lunedì 26 ottobre 2015

Tradotta la biografia di Walter Benjamin di Eiland e Jennings

Walter Benjamin. Una biografia criticaHoward Eiland e Michael W. Jennings: Walter Benjamin. Una biografia critica, Einaudi

Risvolto
«Questo fu il talento di Benjamin: trovare le forme nelle quali una profondità e complessità di pensiero, in tutto e per tutto paragonabili a quelle di contemporanei come Heidegger e Wittgenstein, potessero riecheggiare in una prosa immediatamente seducente e memorabile. Leggere i suoi scritti è perciò un'esperienza sensoriale, oltre che intellettuale. È come assaggiare una madeleine imbevuta nel tè: mondi sfuocati nel ricordo rivivono nell'immaginazione. E mentre si fissano, si accumulano e incominciano a ridisporsi, le frasi si armonizzano sapientemente lasciando affiorare una logica combinatoria e rilasciando a poco a poco il loro potenziale destabilizzante. Tuttavia, nonostante la magistrale immediatezza della sua scrittura, l'uomo Benjamin resta inafferrabile. Come è sfaccettata la sua opera, anche le sue convinzioni personali formano ciò che egli definí una «totalità mobile e contraddittoria». Questa efficace formulazione, nella quale sembra di cogliere un appello alla pazienza del lettore, è indicativa della sua forma mentis versatile e poliedrica. Ma l'inafferrabilità di Benjamin denota anche un esercizio consapevole volto a mantenere intorno a sé uno spazio impenetrabile destinato alla sperimentazione. Theodor W. Adorno osservò una volta che il suo amico «non giocava quasi mai a carte scoperte», e questo profondo riserbo, con il suo armamentario di maschere e altre strategie di depistaggio, serviva a salvaguardare lo spazio della sua interiorità». Walter Benjamin è stato uno dei piú importanti ed enigmatici intellettuali del ventesimo secolo. I suoi scritti, che sovrappongono filosofia, teoria letteraria, analisi marxiana della società e una sorta di sincretismo teologico, sfuggono a ogni tradizionale categorizzazione. E la sua esistenza randagia e spesso in fuga dal minaccioso incalzare degli eventi ha offerto terreno ideale a ogni forma di mitologizzazione. La sua parabola intellettuale muove dal brillante esoterismo dei primi scritti ai saggi che hanno fatto di Benjamin una voce centrale della cultura di Weimar, per arrivare agli anni dell'esilio con le pionieristiche teorie sui media moderni e la nascita del capitalismo di consumo nella Parigi del secondo Ottocento. Questo percorso ha avuto luogo nel corso dei piú catastrofici decenni della moderna storia europea: l'orrore della prima guerra mondiale, la surreale instabilità della Repubblica di Weimar e l'incombente ombra del nazismo. Questa nuova biografia, a firma di due tra i piú affermati studiosi dell'opera dell'intellettuale tedesco, getta, al di là dei miti e del carattere frammentario della sua opera, una nuova luce su uno straordinario protagonista della cultura contemporanea. Howard Eiland e Michael W. Jennings mettono per la prima volta a disposizione del lettore una ricca messe di informazioni che consentono di ricostruire in modo sorprendente una vita tragicamente straordinaria. Gli autori offrono al lettore un ritratto complessivo di Benjamin e della sua epoca cosí come dettagliate analisi delle sue opere principali, dall'Opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica ai saggi su Baudelaire e al grande libro sul Dramma barocco tedesco. Destinata a diventare la biografia di riferimento di questo outsider del pensiero, Walter Benjamin. Una biografia critica costituisce una fonte di inesauribile interesse per gli studiosi dell'intellettuale tedesco cosí come per il pubblico generale dei lettori.                   

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La bio-critica è un’illusione 
Walter Benjamin. Non si può fondere il piano della vita con le opere... il ricco «Walter Benjamin» di Eiland e Jennings (Einaudi) «sfida» una tesi del pensatore tedesco: con defaillances 
Andrea Cavalletti Manifesto 25.10.2015, 1:01 
«Non vi è, nell’ambito della bio­gra­fia, com­mento né cri­tica». La sen­tenza, che nel saggio-capolavoro sulle Affi­nità elet­tive, Wal­ter Ben­ja­min oppose al Goe­the di Frie­drich Gun­dolf – cioè al monu­mento dedi­cato all’autore del Faust dal cir­colo di Ste­fan George – si erge ancora come un monito potente di fronte a ogni ten­ta­tivo di strin­gere insieme il piano della vita e quello dell’opera, ovvero di far emer­gere il «tenore di verità» di quest’ultima – avrebbe detto Ben­ja­min – dal piano reale della vicenda biografica. 

E il monito non può non essere ricor­dato oggi, quando appare in libre­ria il volume di Howard Eiland e Michael W. Jen­nings inti­to­lato appunto Wal­ter Ben­ja­min Una bio­gra­fia cri­tica (Einaudi «Opere», tra­du­zione di Alvise La Rocca, pp. XXX + 695, euro 90,00). Ammesso che la ver­sione non tra­di­sca l’originale (A Cri­ti­cal Life), que­sto lavoro ricco e impo­nente par­rebbe dun­que imman­ca­bil­mente diri­gersi con­tro quel prin­ci­pio «invio­la­bile» e segnato come uno sco­glio insi­dioso nella mappa con­cet­tuale ben­ja­mi­niana. Ma è dav­vero così? No, secondo la voce auto­re­vole di Peter Fen­ves (autore tra l’altro di The Mes­sia­nic Reduc­tion, pro­ba­bil­mente la ricerca più docu­men­tata e ori­gi­nale sul gio­vane Ben­ja­min), che ha pre­stato la pro­pria penna per un «blurb» dell’edizione ame­ri­cana: que­sto libro «non-tendious», egli assi­cura, assur­gerà pre­sto al ruolo di «stan­dard refe­rence work» per tutti coloro che siano inte­res­sati alla dif­fi­cile e intri­cata vita di Ben­ja­min. Della stessa opi­nione è d’altro canto il recen­sore del Wall Street Jour­nal. In un arti­colo che si apre con la domanda: Quale cre­dito potrebbe riscuo­tere come cri­tico della moder­nità un tipo inca­pace, a quarant’anni, di farsi una tazza di caffé?, que­sti osserva che il ter­mine «defi­ni­tivo» cal­ze­rebbe a pen­nello per il libro in que­stione, se non fosse vec­chio e abu­sato. L’opera dei due pro­fes­sori sta­tu­ni­tensi, pro­fe­tizza infine la «quarta» ita­liana, è «desti­nata a diven­tare la bio­gra­fia di rife­ri­mento di que­sto outsi­der del pen­siero» e «costi­tui­sce una fonte di ine­sau­ri­bile inte­resse per gli stu­diosi dell’intellettuale così come per il pub­blico in gene­rale dei let­tori». Defi­ni­tiva, o anche stan­dard, allora, vor­rebbe essere almeno que­sta ope­ra­zione edi­to­riale, che richiama gli spe­cia­li­sti e i non spe­cia­li­sti, raduna ric­chi e poveri – per divi­derli però dra­sti­ca­mente, pre­sen­tan­dosi nella sua veste pre­sti­giosa e desti­nata al pub­blico d’élite men­tre si con­cede come ebook al prezzo popo­lare di euro 9,99
Una simile pre­sen­ta­zione espone però fatal­mente il libro all’arduo con­fronto con i grandi saggi (anche ita­liani, di Agam­ben, di Jesi, di Solmi, di Car­chia o di Cases) e soprat­tutto con i volumi di Ger­shom Scho­lem che negli anni si sono giu­sta­mente impo­sti quale prin­ci­pale via­tico al pen­siero ben­ja­mi­niano. Col suo con­te­gno insieme ispi­rato e rigo­roso, Scho­lem aveva evi­tato entrambe le parole, «cri­tica» e «bio­gra­fia», e aveva per la prima volta resti­tuito nel det­ta­glio le vicende reali atte­nen­dosi alla «sto­ria di un’amicizia», e riser­vando d’altro canto all’interpretazione del testo eso­te­rico Age­si­laus San­tan­der l’esposizione del tenore di verità. Lo stile e il pen­siero del grande stu­dioso della mistica ebraica sono i più affini a quelli ben­ja­mi­niani. Ma rivol­gia­moci a que­sta nuova e impe­gna­tiva opera: chi è stato, dal punto di vista della Cri­ti­cal Life, Wal­ter Ben­ja­min? «Più che un rigido ideo­logo» (non era Zda­nov, in effetti) «egli rimase sem­pre un visio­na­rio ribelle». Forse non pro­prio adatta al più pro­fondo filo­sofo poli­tico del ven­te­simo secolo, que­sta defi­ni­zione viene così giu­sti­fi­cata: «Potremmo dire che per lo stesso Ben­ja­min – un “cane sciolto di sini­stra”, un anti­con­for­mi­sta – il pro­blema poli­tico si ridu­ceva a un insieme di con­trad­di­zioni riflesse [embo­died] sul piano per­so­nale e sociale. 
Le esi­genze con­flit­tuali della poli­tica e della teo­lo­gia, del nichi­li­smo e del mes­sia­ne­simo non pote­vano essere né com­po­ste né eluse. La sua vita – sem­pre al bivio, come disse lui stesso – fu un’incessante oscil­la­zione tra que­sti incom­men­su­ra­bili, una scom­messa sem­pre rin­no­vata». Lo stesso Ben­ja­min riven­dicò una volta (in una cele­bre let­tera a Scho­lem del 1934, e a pro­po­sito del pro­prio «comu­ni­smo») di non aver mai ten­tato «di dare espres­sione a quella tota­lità mobile e con­trad­dit­to­ria che è costi­tuita dalle mie con­vin­zioni nella loro mol­te­pli­cità». Ora, pro­prio que­sta posi­zione, che dovrebbe impe­dire ogni facile accesso, viene usata come un pas­se­par­tout: la con­trad­dit­to­rietà diviene per Eiland e Jen­nings il varco o il comune deno­mi­na­tore attra­verso il quale vita e opera pos­sono con­fluire, spie­garsi a vicenda, e per­sino coin­ci­dere. Così, in nome della pola­rità peren­ne­mente irri­solta, hanno facile corso alcune con­si­de­ra­zioni che richie­de­reb­bero forse una mag­giore cau­tela, o opi­nioni anche biz­zarre, come quella sul finale di Per la cri­tica della vio­lenza, che mostre­rebbe un Ben­ja­min non «ancora in grado di con­ci­liare pie­na­mente tra di loro le sue idee poli­ti­che e teo­lo­gi­che». Quando poi ci si spo­sta – così accade, poi­ché la para­frasi o il com­pen­dio dei testi deve qui alter­narsi alla resti­tu­zione dei fatti – dal piano teo­rico a quello della vita vera e pro­pria, lo schema dell’oscillazione ade­ri­sce facil­mente al ritratto psi­co­lo­gico o fisio­gno­mico. Ci si fa incon­tro allora un gio­vane dotato di una testa grande e geniale mon­tata però su un corpo rigido e impac­ciato (una «figura fisi­ca­mente insi­gni­fi­cante e spesso goffa»), la cui intel­li­genza meta­fi­sica con­vive con un carat­tere cinico e «a tratti vol­gare» (sic); quindi un uomo quasi privo di sen­sua­lità che però si dibatte in una serie di ero­tic entan­gle­ments che ne con­di­zio­nano (è il caso, ovvia­mente, di Asja Lacis) l’ispirazione poli­tica, per riflet­tersi poi in ulte­riori gro­vi­gli o con­flitti teo­rici.
Gra­vando su simili basi, il ricco edi­fi­cio mani­fe­sta allora dei cedi­menti improv­visi, e spe­cial­mente al giu­di­zio morale, come accade in un passo sui rap­porti con l’intellighenzia pari­gina nel quale Ben­ja­min viene addi­rit­tura dipinto come «un povero, timido arri­vi­sta». Sarà que­sta magari una defail­lance, in un lavoro altri­menti apprez­za­bile (più nella prima parte e meno nell’ultima, che non tiene conto della rico­stru­zione del Bau­de­laire), anche per­ché riu­ni­sce e ordina i mol­tis­simi det­ta­gli dis­se­mi­nati nei sei volumi del car­teg­gio, ma è anche il segno di una debo­lezza strut­tu­rale. La teo­ria della con­trad­di­zione o della scom­messa sem­pre aperta tra le esi­genze del nichi­li­smo e del mes­sia­ne­simo (che in realtà non sono affatto con­flit­tuali ma sto­ri­ca­mente e logi­ca­mente coe­renti) ha infatti biso­gno di con­ti­nue pezze d’appoggio, e pos­si­bil­mente molto con­crete, tratte cioè dalla vita vis­suta. Non sem­pre tut­ta­via le fonti prin­ci­pali le con­ce­dono, né le ricer­che più recenti. Allora si cerca un appi­glio facendo i conti in tasca a Ben­ja­min per dimo­strare che aveva biso­gno di più soldi di quanti dove­vano ser­vire al man­te­ni­mento di un pro­fugo, e che dun­que chie­deva il soste­gno di amici e parenti (anche alla sorella povera e malata) per col­ti­vare in realtà la sua «incal­lita fre­quen­ta­zione» del demi-monde, sper­pe­rando soldi «per il gioco e per le donne». Yes, his gam­bling was an addic­tion, as we say today, com­men­tano i bio­grafi, ma «pro­prio la vol­ga­rità di que­sti aspetti della vita rap­pre­senta forse la spia più rive­la­trice della dispe­ra­zione». Deinde, ego te absolvo a pec­ca­tis tuis, si potrebbe chio­sare – e però: in nomine phi­lo­so­phiae! Per com­pren­dere infatti «fino in fondo» il pre­sunto con­te­gno dell’esule – sul quale per es. il recente e docu­men­tato I Ben­ja­min. Una fami­glia tede­sca di Uwe-Karsten Heye (Sel­le­rio, pp. 333, euro 18,00) getta tutt’altra luce – «biso­gna leg­gere, nei Pas­sa­ges, la descri­zione dell’esperienza ine­briata del tempo e dello spa­zio che prova il gio­ca­tore»; e con­si­de­rare che per Ben­ja­min «il pen­siero stesso è una scom­messa esi­sten­ziale che nasce dalla con­sa­pe­vo­lezza che la verità è infon­data e inin­ten­zio­nale e l’esistenza una “con­di­zione priva di fondamento”». 
Gra­zie a que­sta vaga nozione di scom­messa (sia ever-renewed o exi­sten­tial wager, un con­te­nuto «di verità» dovrebbe così cor­ri­spon­dere al piano dei fatti. Ma è invece l’idea stessa della «verità» (e la più genui­na­mente ben­ja­mi­niana, come «morte dell’intenzione») che viene ridotta e sacri­fi­cata alla psi­co­lo­gia del gam­bling addict. E una simile illu­sione cri­tica (come il debole com­mento del testo sul gioco d’azzardo) rischia di minare e ren­dere vacil­lante l’imponente biografia.

Tra Olocausto e redenzione nel segno di Benjamin 
Un’esistenza che scivola verso la tragedia e insieme è forgiata sull’idea di modernità 
Federico Vercellone  Tuttolibri 14 11 2015
Se tentatissimo di leggere la storia della filosofia intendendola come un campo di forze, forse tutta la sua storia potrebbe sembrare meno assurda di quanto appaia a chi, sprovveduto, si avvicini per la prima volta al pensiero speculativo, e gli sembra quasi impossibile capire perché qualcuno abbia pensato alle idee come a principi primi dell’essere (Platone), e qualcun altro abbia invece inteso questi stessi principi in termini di sostanza (Aristotele), e così via. Le idee e i concetti sono in realtà potenze che non dividono semplicemente il campo ma, contemporaneamente, agiscono su questo. Pochi pensatori come Walter Benjamin ci forniscono una testimonianza tanto significativa a questo proposito. 
L’esistenza e il pensiero di Benjamin incrociano il centro incandescente del suo tempo. La vita di Benjamin, così come ci viene proposta nell’eccellente ricostruzione di Howard Eiland e Michael W. Jennings, Walter Benjamin. Una biografia critica, recentemente pubblicata in italiano da Einaudi, è quasi il palpitante simbolo di uno sviluppo che attraversa irruente il secolo e le due capitali intellettuali e politiche, Berlino e Parigi, che sovrastano intensamente una scena, che è anche quella della vita di Benjamin, che sta scivolando verso la tragedia. Quella di Benjamin è un’esistenza attraversata come un destino dal segno premonitore, tragico dell’Olocausto, mentre, idealmente e in corpore vivi, è strutturata dall’idea di modernità e da quella di redenzione. 
La vicenda intellettuale di Benjamin è, dal punto di vista ideale, potentemente intrecciata con quella di un altro grandissimo intellettuale ebreo e tedesco, più anziano di lui, come Aby Warburg, anche se i due non ebbero mai occasione di incontrarsi. E’ sicuramente un po’ enfatico, ma certo non è troppo dire che sono loro due i grandi veggenti che hanno anticipato nel loro pensiero un trauma culturale senza precedenti e le sue conseguenze. In gioco non sono solo i totalitarismi, la guerra, l’Olocausto dei quali del resto Warburg non fu spettatore. Al dolore inestinguibile delle vittime viene ad aggiungersi una vera e propria frattura del canone della trasmissione culturale di cui i due furono acutissimi diagnosti. A enfatizzare le cose si potrebbe dire che la modernità fu fedele sino in fondo al proprio destino: gli eventi furono così «nuovi», inattesi e traumatici che la relazione con il passato andò drammaticamente ostruendosi.
E’ in questo quadro che l’opera di Benjamin sembra orientata a realizzare il grande incompiuto libro su Parigi, dunque sulla modernità e il suo destino, il cui exposé, redatto su richiesta dell’«Institut für Sozialforschung», costituisce il torso grandioso del saggio su Parigi capitale del XIX secolo cui si affianca l’altro grande capolavoro di Benjamin degli anni trenta, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. In questo quadro risulta emozionante leggere lo scambio amichevole e polemico con Adorno, la famosa «lettera Hornberg» in cui Adorno rimprovera a Benjamin di psicologizzare l’«immagine dialettica», e cioè l’idea di merce come oggetto reificato che è al tempo stesso immagine di sogno. Pure questa mossa di Benjamin è geniale e illumina l’attualità del suo pensiero sia pure a scapito della fedeltà all’insegnamento hegeliano lamentata da Adorno. L’attrattiva della merce è a tutti gli effetti una seduzione: essa rappresenta una forma d’incantamento dell’uomo moderno, un’icona magica che ben si inserisce nel parco totemico della tarda modernità mai dimentica del proprio tratto arcaico che, nel segno carico del trucco della prostituta, trova la propria icona. In questo quadro Benjamin può sottolineare la discontinuità del vettore del tempo che trova ostruito il proprio alveo, che intreccia per inversioni e cortocircuiti passato e futuro: «l’antichità si palesa nei tempi moderni e i tempi moderni si palesano nell’antichità».
Si prospetta così un lascito culturale quanto mai imponente. L’eredità intellettuale di Benjamin dopo il suicidio avvenuto a Port Bou, sul confine spagnolo, nel 1940, causato dal timore di essere catturato dai nazisti, si trasmette stentatamente negli anni della guerra, quando la sua memoria viene coltivata solo da una piccola confraternita di amici, sino alla metà degli Sessanta quando le opere di Benjamin, in concomitanza con il sorgere del movimento studentesco, cominciarono a venire nuovamente lette e discusse. Agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso la mole degli studi su Benjamin divenne invece una sorta di fiume in piena a confermare la vocazione profetica del suo pensiero che visse il trauma dell’interruzione come condizione inesorabile della vita del tempo storico.

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