mercoledì 4 novembre 2015

Destra italiana 2. Un'opera a proprie spese in più volumi per dire che Matteotti era un mentecatto antiliberale

Enrico Tiozzo: Matteotti senza aureola. Volume primo: il politico, Aracne, pp. 384, euro 22, con prefazione di Aldo A. Mola

Risvolto

L'esecrabile uccisione di Giacomo Matteotti da parte di un pugno di delinquenti fascisti ha creato il mito del grande uomo politico, finissimo esperto di economia e in grado da solo di mettere in ginocchio il Fascismo con la forza delle sue argomentazioni. Ma quale fu veramente l'azione politica di Matteotti nei suoi cinque anni alla Camera? In realtà il deputato socialista fu un modesto politico, sordo alle opinioni altrui, insufficientemente preparato, verbalmente aggressivo, fortemente ostile più ai governi a guida liberale che a quello a guida fascista. Le sue proposte di legge e i suoi interventi in aula, che spesso suscitavano l'ilarità dei deputati, erano per lo più sconcertanti.



Economista folle e politico parolaio La realtà oltre il santino del martire 

Tiozzo sfata il mito del deputato socialista ucciso dai fascisti: accusava tutti senza mai una prova e le sue proposte avrebbero portato l’Italia alla rovina 
4 nov 2015  Libero Di ENRICO TIOZZO
Pubblichiamo ampi stralci dell’articolo «Matteotti fuori dall’agiografia» di Enrico Tiozzo, tratto dal numero 120 del mensile Storia in Rete (diretto da Fabio Andriola) attualmente nelle edicole. Tiozzo, docente di Lingua e letteratura italiana presso l’Università di Göteborg, traduttore dallo svedese e già autore de La giacca di Matteotti e il processo Pallavicini. Una rilettura critica del delitto, ha appena mandato in libreria il saggio Matteotti senza aureola. Volume primo: il politico (Aracne, pp. 384, euro 22, con prefazione di Aldo A. Mola). 

Tra il 2014, in occasione del novantesimo anniversario della morte, e la prima metà del 2015 sono stati pubblicati in Italia sei nuovi libri su Giacomo Matteotti e sono stati riproposti in nuove edizioni alcuni studi classici sull’argomento (Gobetti, Arfè, Canali) a riprova del fatto che l’interesse per il segretario del PSU, vittima della violenza fascista il 10 giugno del 1924, non conosce flessioni. È ragionevole aspettarsi che entro il centenario dalla morte usciranno una cinquantina di nuovi titoli. La totalità degli studi disponibili fino ad oggi è contraddistinta da una caratteristica poco comune nel campo della ricerca storica, vale a dire quella di un atteggiamento volutamente acritico e pieno d’incondizionata ammirazione, se non spesso di aperta venerazione, nei confronti del personaggio studiato, della sua vicenda umana e del suo percorso politico. 
In casi molto rari (pensiamo per esempio al libro del 2004 di Giuseppe Tamburrano, Giacomo Matteotti. Storia di un doppio assassinio, UTET) si apre un minimo spiraglio, non già di critica ma di lievissima riserva, e soltanto su alcuni aspetti strettamente privati e caratteriali dell’uomo (...), mentre il tono generale del libro rimane apologetico. (...). 
È inevitabile constatare come, negli ultimi 70 anni, sia stata tolta dalla circolazione in Italia ogni pagina davvero critica nei confronti di Matteotti, studiato soltanto come un puro eroe e un martire della libertà e sollevato quindi al di sopra di ogni possibile giudizio negativo che, in quanto  tale, verrebbe immancabilmente bollato come espressione di bieche simpatie fasciste. 
Per trovare un giudizio non agiografico su Matteotti, pronunciato da un personaggio che lo conosceva bene ed era sicuramente al di sopra di ogni accusa di fascismo, si deve ricorrere ad un’intervista con Giovanni Amendola (1882-1926), pubblicata sul quotidiano svedese Göteborgs Handels-och Sjöfartstidning (...) il 1˚ agosto 1924 e rilasciata da Amendola al giornalista svedese il 1˚ luglio del 1924, dunque quando era già assodato che Matteotti era stato ucciso dai fascisti. Così si esprime Amendola: «Per quanto riguarda Matteotti, egli era a malapena un uomo così grande come adesso vogliono farlo apparire gli oppositori del Fascismo. Dal punto di vista politico egli era soltanto un dirigente di secondo piano nel partito socialista, ed era soltanto a proposito di alcune questioni di economia che aveva autorità. Durante la guerra era pressoché comunista e, in una situazione, offese violentemente l’esercito quando esso doveva combattere delle difficili battaglie. Sebbene fosse un milionario non aveva mai donato nemmeno un soldo al partito. E dall’essere stato un comunista puro si trasformò in un socialista più moderato solo per potersi fare strada. Era uno che polemizzava molto ma era malvagio, rompeva spesso le trattative e in generale era una persona sgradevole». 

Le parole di Amendola aprono la strada ad una discussione sulla vera azione politica di Matteotti, un tema però sorprendentemente carente di ricerche e presentato soltanto di scorcio e nei consueti toni agiografici dagli studiosi quando si parla del delitto o quando si rievoca la figura dell’eroe (...). La versione ufficiale, tuttora circolante e universalmente accettata, è che Matteotti fosse un politico abilissimo ed eccezionalmente preparato, soprattutto nel campo economico-finanziario, un maestro nel dibattito parlamentare («Nessuno l’ha mai battuto in un contraddittorio» scrive Gobetti), un imparziale accusatore sempre documentatissimo ed inesorabile nei confronti dell’attività politica inefficiente e ignobilmente corrotta di Mussolini, di cui seppe denunciare alla Camera tutte le carenze e tutti gli abusi fino al celeberrimo discorso del 30 maggio 1924 che gli costò la vita. Senza contare che, quando venne ucciso, aveva con sé (si narra) documenti esplosivi – repertati in Inghilterra – che avrebbero trascinato nello scandalo Mussolini e il Re d’Italia Un’immagine del giornalista e politico Giacomo Matteotti (1885-1924) in Aula, tratta dalla copertina del saggio di Enrico Tiozzo «Matteotti senza aureola» pubblicato da Aracne. Il volume demolisce soprattutto l’attività politica del “martire” antifascista. A sinistra, Benito Mussolini (1883-1945), considerato da molti storici il mandante, almeno morale, del delitto Matteotti, anche se alcuni tirano in ballo direttamente il re Vittorio Emanuele quando egli li avesse potuti presentare alla Camera il giorno seguente. 
Qui l’analisi (o la pseudoanalisi) dell’attività politica di Matteotti fino al 10 giugno del 1924 si fonde di colpo con il delitto, ne diventa la spiegazione e viene, per ciò stesso, travalicata e trasfigurata creando un groviglio inestricabile, su cui 70 anni di ricerche e decine e decine di volumi non sono ancora riusciti a fare chiarezza (o hanno deliberatamente evitato di volerla fare). Ma Matteotti fu veramente il politico che la vulgata ci ha tramandato? (...). Non si rispondere se non tracciando una netta linea di demarcazione tra tutto ciò che Matteotti realizzò politicamente fino al 10 giugno 1924 e tutto ciò che divenne leggenda, mito e agiografia dall’11 giugno 1924 ai giorni nostri. I risultati di un tale lavoro di ricerca, basato principalmente sull’edizione completa dei Discorsi parlamentari di Giacomo Matteotti, editi dalla Camera dei deputati in tre volumi per 1.645 pagine totali nel 1970, sull’edizione originale di Un anno di dominazione fascista, pubblicata nel 1923, e sui documenti inediti riguardanti le vicende inglesi di Matteotti, principalmente conservati nell’Archivio dell’Istituto Internazionale di Storia Sociale di Amsterdam, riserva delle straordinarie sorprese. 
Giacomo Matteotti entrò nella Camera dei deputati dopo le elezioni del 16 novembre 1919, in cui il suo partito (Partito Socialista Italiano), con il 32% dei voti e 156 seggi, era risultato di gran lunga il primo partito (...). Nelle successive elezioni del 1921 il suo partito scese al 24% e a 123 seggi (...). Nella tornata elettorale del 1924 i socialisti (...) arrivarono solo al 15% e a 46 seggi (...). 
Fin dal suo primo intervento in Aula nel 1919 Matteotti dimostrò la sua aggressività verbale contro tutti gli oppositori e la sua irrinunciabile chiusura a priori ad ogni possibile collaborazione con gli altri partiti (i cattolici, i liberali ecc.), tenendo quindi una linea politica, che non avrebbe mai abbandonato nei successivi quattro anni e mezzo, del tutto improduttiva per ogni possibile progresso del Paese. Come primo atto, nella tornata del 21 dicembre 1919, egli accusò Nitti di aver truccato le elezioni appena svoltesi procurandosi i voti in modo truffaldino (...).  
In quella prima tornata (a cui nessuno mai accenna) Matteotti fece dunque esattamente quello che avrebbe fatto nei successivi quattro anni e mezzo della sua attività parlamentare e anche nel discorso del 30 maggio 1924: senza avere mai in mano alcuna prova documentale offese tutti i deputati non socialisti accusandoli di essere degli imbroglioni e dei truffatori, attaccò violentemente il governo liberale (...), ma non fece alcuna controproposta concreta e costruttiva (...). Negli interventi degli anni successivi (...) Matteotti avrebbe continuato ad accusare, con ugual livore, tutti i governi (Nitti come Giolitti, Bonomi come Facta e Mussolini) di essere corrotti, inefficienti e incompetenti in materia economica e finanziaria perché non riuscivano a raggiungere immediatamente il pareggio nel bilancio dello Stato e a ripagare il debito pubblico accumulato. Come sua ricetta per risolvere il problema propose poi, a più riprese, l’e-

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