmtv e del sito Slate​.fr, Tho­mas Gué­nolé ha susci­tato un ampio dibat­tito con il suo recente Les jeu­nes de ban­lieue mangent-ils les enfants?, uscito nell’anniversario dalla più grande rivolta urbana della sto­ria fran­cese, scop­piata nell’ottobre del 2005. Dieci anni dopo la grande rivolta il suo libro cerca di smon­tare il mito nega­tivo che cir­conda la figura del «gio­vane di peri­fe­ria», fan­ta­sma ricor­rente che ali­menta ogni sorta di timore nella società. Cosa è cam­biato nel frat­tempo e chi sono dav­vero que­sti ragazzi?
Passo dopo passo, nel corso di que­sto decen­nio, il raz­zi­smo è diven­tato un feno­meno di massa in Fran­cia. Dieci anni fa, Nico­las Sar­kozy intro­du­ceva nel dibat­tito pub­blico un lin­guag­gio aggres­sivo nei con­fronti dei ban­lieu­sard, ma erano in campo anche altre opzioni. Oggi, il dibat­tito è total­mente domi­nato da quel tipo di toni e posi­zioni che pun­tano ad ali­men­tare paura e inqui­tu­dine, in un modo del tutto immo­ti­vato. I gio­vani che vivono in ban­lieue sono infatti poco più di un milione e nel 98% dei casi non sono né dei «paras­siti», né dei delin­quenti o appar­te­nenti a bande cri­mi­nali, né dei pro­se­liti dell’islam radi­cale. Solo che il cosid­detto ascen­sore sociale è in panne da tempo e così sol­tanto un pic­colo numero di costoro rie­sce a tro­vare un lavoro qua­li­fi­cato o a costruirsi una car­riera degna di que­sto nome e, di con­se­guenza, a cam­biare quar­tiere lasciando le peri­fe­rie. Per tutti gli altri, si tratta di soprav­vi­vere tra disoc­cu­pa­zione, lavo­retti pre­cari, «l’arte di arran­giarsi» e la noia. O la fru­stra­zione di un oriz­zonte senza pro­spet­tive. Inol­tre, c’è una cosa che salta subito agli occhi: que­ste zone pre­sen­tano le mede­sime carat­te­ri­sti­che socio-economiche dei paesi in via di svi­luppo: il fatto che un abi­tante su due sia gio­vane, sotto in trent’anni, l’elevato tasso di disoc­cu­pa­zione, l’assenza di for­ma­zione, lo stato di abban­dono delle infrastrutture. 
Gli ste­reo­tipi e i pre­giu­dizi in base ai quali sono descritti que­sti gio­vani celano in realtà una nuova «que­stione sociale»?
In gran parte sì. Nel momento in cui il vostro benes­sere pog­gia sulla povertà di qualcun’altro, avrete sem­pre biso­gno di demo­niz­zare quest’ultimo per giu­sti­fi­care la patente ingiu­sti­zia, anche solo di fronte a voi stessi. In caso con­tra­rio, se si dovesse ammet­tere che, come è nella realtà dei fatti, la grande mag­gio­ranza dei gio­vani disoc­cu­pati, pre­cari o senza alcun red­ditto di que­sto paese, vale a dire i ragazzi delle ban­lieue, non sono né dei ban­diti né degli appro­fit­ta­tori e non rap­pre­sen­tano alcun tipo di peri­colo, la pro­spe­rità e l’agio di cui godono le classi medio-alte del paese risul­te­reb­bero intol­le­ra­bili di fronte a una tale esten­sione della povertà. In que­sto senso, la stig­ma­tiz­za­zione dei ban­lieu­sard è pres­so­ché neces­sa­ria per i maschi bian­chi e adulti appar­te­nenti alle classi supe­riori che gui­dano la nostra società. I mostruosi ragazzi delle peri­fe­rie incar­nano le peg­giori paure di costoro: la paura dei gio­vani, dei poveri, degli arabi, dei neri, dei musul­mani. E minac­ciano le loro case, i loro beni, le loro donne, ogni cosa. Per risol­vere il cosid­detto pro­blema delle ban­lieue si dovrebbe in realtà abbat­tere il sistema di segre­ga­zione eco­no­mica sociale e cul­tu­rale su cui si basa la Fran­cia del 2015. 
Il socio­logo Emma­nuel Todd sostiene che mal­grado le grandi mani­fe­sta­zioni uni­ta­rie che hanno fatto seguito alla strage a «Char­lie Hebdo», il paese non abbia in realtà supe­rato le sue divi­sioni e in par­ti­co­lare l’esclusione che col­pi­sce gli abi­tantti delle peri­fe­rie urbane. È d’accordo?
In effetti, come ha spie­gato Todd, quella che va per la mag­giore è in realtà un’affermazione falsa. Dopo la strage, è il ceto medio a essere sceso in piazza e a essersi pre­sen­tato come por­ta­voce dell’intera nazione. Ma in quelle mani­fe­sta­zioni i gio­vani delle ban­lieue, come il resto dei ceti popo­lari, erano scar­sa­mente rap­pre­sen­tati. Nello spe­ci­fico, i poveri sono rima­sti ai mar­gini della mobi­li­ta­zione esat­ta­mente per­ché sono esclusi dalla società e dalla poli­tica. Inol­tre, un po’ meno della metà dei gio­vani di peri­fe­ria è cre­sciuta in fami­glie musul­mane, anche se non fre­quenta le moschee o segue i pre­cetti — le ricer­che più recenti indi­cano che solo il 20% di loro si defi­ni­sce «pra­ti­cante». Par­te­ci­pare a ini­zia­tive che, in molti casi, pote­vano appa­rire come cri­ti­che verso l’Islam rap­pre­sen­tava qual­cosa di molto com­plesso. Piut­to­sto, la tra­ge­dia di gen­naio ha avuto una con­se­guenza diretta sulla per­ce­zione che si ha di que­sti gio­vani: dal «mostro delle ban­lieue» si è pas­sati al «mostro musulmano». 
Lei descrive l’insieme delle reto­ri­che pre­giu­di­ziali attive in que­sto con­te­sto come una «balia­no­pho­bie» ali­men­tata dai media, da com­men­ta­tori come Eric Zem­mour o da intel­let­tuali come Alain Fin­kiel­kraut che con­du­cono una cam­pa­gna sulla pre­sunta «deca­denza» della Fran­cia.
Con il ter­mine di balia­no­pho­bie ho voluto descri­vere il mix di paura e odio verso i gio­vani delle ban­lieue che sem­bra carat­te­riz­zare la nostra classe media, il nostro sistema infor­ma­tivo, il nostro cinema ma anche le élite del paese. Si tratta di sosti­tuire siste­ma­ti­ca­mente la realtà con dei cli­ché che incu­tono timore e inquie­tu­dine.
Penso a film di suc­cesso come Intou­cha­bles, dove Omar Sy inter­preta il ruolo di un ragazzo di peri­fe­ria che diventa un gang­ster o alle parole di Fin­kiel­kraut che già all’epoca della rivolta del 2005 evo­cava la «pista jiha­di­sta» die­tro alle pro­te­ste; pro­prio lui che nel ’68 stava dalla parte di chi tirava i sassi con­tro i poli­ziotti. Il pro­blema è che le idee degli intel­let­tuali rea­zio­nari sem­brano essere dive­nute ege­mo­ni­che nella Fran­cia odierna.
Si tratta del com­pi­mento di un per­corso ini­ziato all’indomani dell’11 set­tem­bre e che si è fatto via via più aggres­sivo. La messa in discus­sione della gran­deur del paese a causa della crisi eco­no­mica e di diversi fat­tori geo­po­li­tici e l’impasse del modello repub­bli­cano, pro­du­cono un ter­reno favo­re­vole a discorsi basati sul sospetto e sulla ricerca di un capro espia­to­rio e i gio­vani di ban­lieue sem­brano fatti appo­sta per incar­nare que­sta minac­cia, sono l’«altro» per antonomasia.

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