venerdì 30 ottobre 2015

Una nuova traduzione per "Erbschaft dieser Zeit" di Ernst Bloch


Ernst Bloch: Eredità di questo tempo, Mimesis

Risvolto
Pubblicato a Zurigo nel 1935, Eredità di questo tempo affronta la questione, che coinvolse negli anni venti e trenta anche intellettuali come Walter Benjamin e Theodor Wiesengrund Adorno, delle radici del consenso di massa al nazismo. Il titolo è ardito: propone di ereditare dal presente, non dal passato, da «questa» epoca, che è la nostra, a cui apparteniamo e che ci appartiene, non da quella di avi lontani, guardati con ammirazione e nostalgia. Il metodo con il quale Bloch “racconta” la storia dell’avvento del nazismo è altrettanto innovativo. L’accumulo disordinato e liberamente combinatorio dei fenomeni, dai simboli della propaganda politica alle condizioni economico-sociali dei ceti impoveriti all’ampia gamma dell’immaginario letterario, artistico, cinematografico e filosofico che segnano il volto della Germania degli anni Venti e Trenta, prelude all’invito a tenere gli occhi ben aperti – uno dei suggerimenti di fondo del libro di Bloch ai suoi lettori. Eredità del presente vuol dire sguardo sull’attualità che sa dilatarne fortemente i confini e soprattutto si sforza, usandone gli aspetti più anticonvenzionali e bizzarri, non allineati e spesso del tutto improduttivi, di far circolare aria (autonomia e libertà di pensiero, fantasia) in mezzo a reliquie imbalsamate o semplicemente a vuoti deprimenti. Questo libro, che per molti aspetti rappresenta il laboratorio del Principio speranza (1955), contiene pagine di grande rilievo teorico dedicate al tema del tempo e della storia, alla “non contemporaneità” e alle potenzialità che continuano ad abitare nel passato.


Laura Boella insegna Filosofia Morale presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università Statale di Milano. Ha curato l’edizione italiana di E. Bloch, Tracce (2006) e di Geographica, (1992). È una delle maggiori studiose del pensiero femminile del ‘900, in particolare di autrici quali Hannah Arendt, Simone Weil, Maria Zambrano, Edith Stein.


Strategie per conquistare il lascito del presente 
Saggi . «Eredità del nostro tempo» di Ernst Bloch per Mimesis. Una nuova edizione per un’opera considerata di svolta nella produzione teorica del filosofo tedesco 

Micaela Latini Manifesto 30.10.2015, 0:20 

«Nes­suno — diceva Blaise Pascal – muore così povero da non lasciare nulla in ere­dità». In tempi di crisi e di povertà il tema dell’eredità è tor­nato ad essere di grande attua­lità. Lo dimo­stra il suc­cesso di una nota tra­smis­sione a quiz tele­vi­siva, ma anche la scelta di que­sto motivo come parola chiave per il Festi­val di filo­so­fia di Modena del 2015. Che nell’eredità ci fosse un bot­tino teo­re­tico ricco di pie­tre pre­ziose lo aveva ben capito il filo­sofo tede­sco Ernst Bloch (1885–1977) negli anni Trenta, quando decise di inti­to­lare uno dei suoi studi più impor­tanti: Erb­schaft die­ser Zeit. L’imponente opera — pub­bli­cata a Zurigo durate il gri­gio periodo dell’esilio, e uscita in ita­liano nel 1992 per i tipi del Sag­gia­tore, con il titolo Ere­dità del nostro tempo e a cura di Laura Boella — è stata rie­dita dalla casa edi­trice Mime­sis, in una tra­du­zione rivi­si­tata sem­pre a cura della filo­sofa mila­nese. La novità sta già nella scelta di un nuovo titolo, Ere­dità di que­sto tempo (pp. 480, euro 36): una for­mula più fedele all’originale tede­sco e forse anche più effi­cace, nel sol­le­ci­tare il corto cir­cuito tra tempo e spazio. 

La fami­lia­rità estranea 
Il titolo scelto da Bloch rac­co­glie una rosa di inte­res­santi pro­vo­ca­zioni: per­ché c’è biso­gno di ere­di­tare que­sto tempo? Come è pos­si­bile ere­di­tare qual­cosa che è per defi­ni­zione già nostro, è qui, a por­tata di mano? E allora: que­sto tempo è vera­mente pre­sente? Per com­pren­dere la pre­gnanza teo­rica di que­sto motivo biso­gna inqua­drare l’opera blo­chiana nella cor­nice storico-politica dell’«Altra Ger­ma­nia». Il tema dell’eredità del pro­prio tempo rap­pre­senta infatti una que­stione cen­trale per una gene­ra­zione di intel­let­tuali ebraico-tedeschi, costretti, per soprav­vi­vere alla bar­ba­rie nazi­sta, ad emi­grare, a lasciare le pro­prie terre (e i pro­pri beni). Da qui si ricava il mes­sag­gio del titolo blo­chiano: esso con­si­ste nell’invito a ere­di­tare dal pre­sente, non dal pas­sato. Non è un caso se l’eredità di cui ci parla Bloch non riguarda l’estraneo, o meglio l’altro in quanto tale, ma l’estraneità del pro­prio, la «fami­lia­rità estra­nea», e l’«estraneità familiare». 
Le pagine di Ere­dità di que­sto tempo intro­du­cono una con­no­ta­zione par­ti­co­lare dell’eredità; si tratta di ere­di­tare quell’aspetto del fami­liare che nel pro­teg­gerci ci espone. Il monito di Bloch è allora netto: il vero erede è colui che cerca di ere­di­tare il pro­prio tempo, di «appren­derlo con il pen­siero», in un’operazione né paci­fica né indo­lore. Non è un caso se Laura Boella, nella sua den­sis­sima intro­du­zione, sot­to­li­nea come il con­cetto di «ere­dità» di Bloch sia assi­mi­la­bile a un tesoro da con­qui­stare in un com­bat­ti­mento. Siamo ben lon­tani dalla con­ce­zione dell’amico György Lukács, che inten­deva l’eredità come una tra­smis­sione ele­gante, bor­ghese. Niente di tutto que­sto in Bloch, per il quale l’Erbschaft assume i tratti di una rapina che avviene non a spese di un estra­neo, ma di uno di fami­glia, di cui volenti o nolenti si è eredi legit­timi, insomma a spese di quell’estraneo che si annida pro­prio nel familiare. 

Il dis­si­dio con Lukács 
Sulla dia­let­tica di fami­liare ed estra­neo si arti­co­lano le pagine di Ere­dità di que­sto tempo, dedi­cate all’eredità di Nie­tzsche, ma anche quei passi sof­ferti dove Bloch misura le diver­genze tra le sue posi­zioni e quelle dei suoi (fino ad allora) più stretti inter­lo­cu­tori: Theo­dor W. Adorno, Wal­ter Ben­ja­min, Sieg­fried Kra­cauer. Il dia­logo più acceso è con l’ex «com­pa­gno di strada» György Lukács, dal quale Bloch prende le distanze fino alla totale con­trap­po­si­zione dovuta a una diversa valu­ta­zione del «socia­li­smo rea­liz­zato» nella Rdt (tracce di que­sto dis­si­dio si ritro­vano nella Pre­fa­zione del 1962 a Ere­dità di que­sto tempo). L’introduzione di Boella rico­strui­sce magi­stral­mente gli snodi più recon­diti del dibat­tito, resti­tuendo la com­ples­sità (e l’asperità) dei loro per­corsi intel­let­tuali.
Certo, con quest’opera Bloch ha voluto resti­tuire (come ere­dità) alla comu­nità scien­ti­fica un testo sco­modo, che «non rende le cose facili», nel senso che non cerca rapide solu­zioni, non paci­fica, ma sem­mai ina­spri­sce, esa­spera le con­trad­di­zioni. Le rifles­sioni blo­chiane si anni­dano nelle fes­sure del pre­sente, s’incuneano negli inter­stizi, nei luo­ghi dove il ter­reno ha fra­nato e, dopo lo smot­ta­mento, si sono aperte delle falle invo­lon­ta­rie. Que­sto scar­di­na­mento, que­sta ver­ti­gine destrut­tu­rante, coin­volge per Bloch anche la dimen­sione tem­po­rale, che non segue più un anda­mento uni­voco, ma si coa­gula in una stra­ti­fi­ca­zione di tempi sto­rici non congruenti. 
Non è un caso se Bloch com­pone Ere­dità di que­sto tempo con la tec­nica del mon­tag­gio, tra­spor­tando le rovine in un altro spa­zio che si oppone al con­te­sto abi­tuale. Si ritro­vano assem­blati passi di Spi­rito dell’utopia (1918) e di Attra­verso il deserto (1923), ma anche di altri scritti minori; il tutto viene com­bi­nato uti­liz­zando il col­lante par­ti­co­lare offerto dallo stile affa­bu­la­to­rio di Tracce (1930). Come in un ine­dito col­lage (o meglio: frot­tage) si con­fi­gu­rano nuove costel­la­zioni, si sta­bi­li­scono inso­spet­tati equi­li­bri, si ten­tano impre­vi­ste asso­cia­zioni: si assal­gono cioè i limiti del noto. In linea con que­sto gesto audace, Bloch rinun­cia a un lavoro siste­ma­tico, imper­niato su un cen­tro sta­bile e defi­nito. Impiega piut­to­sto – come Laura Boella chia­ri­sce nell’introduzione – lo sguardo inquieto (e tal­volta stra­bico) di una nar­ra­zione che non spiega ma com­bina, accu­mula, rac­conta, descrive, pro­cede a salti, s’interrompe, torna indie­tro, rico­min­cia daccapo. 

Una stra­ti­fi­ca­zione plurale 
In que­sto qua­dro della Ger­ma­nia dai con­torni insta­bili e incerti Bloch tenta il suo passo più ardito, lo sforzo di com­pren­sione più dolo­roso: quello di «guar­dare in fac­cia la forza di attra­zione e la capa­cità della poli­tica nazi­sta di sod­di­sfare esi­genze fru­strate e represse di lar­ghe masse, non­ché di intel­let­tuali snob e di rispet­ta­bili acca­de­mici». Di con­tro al mito nazi­sta e iden­ti­ta­rio della purezza del san­gue, Bloch con­ti­nua a ricor­dare negli anni Trenta che la Ger­ma­nia è una terra mul­tiet­nica, una plu­ri­stra­ti­fi­ca­zione di tempi e di cul­ture. Al con­tempo l’analisi blo­chiana denun­cia in modo lucido la cor­re­spon­sa­bi­lità e l’inettitudine del par­tito comu­ni­sta tede­sco di fronte all’avanzata della destra. L’errore è stato pro­prio nel non aver com­preso le stra­ti­fi­ca­zioni pre­senti nell’eredità del pro­prio tempo e della pro­pria cul­tura, nel non aver con­si­de­rato, ad esem­pio, quella dia­let­tica di fami­liare ed estra­neo che è pro­pria della dimen­sione mitologica. 
Per que­sto e per tante altre ragioni Ere­dità di que­sto tempo di Ernst Bloch – che nella nuova veste con­tiene anche un pre­zioso appa­rato di note – si rivela un testo asso­lu­ta­mente impor­tante, tanto imper­do­na­bile («Gli imper­do­na­bili» è il titolo della col­lana che lo ospita) quanto imper­di­bile: un’opera che mostra e dimo­stra la sua per­si­stente attua­lità in tempi infau­sti segnati da tra­gi­che migra­zioni, ma anche da nefa­ste riven­di­ca­zioni iden­ti­ta­rie, da chiu­sure nel mede­simo e da sospetto per l’altro.

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