La partita di Gorbaciov
Il vento instabile dell’Est Europa
Nell’Unione si rischia una grave spaccatura tra occidente e orientedi Valerio Castronovo Il Sole 2.10.15
Si sapeva da tempo che i governi dell’Est erano non solo recisamente contrari a una ripartizione obbligatoria, in base a determinate quote, dei profughi in arrivo in Europa dalle zone afflitte da guerre o da persecuzioni politiche ed etnico-religiose del Medio Oriente, del Corno d’Africa e dell’Afghanistan; ma anche tutt’altro che disposti ad agevolarne il transito nei propri territori lungo il loro percorso verso il Nord Europa, qualora non si fosse provveduto da parte della Ue a varare un piano di sostegno finanziario e per l’apertura di determinati «corridoi umanitari».
Senonché c’è voluto il caos verificatosi nelle ultime settimane in una vasta area come quella di gran parte dei paesi centro-orientali, perché ci si rendesse infine conto del rischio, in mancanza di un’efficace strategia, di provocare alla lunga una destabilizzazione dei Balcani. La situazione che s’è venuta a creare, per cui ciascun governo ha sbarrato di volta in volta le proprie frontiere e cercato di rispedire, ricorrendo anche alla forza, verso i paesi limitrofi quanti s’erano ammassati ai propri confini (o erano riusciti talora in piccoli scaglioni a superarli) per proseguire nella loro odissea verso le mète più ambite, ha infatti attizzato, e continua ad alimentare, una ridda di ruvidi attriti fra i governi locali, accomunati peraltro da forti risentimenti nei confronti di quelli euro-occidentali, accusati di essere rimasti alla finestra fin quando non è stato più possibile chiudere gli occhi su quanto succedeva nell’altro versante del Continente.
In effetti, nelle principali capitali europee si è commesso un duplice errore di valutazione: da un lato, si è ritenuto inizialmente che l’esodo in atto anche da Est per via terra non avrebbe assunto dimensioni analoghe a quello esponenziale in corso per via mare dal Sud e fosse comunque meno difficile da gestire; dall’altro, quando ci si è trovati di fronte a problemi sempre più complessi e d’ogni sorta, si è data l’impressione di esorcizzarli limitandosi a chiamare in causa l’Ungheria di Viktor Orban, in quanto il leader dell’ultradestra magiara intendeva erigere un muro dopo l’altro dalle sue parti, per impedire l’ingresso nella Ue dei profughi dalla Siria e da altri luoghi in preda a sanguinosi conflitti, anche se avevano le carte in regola, secondo le norme internazionali, per richiedere e ottenere diritto d’asilo. Ci si è accorti così in notevole ritardo, per non aver concepito un’adeguata strategia comunitaria d’intervento e di solidarietà, che altri governi dell’Est sarebbero stati indotti, all’occorrenza, a procedere nello stesso modo (seppur in forme meno brutali) di quello di Budapest nei riguardi di un fiume di gente che premeva ai propri confini e che destava fra i propri cittadini crescenti preoccupazioni di doversene far carico direttamente.
Se era perciò nel pieno di una grave emergenza immigrazione quando Angela Merkel annunciò, a fine agosto, che la Repubblica federale tedesca avrebbe aperto le porte a quanti (sino a mezzo milione di persone) volevano rifugiarsi in Germania: così che, per l’effetto domino, il flusso migratorio da Est assunse dimensioni sempre più imponenti. Al punto che, nel giro di pochi giorni, non solo tutti i paesi centro-orientali si affrettarono a chiudere le loro frontiere (presidiandole talora con l’esercito) ma lo stesso governo di Berlino ha dovuto ripristinare severi controlli a quelle proprie, facendo così vacillare gli accordi di Schengen. Poiché la Baviera e altri Länder non sarebbero stati in condizione di ospitare e soccorrere debitamente quanti avevano cominciato a entrare e a insediarsi, in gran numero, nei loro territori.
Sta di fatto che oggi si è risolto solo il problema del ricollocamento, fra determinati paesi della Ue, dei profughi giunti da più tempo (distinguendoli dalla massa dei migranti extracomunitari per motivi economici). Ed è invece rimasto in piedi il problema di evitare che prosegua un afflusso migratorio di proporzioni così rilevanti anche dal fronte dell’Est. Così che restano da adottare concrete soluzioni per cercare di spegnere i conflitti intestini e debellare il terrorismo che stanno opprimendo i paesi di provenienza di tanti profughi. Essi sono destinati oltretutto a moltiplicarsi qualora la Turchia, che ospita quasi due milioni di rifugiati siriani, non fosse più in grado (malgrado certi recenti aiuti esterni) di reggerne i relativi oneri e inducesse così parte di loro a prendere la via dell’Europa.
Insomma, si sta correndo il pericolo, per un motivo o per l’altro, che in un’area come quella balcanica (già sede in passato e ancora nell’ultimo decennio del Novecento di profondi e cruenti contrasti), s’accendano adesso ulteriori focolai di tensione e d’instabilità. Anche perché, gli ex paesi comunisti dell’Est non hanno dimenticato che, una volta affrancatisi dall’Unione sovietica, sono rimasti a fare anticamera per quindici lunghi anni, in un crescendo di disagi economici e di frustrazioni politiche e psicologiche, prima di venire ammessi dal 2004 nell’Unione europea.
Sarebbe perciò un’autentica jattura se oggi si manifestasse in alcuni di questi paesi, sia per la loro sindrome di costituire dei perenni partner di seconda fila della Ue, che per la spinta di partiti e movimenti populisti e xenofobi, un’irruente reviviscenza di orientamenti e antagonismi di marca nazionalistica. E si producesse così una spaccatura fra Est e Ovest nell’ambito dei già delicati equilibri interni dell’Unione europea.
25 anni, l’anniversario Il rebus delle Germanie
Documenti finora segreti gettano nuova luce sulla riunificazione tedesca I timori Usa, le richieste russe, le lamentele italianedi Ennio Caretto Corriere 4.10.15
Il 3 ottobre 1990 entra in vigore il Trattato di unificazione tra Germania Est e Germania Ovest. Il popolo tedesco esulta: dopo 45 anni, a 10 mesi dal crollo del Muro di Berlino, è di nuovo unito. Per l’Europa, non più divisa dalla Guerra Fredda, è la svolta più importante dalla Seconda guerra mondiale, una svolta che con il crollo dell’Urss (alla fine del 1991) determinerà il suo assetto odierno.
A 25 anni di distanza, i documenti de-secretati a Washington, Mosca e Berlino rivelano i contrasti che precedettero lo storico evento. La prospettiva di una Germania riunificata ridestava le paure di molti governi europei. La stessa America temeva che Berlino potesse sottrarle la leadership sul continente. Il 28 novembre 1989, quando il cancelliere Helmut Kohl portò al Bundestag il piano in dieci punti per la riunificazione tedesca, la comunità atlantica reagì perciò ambiguamente.
Il presidente Usa George Bush Sr., riferiscono i dossier, chiese chiarimenti a Kohl in una telefonata il giorno seguente, e avallò il piano solo dopo essersi accertato al vertice di Malta del 2 e 3 dicembre che il leader sovietico Michail Gorbaciov non si sarebbe opposto con le armi. La premier britannica Margaret Thatcher criticò il cancelliere: la riunificazione, disse, «non porterà a una Germania europea ma a un’Europa tedesca».
I carteggi Usa mettono in rilievo lo sforzo iniziale di Bush: frenare Kohl per non compromettere la distensione con l’Urss. A Malta, Bush sottolinea tre punti a Gorbaciov. «Washington vuole rapporti di amicizia con Mosca. Mosca non deve impedire la riunificazione tedesca. Se l’Urss interferirà, l’America sospenderà aiuti e negoziati». Gorbaciov risponde che «l’unificazione sarà possibile se procederà in parallelo all’integrazione delle due Europe senza alterare l’equilibrio tra Nato e Patto di Varsavia», l’alleanza militare che fa capo all’Urss.
Bush giudica la risposta positiva, e la sera del 3 dicembre dà via libera a Kohl, con tre condizioni che tradiscono un altro timore: il riavvicinamento della Germania a Mosca. La Repubblica federale non negozi da sola con il Cremlino; consulti prima gli alleati; e rimanga nella Nato. Ma il cancelliere tedesco non ascolta. Il 10 febbraio 1990, in visita a Mosca, strappa a Gorbaciov l’assenso all’Unione monetaria delle due Germanie. E dice no quando l’Italia chiede di partecipare ai negoziati con le Grandi.
Tutto ciò non è gradito al presidente Usa, che due settimane più tardi invita Kohl «a non innervosire gli altri Paesi della Nato con i quali dobbiamo concordare una strategia comune». Bush ha in mente l’Italia, su cui conta per il controllo dei Balcani: «L’avete offesa, e se la sono presa tutti gli altri europei». Il cancelliere è sardonico: «Dovrò fare opera magistrale di resurrezione sul premier italiano Andreotti e sul presidente francese Mitterrand. Ma non potrò resuscitare Margaret Thatcher. Lei pensa che Londra abbia pagato un prezzo enorme combattendoci in due guerre mondiali e teme di dover pagare ancora».
Due settimane dopo Bush accoglie Andreotti alla Casa Bianca. Il premier è risentito: «Se Kohl cedesse alla tentazione di negoziare bilateralmente con Gorbaciov sarebbe un disastro… Lo ha fatto senza preavvertirci per l’Unione monetaria, che avrà un effetto pesante su tutti noi... D’ora in poi dovrà consultarsi con la Comunità europea e con la Nato e mantenersi nel loro ambito». Andreotti denuncia le spinte isolazioniste del Congresso Usa: «Una Germania unita in una Europa occidentale senza l’America sarebbe un pericolo … La signora Thatcher insiste su questo e ha ragione».
I carteggi gettano luce anche su una questione alla base dell’odierna crisi ucraina. Nel febbraio 1990 Gorbaciov chiede prima al Segretario di Stato Usa James Baker e poi a Kohl garanzie che la Nato non verrà ampliata. In un pro memoria per il cancelliere tedesco, Baker scrive che «per Gorbaciov qualsiasi estensione dell’area Nato è inaccettabile». Kohl assicura a Gorby che «la Nato non si estenderà alla Repubblica democratica tedesca».
Ancora al loro secondo vertice, il 1° giugno a Washington, Gorbaciov insiste per «una Germania unificata con due ancore, quella dell’Ovest nella Nato quella dell’Est nel Patto di Varsavia». Ma Kohl si è rimangiato la promessa e Baker è stato scavalcato da Bush. «Michail — ribatte Bush Sr. — la tua soluzione è schizofrenica, la riunificazione della Germania e la sua appartenenza alla Nato sono dietro l’angolo, nessuno poteva immaginarlo. Possiamo solo lavorare assieme alla comune casa europea che tu vuoi». Il leader sovietico si piega in cambio di massicci aiuti finanziari tedeschi.
Nel ventennio successivo la Nato verrà estesa ai paesi Baltici, alle frontiere settentrionali con la Russia, e non escluderà di estendersi all’Ucraina. Nel 2014, il presidente russo Putin reagirà occupando la Crimea
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