Di fronte a tanto spaccio di retorica della cultura e del pluralismo bla bla per giustificare una concentrazione capitalistica da parte di chi ne trarrà profitto, duole - ma giova - dire che Marina Berlusconi ha ragione [SGA].
La versione di Marina
Rcs, Marina Berlusconi: "Io incompatibile? Arroganti"
La presidente di Mondadori replica alle accuse di Elisabetta Sgarbi: "Essere considerata incompatibile con chi mostra una tale arroganza e un tale disprezzo verso le opinioni e le posizioni altrui non mi dispiace affatto
Bompiani addio. Elisabetta Sgarbi si è dimessa dalla casa editrice che ha diretto per molti anni, fino a identificarla fortemente col proprio nome, e parte per una nuova avventura con i più stretti collaboratori oltre a un bel numero di scrittori che ha contribuito a lanciare. Dopo tante indiscrezioni, ieri l‘annuncio ufficiale: prende il mare (dei libri) «La nave di Teseo», a bordo Mario Andreose, Eugenio Lio, Anna Maria Lorusso, e cioè lo storico nucleo redazionale della Bompiani, ma anche fin da subito alcuni scrittori: Umberto Eco, Sandro Veronesi, Furio Colombo, Edoardo Nesi, Sergio Claudio Perroni, che faranno parte dell’azionariato, insieme a imprenditori come il finanziere milanese Guido Maria Brera e editori di antico lignaggio come Jean-Claude Fasquelle, alla guida fino al 2000 della casa francese abituale traduttrice di Eco; ora, a 84 anni, si lancia nella nuova avventura editoriale insieme con la moglie Nicky.
Elisabetta Sgarbi se ne va su La nave di Teseo. Si chiama così il nuovo marchio di cui ieri ha annunciato la nascita, contestualmente alle dimissioni da Bompiani, dove ha lavorato per 25 anni e dove era direttore editoriale. Un divorzio atteso, che non mette in alcun modo a rischio la cessione di Rcs Libri a Mondadori. «Lascio la direzione della Bompiani in un momento di particolare ricchezza di voci, nella stagione del Premio Nobel a Svetlana Alexievich», spiega Sgarbi al «Corriere». «Ma non sarei onesta se dicessi che questa mia uscita non dipende dalla cessione dei marchi Rcs alla Mondadori. Non ho nulla contro la Mondadori. Non serbo motivi di attrito con la proprietà e men che memo con il management. Credo però che questa acquisizione non sia un’iniziativa solo commerciale, ma qualcosa di molto più importante. Alcuni editori non hanno una posizione precisa sul fatto di entrare in un grande gruppo. Io sì e sarebbe lo stesso se, come dice Umberto Eco, al posto di Berlusconi ci fosse Nichi Vendola». Foto di gruppo di editori e autori de La nave di Teseo.Sgarbi sottolinea che la sua «non è una battaglia ideologica e neppure politica» contro il gruppo ribattezzato «Mondazzoli» ma la concentrazione di una fetta di mercato, su cui l’Antitrust si dovrà esprimere, secondo Sgarbi non è sana. «Il mondo dei libri è sacro, in esso deve regnare la pluralità, cioè non si devono creare le condizioni per una concentrazione. Non penso che la Mondadori limiti le libertà professionali o autoriali, ma ritengo che una proprietà che concentri il 35 o il 38% del mercato, in un Paese come l’Italia, crei le condizioni perché la pluralità sia a rischio». Sgarbi cita ad esempio il romanzo di uno degli autori Bompiani più prestigiosi, Michel Houellebecq. «Chiunque abbia letto Sottomissione sa quanto passaggi che al momento non sembrano decisivi, possano, in futuro, rivelarsi tali. In sostanza, non mi preoccupa affatto la famiglia Berlusconi ma chi verrà, se verrà, dopo di essa».
Oltre la crisi, si può fare. DeriveApprodi rilancia sull’indipendenza Editoria. La difficile arte di essere indipendenti in Italia tra monopoli e crisi: la casa editrice romana rilancia la produzione e scommette sulle alleanze con il lavoro autonomo e quello della conoscenzaRoberto Ciccarelli il Manifesto 26.11.2015, 8:52
Il 2015 si chiude con un mercato editoriale dominato da due concentrazioni oligopolistiche – una editoriale (Mondadori che acquista Rcs libri), l’altra nella distribuzione con la fusione tra Pde e Messaggerie. Un processo che ha provocato di riflesso un ritorno di fiamma del concetto di indipendenza. L’Adelphi di Roberto Calasso l’ha riacquistata e si è sottratta da «Mondazzoli». Come indipendente è stata presentata la nuova casa editrice «La Nave di Teseo», guidata da Elisabetta Sgarbi e supportata da un nutrito numero di autori Bompiani che, con Umberto Eco o Sandro Veronesi, avevano già espresso perplessità rispetto alla fusione. «Non nasciamo contro nulla e nessuno – ha detto Elisabetta Sgarbi — ma con un’idea di editoria che mi corrisponde, e che penso di aver tentato di interpretare».
A conferma della vivacità delle pratiche indipendenti, e a dispetto della crisi e dai limiti imposti dalle concentrazioni, uno degli editori che ha creato una cultura dell’indipendenza nell’editoria ha annunciato un’operazione anti-ciclica. Attiva come rivista dal 1992, e come casa editrice dal 1998, DeriveApprodi rilancerà la sua produzione di titoli per il 2016. I nuovi libri saranno 40, venti nei primi quattro mesi dell’anno. Una nuova collana sulla filosofia delle passioni si aggiunge a un catalogo che intreccia il pensiero post-operaista con la cultura materiale o la letteratura. Gli autori, noti e meno noti al pubblico italiano, intrecciano la riflessione politica radicale con quella estetica, antropologica o economica: ad esempio, il croato Srecko Horvat, il francese Jacques Rancière o l’antropologo Eduardo Viveiros de Castro, gli scritti di Elvio Fachinelli.
I lettori esistono e cambiano. E cambia l’idea di indipendenza rispetto ai suoi usi e alla sua storia recente. «Di solito con indipendenza s’intende una posizione in una rete di rapporti commerciali che non si avvale di puntelli in altri passaggi della filiera come la proprietà di librerie o di distributori a valle e della finanza, delle assicurazioni o dell’immobiliare a monte» sostiene Ilaria Bussoni che dirige la casa editrice con Sergio Bianchi. Indipendenza non è solo un assetto proprietario, né un ritorno all’artigianato dopo l’estinzione del modello fordista che nell’editoria ha coinciso con la cultura liberale e borghese del Novecento. «C’è anche un modo di essere indipendenti interrogandosi sulla propria collocazione nel bacino del lavoro autonomo e in quello della conoscenza che sono molto più estesi rispetto a quello in cui noi siamo immersi – aggiunge Bussoni — Da vent’anni cerchiamo alleanze con chi ha pratiche simili alle nostre in un bacino che con Marx chiamiamo “General Intellect”: oggi lo facciamo interloquendo con il cinema o con il rinnovamento della terza pagina tradizionale rappresentato dalle riviste culturali online e sui social network».
Mantenere questo spazio è un dovere civile, ancor prima che imprenditoriale. «Serve per sfuggire alla riorganizzazione disciplinare e ai sistemi di valutazione accademici in vigore in Italia — conclude Bussoni — È importante perché questo non sia l’unico stile attraverso il quale si scrive di filosofia, politica, letteratura o scienze umane».
A Repubblica arriva Mario Calabresi
«A Natale dopo 6 anni e mezzo lascerò @la_stampa e un pezzo di cuore: è stata un’avventura bellissima. A gennaio ricomincio a @repubblicait». Mario Calabresi ha voluto annunciarlo con un tweet il suo addio a la Stampa. Rimarrà alla guida del quotidiano torinese fino al prossimo 17 dicembre, mentre dal 15 gennaio diventerà il nuovo direttore di Repubblica. Il Gruppo l’Espresso ha confermato ieri con un comunicato la designazione «all’unanimità», da parte del Cda, di Mario Calabresi alla guida di Repubblica. Sarà quindi lui, «figura di primo piano del nostro giornalismo, cresciuto all’interno di Repubblica, ove ha ricoperto i ruoli di caporedattore centrale e di corrispondente da New York», a ricevere il testimone da un Ezio Mauro che solo per poco non ha eguagliato il record di Eugenio Scalfari.
Si parla però pur sempre di quasi vent’anni, che si chiuderanno a metà gennaio. Ma Ezio Mauro, almeno stando a quel che avrebbe raccontato ieri durante la riunione del mattino dando la notizia ai responsabili di settore, avrebbe confessato che il pensiero aveva iniziato ad accarezzarlo ai tempi del rapimento in Afghanistan di Daniele Mastrogiacomo, nel 2007. Ora proseguirà il suo «prezioso lavoro giornalistico», recita a proposito di Mauro la stessa nota del Gruppo L’Espresso.
Da metà gennaio però si apre un altro capitolo in cui rientra un pezzo di quella storia. Perché Mario Calabresi, classe 1970, dopo una parentesi come cronista parlamentare all’Ansa, già nel 1999 aveva fatto parte della redazione politica del quotidiano del Gruppo L’Espresso. Dal 2000 al 2002 l’approdo alla Stampa dove, da inviato, racconta gli attentati a New York. Poi un primo ritorno a Repubblica, come caporedattore centrale prima e inviato dagli Usa poi.
Carriera veloce quella di Calabresi, che nel 2009 va a sostituire Giulio Anselmi alla direzione della Stampa ma che nel tempo si impone anche come scrittore. Come con “Spingendo la notte più in là” (2007) in cui ha raccontato la tragica morte del padre, il commissario Luigi Calabresi, con la storia della sua famiglia e di altre famiglie vittime del terrorismo.
Oggi Mario Calabresi lascia un giornale a 205.769 copie cartacee più digitali diffuse di media ogni giorno (dato Ads a settembre) che insieme con il Secolo XIX è andato a creare un’unica realtà editoriale in Itedi (controllata da Fca). E in questa fase il lavoro di Calabresi è stato un lavoro importante giudicato da più parti positivamente.
Allo stesso tempo La Stampa ha voluto scommettere sull’alleanza con i giganti del web sul fronte editoriale, come dimostra l’adesione alla “Dni” (Digital news initiative) con Google e vari editori europei e anche l’adesione al progetto “Amp” (piattaforma open source per rendere più veloce la lettura di siti e articoli su smartphone). Attenzione al digitale che ha portato nelle file della Stampa anche Massimo Russo, attuale vicedirettore ed ex direttore di Wired.
Non era un compito facile, per Ezio Mauro, raccogliere quasi vent’anni fa l’eredità di Eugenio Scalfari. Scalfari è stato un grande fondatore, direttore e comproprietario di giornali: il settimanale «L’Espresso», lanciato nel ’55 insieme ad Arrigo Benedetti, cui subentrerà alla direzione nel ’63; e «la Repubblica», nata nel ’76 e diventata, nel giro di pochi anni, uno dei due più diffusi quotidiani italiani, in un serrato testa a testa con il «Corriere».
Ezio Mauro, invece, quando il 14 gennaio 1996 succedette a Scalfari aveva un passato di giornalista puro. Dapprima cronista e inviato speciale nei quotidiani torinesi «La Gazzetta del Popolo» e «La Stampa». Poi, alla fine degli anni Ottanta, una breve parentesi alla «Repubblica», in cui racconterà da Mosca la perestrojka di Gorbaciov. Infine, il ritorno alla «Stampa» nel 1990, come condirettore e poi, dal settembre 1992, direttore. Lo attenderà il biennio di Tangentopoli (1992-’94), forse il periodo più fortunato attraversato dalla carta stampata italiana, finalmente affrancata dalla «tutela» dei potentati politici ed economici che avevano dominato la prima Repubblica, e condizionato l’informazione.
Se Scalfari è un personaggio formatosi nel crogiolo del «Mondo» di Mario Pannunzio, e lo ha fatto sentire nella sua lunga direzione, Mauro ha portato in dote a «Repubblica» una solida cultura torinese e “azionista”. Un bagaglio che gli tornerà utile negli anni del berlusconismo trionfante, quando il suo quotidiano difenderà la Costituzione e l’eredità antifascista ispirandosi alla lezione di due grandi maestri sabaudi come Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone.
Inflessibile nel respingere il revisionismo anti-antifascista, la «Repubblica» di Mauro ha dovuto traghettare il variopinto arcipelago del post-comunismo italiano dalla poesia alla prosa, ossia dal sole dell’avvenire all’economia di mercato quale unico orizzonte possibile (in sintonia con l’editore Carlo De Benedetti). Per molti anni le sue pagine hanno fatto da cassa di risonanza allo psicodramma della sinistra italiana, uscita malconcia dal crollo del muro di Berlino (autunno ’89).
È innegabile che i periodi giornalisticamente più felici di «Repubblica», probabilmente anche dal punto di vista della tiratura, siano stati quando a Palazzo Chigi c’era l’esecrato Cavaliere. Mauro poteva contare su un buon parterre di ‘inchiestisti’, a partire da Giuseppe D’Avanzo, capaci di fare le pulci ai governi in carica. Quando invece l’esecutivo era guidato dalle traballanti coalizioni di centro-sinistra, diventava senz’altro più difficile confezionare un foglio accattivante per i suoi fedeli lettori. Storicamente, lo zoccolo duro della sinistra italiana ha sempre preferito stare all’opposizione piuttosto che bere l’amaro calice del potere.
Con Mauro, le pagine culturali di «Repubblica» sono invece parse meno legate all’attualità politica, dando frequente spazio a molti autori adelphiani, quasi sempre estranei alla tra.dizione laica e illuminista incarnata dal quotidiano romano.
Probabilmente, gli storici del giornalismo ricorderanno Ezio Mauro come uno dei più longevi direttori, insieme a Luigi Albertini, Giulio De Benedetti e, ovviamente, Eugenio Scalfari. Lascerà il 14 gennaio in coincidenza con il suo ventennale. Come commentatore, Mauro è stato piuttosto parco durante il suo “ventennio”. Interveniva soltanto nei momenti acuti, con prese di posizione incisive e capaci di lasciare un segno, mentre Scalfari continuava (e continua) a firmare la sua tradizionale riflessione domenicale.
Una casa editrice non si fonda contro qualcuno. Se non altro perché le energie da investire sono tali, che ogni dispersione è bandita.
La nave di Teseo non sarà la Bompiani, perché una Bompiani c’è già.
La nave di Teseo non sarà una Bompiani 2. Perché non sarà seconda e perché sarà unica.
La nave di Teseo non è una cooperativa di autori. La loro presenza nella costruzione del capitale è solo (ed è moltissimo) il segno tangibile che le case editrici vivono degli e per gli autori.
La nave di Teseo non è una casa editrice di sinistra o di destra. È una casa editrice.
La nave di Teseo non è la casa editrice di Umberto Eco e “della Sgarbi”. Essa è amministrata da un consiglio di amministrazione in cui siedono, tra gli altri, illustri rappresentanti dell’imprenditoria e della società civile, rappresentanti degli autori e degli editori. Che guarderanno alla bontà delle proposte e alla salute economica della casa editrice.
La nave di Teseo non è guidata da un consiglio di amministrazione. È guidata da un Publisher.
La nave di Teseo non è primariamente una azienda. O meglio, lo è, ma continuerà a chiamarsi e a pensarsi come casa editrice. E a definirsi tale.
La nave di Teseo non avrà preclusioni di generi letterari, né di forme letterarie.
La nave di Teseo non è una casa editrice radical chic. Saprà essere radical, però.
La nave di Teseo non si occuperà solo di libri. Parteciperà, idealmente, a «La Milanesiana Letteratura Musica Cinema Scienza Arte Filosofia Teatro».
La nave di Teseo non è una follia. La follia è di pochi, i soggetti coinvolti in questa impresa sono molti e tutti, sinora, hanno dato segno di grande lucidità. Alcuni di essi, come Messaggerie e Feltrinelli, che offrono i servizi di distribuzione e promozione, includono centinaia di persone, tutte in pieno possesso delle loro facoltà mentali.
La nave di Teseo, benché ancora tale mi sembri, non è un sogno: è una realtà concreta, che ini zierà le sue pubblicazioni nel mese di aprile 2016. E ho un po’ di nostalgia, già, della Bompiani. Ma in fondo la nostalgia c’era già prima. Quindi la addebito al mio carattere.
Concentrazioni? Timori sbagliati
Non fui sorpreso questa primavera dall’appello degli scrittori contrari all’accordo di fusione tra Rcs Libri e Mondadori. Da sempre il mondo della cultura diffida delle grandi dimensioni e delle logiche industriali: “il prototipo è meglio della serie”; “le economie di scala appiattiscono la qualità dell’offerta artistica, massificandola”; “vi è più orgoglio per il formato artigianale che per quello standardizzato”; “l’azienda imprenditoriale è più affidabile di quella condotta da una tecnostruttura manageriale”, e così via.
Nel campo editoriale poi permangono i miti dei grandi padroni degli anni Sessanta, come gli Einaudi, i Garzanti, i Bompiani, i Fabbri, i Rusconi e c’è molta nostalgia per questi galantuomini, riusciti allora a conciliare profitti con vocazione intellettuale. Se poi ci aggiungiamo le sinergie conseguenti alle concentrazioni (brutta parola le sinergie, quasi equivalente al marketing nella sua valenza dispregiativa!) che richiamano tagli di teste, cure dimagranti e razionalizzazione dei portafogli prodotti, l’atteggiamento non può che essere tiepido o contrario da parte dell’intellighenzia nostrana.
Il fatto che la fusione di “Mondazzoli” (ma quando verrà fuori il nuovo nome?) sia stato preparato da due attori non ingenui e impreparati, attenti a impostare una fase di non posticipabile stop loss, sembra che sia ininfluente per capire le ragioni di quanto è avvenuto. In un mercato piccolo - quale è quello editoriale in Italia per un problema linguistico - atomizzato e in declino, la frammentazione è comunque un pericolo per tutto il settore. Vale l’esempio di quanto è successo in questo comparto quando emerse la grande forza di Amazon all’inizio di questo secolo: le imprese reagirono mettendo in piedi diverse società per l’online e per l’e-commerce, con il risultato di non fare massa critica e di essere ininfluenti nella lotta contro il gigante americano. Risultato, oggi Amazon comanda la distribuzione libraria.
La concentrazione favorisce miglioramenti produttivi, distributivi, tecnologici e di acquisto dei diritti (male che vada il problema si porrà per gli autori esteri che verranno comprati a prezzi più bassi, mentre gli autori italiani potranno essere ceduti a prezzi più alti sul mercato internazionale). Perché è proprio sul mercato globale che l’attore concentrato è più forte. E ciò potrebbe addirittura consentire all’Italia e agli scrittori di casa di alzare di più la voce oltre confini. Conclusione: il timore è sbagliato. La preoccupazione di eccessiva dominanza è una reazione comprensibile, ma poco competente. Parlare di monopolio e crisi della libera concorrenza vuol dire non conoscere cosa sta succedendo nei settori in crisi (è normale che le aziende in difficoltà si aggreghino ad altre aziende per tentare un turnaround).
Inoltre ciò che è successo da allora ad adesso ha prodotto una sana reazione da parte di collettivi imprenditoriali di carattere che hanno deciso di intraprendere strade autonome, come nel caso di Adelphi e oggi di La Nave di Teseo. Ottima notizia. Intellettuali “animal spirits” che con nuova passione e azzardo innovativo si ritagliano nuovi spazi di mercato per la sopravvivenza di nuovi marchi. Viva Shumpeter e il suo disordine creativo! Se i libri e gli autori saranno buoni, i prodotti emergeranno. Piccoli o grandi che siano gli editori.
«Non è una fusione ma un’acquisizione: i marchi di Rcs Libri resteranno autonomi» «La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi? Dico che la nostra mossa ha stimolato l’ambiente».
«La ragione è semplice. La rivoluzione digitale ha stravolto il mercato dei periodici. Nel 2008 oltre il 55% dei ricavi di Mondadori proveniva proprio dai periodici che contribuivano per il 70% alla redditività totale, una quota dovuta soprattutto alla Francia. In Italia nel 2013 i magazine Mondadori hanno perso oltre 20 milioni di euro. Dovevamo spostare il core business. Abbiamo studiato
il mercato: Rcs Libri era in vendita. Conosciamo profondamente l’editoria libraria, ha un modello di business consolidato anche nella sua evoluzione, in cui l’impatto del digitale è chiaro e meno incerto rispetto ai periodici».
Vi accusano di voler monopolizzare il mercato.
«Cinque anni fa avevamo il 31%, con i libri di Rcs avremo il 35% del trade, il non scolastico. Non abbiamo compiuto aggressioni fino a oggi, non vedo perché dovremmo cominciare ora. Il problema è il mercato italiano: in decrescita, frammentato, di piccole dimensioni, 1,2 miliardi per il trade. È essenziale poter contare su una massa critica per essere competitivi, economicamente sani e assicurare un traino al settore. Mondadori nel 2014 ha ricavato dal trade oltre 200 milioni, Rizzoli 110: e a loro non sono bastati per una gestione efficiente. Insieme arriveremo a un giro di affari intorni ai 330 milioni. Egemonia? Hachette in Francia nel 2014 ha fatturato il doppio di noi in un mercato da oltre 3 miliardi. In Germania Random House ha registrato ricavi per 630 milioni in un mercato da 3,8 miliardi».
Molti sono preoccupati per l’identità dei marchi, per l’autonomia editoriale dei direttori e degli autori.
«Se un marchio perde specificità, quindi libertà, perde anche valore. Abbiamo tutto l’interesse a tutelare l’identità dei brand. Nel 1994 abbiamo acquisito Einaudi in una situazione economicamente disastrosa. Oggi è il fiore all’occhiello del gruppo: è rimasta se stessa e produce utili. E così Piemme e Sperling & Kupfer. Lo stesso criterio adotteremo, adesso, per i marchi di Rcs Libri».
C’è una responsabilità etica di un editore: produrre utili, ma anche assicurare spazio alla libertà intellettuale.
«Chiunque faccia impresa ha una responsabilità etica, soprattutto se fa libri. In Italia si tende a separare nettamente tra cultura e impresa. Io dico che un’impresa sana può garantire autonomia e libertà proprio perché produce profitti. Nelle situazioni economicamente malsane avviene il contrario».
Come si chiamerà la nuova casa editrice? Mondazzoli?
«Una volta per tutte: non c’è stata una fusione, ma un’acquisizione! I marchi restano quelli che sono. Autonomi, con la loro peculiarità. E il loro nome».
Elisabetta Sgarbi ha lasciato Bompiani e fondato una nuova casa editrice, La Nave di Teseo, portando con sé autori come Umberto Eco, Furio Colombo, Sandro Veronesi, Vittorio Sgarbi, Susanna Tamaro. Si è parlato di una «assoluta incompatibilità» tra Elisabetta Sgarbi e Marina Berlusconi, presidente del gruppo Mondadori. Non è la prova che la libertà editoriale dei marchi è in pericolo?
«Elisabetta Sgarbi ha avuto le più ampie assicurazioni di piena e totale libertà per le future scelte, e grandi manifestazioni di stima, da Marina Berlusconi e da me, cioè dai vertici del gruppo. Ma cosa radicalmente diversa era la sua richiesta di acquistare Bompiani. Sarebbe stato assurdo rivenderla subito dopo l’acquisto. È stato legittimo rispondere di no».
Non crede che in questa vicenda pesi il cognome Berlusconi?
«Vorrei che fossimo giudicati solo e soltanto in base ai comportamenti della casa editrice, a cominciare dai suoi azionisti, alla qualità dei titoli e alla libertà che garantiamo agli autori e alle scelte degli editor. Questo davvero conta, non altro. La nostra storia parla per noi».
Per alcuni di questi autori non può esserci libertà editoriale in un gruppo come quello che si sta configurando.
«Mi chiedo: ma in questi anni gli autori hanno o non hanno lavorato per un editore che aveva le stesse logiche industriali della Mondadori, in un gruppo che appartiene a importanti industriali e a istituti bancari? Come si fa a giudicare senza nemmeno aver provato? Mondadori è trasparente, quotata in Borsa, è il leader del settore, ha eccellenti professionalità e assicura da sempre autonomia ai marchi».
Non vi preoccupa l’esodo di tanti autori? E come vede il futuro della Nave di Teseo?
«Non c’è un editore al mondo felice di perdere autori. Ma non si può nemmeno impedire a qualcuno di realizzare una nuova casa editrice. Dico solo che il mercato avrebbe bisogno di minor frammentazione. Comunque noto che l’acquisizione ha già stimolato il mercato: basti pensare a La Nave di Teseo, ad Adelphi, a Giunti che intende ampliare la varia».
Non teme un giudizio negativo dell’Antitrust?
«Naturalmente ci rimetteremo alle eventuali indicazioni dell’Autorità, ma non mi aspetto misure restrittive del mercato, che lo indebolirebbero, ma favorevoli. Con l’acquisizione di Rcs Libri restiamo sotto la soglia del 35% dei libri trade. Un fatturato più importante riduce i costi fissi e consente di investire di più sui libri, a vantaggio di tutta la filiera: gli autori, cui viene garantita uguale pluralità; la distribuzione, dove esistono operatori più grandi di noi; i librai, perché potranno contare su un editore forte che spingerà ancora di più il mercato».
C’è chi dice: tra poco arriverà un grande editore straniero e si comprerà tutto, Mondadori più Rcs Libri.
«Invece avverrà il contrario. Un’azienda sana e forte sa contrastare gli editori stranieri. Realtà frammentate e economicamente incerte invece li attirano».
In Italia si legge pochissimo. Lei sa che il 39% dei dirigenti e professionisti italiani non legge libri, rispetto al 17% di Francia e Spagna? Non è preoccupato?
«E’ un dato che ha colpito il mio orgoglio di italiano. Metteremo il massimo impegno per far leggere di più. Per spiegare che un libro è un piacere straordinario. Sarà un impegno essenziale per un grande editore quale è Mondadori».
La metafora ricorrente ieri — giorno d’inaugurazione al Palazzo dei Congressi dell’Eur di Roma della quattordicesima edizione di «Più libri più liberi», fiera della piccola e media editoria — ruotava tutta intorno al concetto di luce. Ea usarla per primo è stato il presidente dell’Associazione Italiana Editori, Federico Motta: «Si intravvedono i primi segnali di uscita dal tunnel», ha detto commentando i dati diffusi in mattinata e relativi al mercato di settore.
Un mercato del libro che infatti potrebbe presentare un segno positivo a fine anno: «Se consideriamo anche gli ebook e i canali non censiti — ha aggiunto Motta — possiamo essere cautamente ottimisti». Dunque, un assai probabile segno più, ovvero qualcosa che comunque non si vedeva da anni. Assai probabile perché a oggi, calcolando i primi mesi del 2015, il dato certificato regista ancora un calo, pari però solo a un 1,6 per cento di fatturato, un numero «minimo» che per gli esperti si annulla, di fatto, aggiungendo una serie di dati non censiti e relativi sopratutto alle vendite tramite il colosso Amazon (che non fornisce dati), alla diffusione degli ebook e ai libri italiani commercializzati all’estero.
A certificare il «cauto ottimismo» è stata l’annuale indagine Nielsen, studio che tradizionalmente si presenta durante la kermesse romana e che per conto dell’Aie certifica ogni dodici mesi l’andamento di un comparto (finora) in forte crisi. In dettaglio, il «quasi certo» segno più per l’intero settore — di fatto una sostanziale tenuta del mercato del libro di carta in generale nei canali trade, con 14 milioni di euro in meno rispetto allo stesso periodo del 2014 e con un calo di copie vendute pari un meno 4,4 per cento — si trasforma in un «doppio segno più», sempre per i primi dieci mesi del 2015, proprio per i «piccoli editori» protagonisti della fiera; ovvero per quei marchi con un venduto «a valore di copertina» sotto i 13 milioni annui.
Il lieve calo generale (1,6) relativo all’intero mercato si trasforma infatti già oggi, nel loro caso, in un più 1,7 per cento di copie vendute e in un più 2 per cento di fatturato. Timidi segnali di ripresa trainati da piccole e medie aziende perciò, salutati con soddisfazione da Dario Franceschini che ieri ha inaugurato «Più libri»: «È un grande piacere tornare qui — ha detto — io sono venuto diverse volte non da ministro, ed è bellissimo vedere la sala così affollata, i corridoi rumorosi, brulicanti di voci, energie, piccole case editrici che hanno attraversato con testardaggine appassionata questi anni di crisi, che forse ci stiamo finalmente lasciando alle spalle». Un forse, quello del ministro, seguito da un accenno su un mondo dei libri in grado di rendere «il Paese più ricco, più vivace, più aperto al mondo».
Prima di lui erano state le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a colpire l’uditorio. Il capo dello Stato ha infatti inviato un messaggio di auguri alla Fiera, parlando di un «necessario adoperarsi per garantire la maggiore libertà editoriale possibile». I libri, ha scritto Mattarella, «sono un fondamentale strumento di crescita e di conoscenza e la conoscenza ci rende persone libere, come giustamente ricorda il titolo della rassegna, e cittadini consapevoli. I libri sono, insieme, un bene privato e un bene pubblico, perché generano sapere condiviso. Sono il patrimonio che lasciamo alle giovani generazioni, le radici sulle quali continuare a costruire il futuro della nostra comunità. È necessario adoperarsi per garantire la maggiore libertà editoriale possibile».
Altra caratteristica ricorrente dell’edizione di quest’anno, un generale e più volte ripetuto richiamo all’unità del settore: «Questo è il momento in cui lavorare ancora di più, tutti insieme», ha detto Motta. «Dopo cinque anni di mercato editoriale con il segno meno, l’emorragia si sta fermando», gli ha fatto eco Antonio Monaco, presidente del gruppo Piccoli editori di Aie, il quale ha anche evocato la necessità di «riattivare un forte attivismo civile». E mai come quest’anno i cosiddetti grandi editori si sono visti a «Più libri», a partire dall’amministratore delegato di «Mondadori Libri» Enrico Selva Coddè, presente ieri all’Eur: «Piccoli e grandi editori sono un unico mondo — ha detto — non ci sarebbero gli uni senza gli altri e il mercato non potrebbe farne a meno» (oltre a lui, ieri al Palacongressi, anche Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato di Gems, e Alessandro Monti, direttore operativo di Feltrinelli e presidente del gruppo «Varia» dell’Aie).
I «piccoli» editori intanto festeggiano quello che definiscono il «loro anno», con una crescita che relativamente ai generi fa registrare un buon incremento della fiction italiana (più 14,7 per cento a copie, pari a un più 23,5% per fatturato) e del settore bambini e ragazzi (più 8,9 a copie e più 11,1 per fatturato). Variazioni in negativo, invece, più o meno significative, per fiction straniera, saggistica, manuali, guide, testi su viaggi, tempo libero e lifestyle.
Nell’editoria in crisi solo i piccoli stanno a galla
Il settore continua a perdere, ma i marchi di nicchia aumentano vendite e fatturato catturando le nuove tendenze, dalla graphic novel ai volumi per ragazzi. Ecco quelli che ci hanno colpito di più
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