sabato 7 novembre 2015

Il Pulcinella di Agamben

Pulcinella ovvero Divertimento per li regazziGiorgio Agamben: Pulcinella ovvero Divertimento per li regazzi, nottetempo, pagg. 144 euro 27

Risvolto
Divertimento per li regazzi è il titolo dell’album di centoquattro tavole in cui Domenico Tiepolo, rinchiuso nella sua villa di Zianigo come Goya nella Quinta del Sordo, illustra la vita, le avventure, la morte e la resurrezione di Pulcinella. Ma chi è Pulcinella? un uomo, un demone o un dio? Che cosa si nasconde sotto la sua maschera nera, che non si toglie mai? E che rapporto fra la filosofia e la commedia? Come Tiepolo alla fine della sua vita, cosí Agamben sembra annodare nella figura enigmatica di Pulcinella i vari fili del suo pensiero in una sorta di immaginaria autobiografia filosofica. Forse la commedia non soltanto è piú antica e profonda della tragedia, ma anche più vicina alla filosofia così vicina che, come avviene in questo libro, pare quasi confondersi con essa. Il segreto di Pulcinella: nella commedia della vita, non vi è un segreto, ma solo, in ogni istante, una via d'uscita. La lezione di Pulcinella: si può agire solo al di là o al di qua dell'azione, si può parlare solo al di là o al di qua della parola, si può vivere solo al di là o al di qua della vita. Illustrato con le tavole su Pulcinella di Giambattista e Giandomenico Tiepolo



La filosofia è un segreto di nome Pulcinella 

Giorgio Agamben dedica il nuovo saggio alla maschera e ai suoi significati
MELANIA MAZZUCCO Repubblica 7 11 2015
Negli ultimi anni della sua vita, il pittore Giandomenico Tiepolo, che aveva soggiornato nelle corti d’Europa (in Germania e in Spagna) insieme al padre Giambattista, si trasferì nella villa che questi gli aveva lasciato in eredità, nella terraferma veneziana: a Zianigo, presso Mirano. Aveva decorato quella modesta villetta con la massima libertà – che un pittore del XVIII secolo poteva regalarsi solo dipingendo per se stesso. Aveva iniziato affrescando scene vagamente neoclassicheggianti di satiri e centauri, e quindi scene di vita contemporanea. Col Mondo Novo nel portego, la sala grande del pianterreno (1791), si offrì una meditazione sorridente e malinconica sul tempo tumultuoso che stava vivendo. La folla si accalca davanti al baraccone in cui un ciarlatano promette di mostrare le immagini del ‘mondo novo’; egli incombe su di loro, come il burattinaio sulle marionette. Tutti mostrano le spalle agli spettatori, ignari della nostra presenza (e della nostra ironia). Soltanto uno di essi ci guarda: un bambino che in quel mondo novo vivrà. Ma tre di loro, raffigurati di profilo, sembrano immuni dalle illusioni e dal rumore del mondo: un uomo anziano in cui si è sempre riconosciuto Giambattista Tiepolo, Giandomenico stesso, e Pulcinella. Il pittore manovra il suo occhialino: disorientato, ha bisogno di una lente, ma non rinuncia a capire. Infine (1793-97), Giandomenico affrescò le pareti della stanza di nord est – forse il suo studiolo – con una serie di scene aventi un solo protagonista: Pulcinella, che volle come unico compagno e alter ago dei suoi anni estremi. Fra il 1797 e la morte, avvenuta nel 1804, Giandomenico creò il Divertimento per li regazzi – un album di disegni in 104 fogli, un “incunabolo del fumetto”, interamente dedicato a Pulcinella. L’enigmatico napoletano di bianco vestito, dal cappello a cono mozzato e dal volto nero a becco di uccello, da quasi due secoli stregava gli spettatori, nobili, borghesi e plebei, di tutta Europa. Ma veniva da ancor più lontano, dalle atellane, dai drammi satireschi. Animato da una irresistibile energia vitale, disponibile a ogni avventura, citrullo per natura e strategia di sopravvivenza, refrattario a ogni autorità, dovere, morale, sempre bastonato e però invincibile, sostanzialmente immortale, il proteiforme Pulcinella era diventato la maschera più popolare del teatro all’italiana. Era comparso in numerose pitture. Lo stesso Tiepolo padre ne era stato ossessionato (disegnandolo per lo più come un gobbo, nano e mostruoso, mentre mangia, digerisce, orina ed evacua). Ma nessuno come Giandomenico ne fece il proprio riflesso spettrale. Che Pulcinella fosse per lui assai più di una comica maschera di Carnevale lo svela già il frontespizio del Divertimento, quasi blasfema citazione di quello della giovanile raccolta di incisioni
La Via Crucis: al sepolcro vuoto di Cristo e alle insegne della Passione, sostituisce il sepolcro vuoto di Pulcinella, e le sue insegne (la pentola, i maccheroni), contemplate da lui stesso. In questo povero Cristo senza miracoli, chino sull’assurdità della propria vita e di quella di tutti, si riconobbe: ne disegnò nascita, crescita, amori, avventure, erranze, lavori, gozzoviglie, morte – facendone lo specchio di ogni esistenza umana.
Alla straordinaria impresa artistica del Divertimento – poco conosciuta, perché sventuratamente smembrata fra troppe collezioni sparse in vari continenti – il filosofo Giorgio Agamben, tra i principali pensatori del nostro tempo, dedica la sua ultima opera: “ilare e scherzevole” ma solo apparentemente meno densa e “laboriosa” delle altre sue. Giacché, come fin dalla prima pagina ci ricorda, la commedia è filosofia: Platone teneva sotto il cuscino i mimi di Sofrone, e la commedia è più antica e profonda della tragedia. Nell’“oscurità dei tempi” in cui a entrambi è stato dato vivere – il pittore veneziano costretto ad assistere alla dissoluzione ingloriosa della Repubblica di Venezia, il filosofo italiano e cosmopolita a quella della nostra e dell’occidente – Pulcinella si rivela l’interlocutore più stimolante per una ricapitolazione, una “sobria meditazione sulla fine”. Non sarà futile notare che entrambi lo scelgono dopo aver valicato la soglia dei settanta anni.
Diviso in quattro scene scandite da corsivi ora autobiografici ora storicizzanti, e da frammenti di un’operetta morale (fulminanti dialoghi in napoletano fra Pulcinella e Tiepolo, ma in realtà fra Pulcinella e Agamben), accompagnato da alcuni disegni dell’album nonché da illustrazioni di altri quadri e ritratti (impaginate con finezza, in modo anti- didascalico, cosa di cui va reso merito anche alla casa editrice Nottetempo), costruito per brevi capitoli e divagazioni dotte che spaziano dall’antropologia al folclore, alla filosofia classica, alla linguistica, alla storia del teatro, dal dettaglio tecnico all’astrazione teoretica, il Divertimento delizierà i lettori abituali del filosofo Agamben, ma forse potrà avvicinargli anche qualcuno dei ‘regazzi’ che ha esitato davanti all’Homo sacer o Nudità. Regazzi si intenda in senso lato – come del resto intendeva Tiepolo: ché il suo album non era dedicato ai bambini, o ai fanciulli, ma agli spiriti liberi dalle costrizioni e dai conformismi. Il Divertimento di Agamben è insomma una lezione socratica sul significato di una maschera che è insieme singola e solitaria, e plurima come gli angeli e la plebe (una “masnada”, un popolo, una collezione di repliche). Né personaggio né carattere né tipo, Pulcinella è un’idea: «che qualcuno o qualcosa sia irreparabilmente com’è; questo è Pulcinella» (l’idea dell’irreparabile, apparentemente tragica, riflette Agamben, è invece in se stessa comica). Non sostantivo ma un avverbio: Pulcinella «non è un che ma soltanto un come »; non ha scelto di essere com’è, o di fare qualcosa, non ha volontà alcuna e le sue azioni, lungi dal mirare a un fine, sono insensate, lazzi senz’altro scopo che interrompere l’azione e vanificarla. Perfino il suo corpo, gallinaceo, ornitomorfo, non del tutto umano, cessa ogni rapporto col “logos”. Vivere la propria vita come Pulcinella può solo significare «per ogni uomo – afferrare la propria impossibilità di vivere ». Tuttavia Agamben ci consegna anche la risposta a una domanda che tutti ci siamo posti. Qual è, alla fine, il segreto di Pulcinella? Non, come l’uso comune del linguaggio induce a credere, la cosa che tutti sanno. Ma che «nella commedia della vita non vi è un segreto, ma solo, in ogni istante, una via d’uscita».  ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Nel mare di Pulcinella dove il mondo non affoga Mettendo in discussione il primato della prassi ricorda che vi è ancora politica al di qua o al di là dell’azione Angelo Guglielmi Tuttolibri 29 11 2015
Nel 1789 La Repubblica marinara di Venezia, dopo secoli di autonomia e di progresso, morì, arrendendosi vilmente ai francesi di Bonaparte Tra i pittori allora operanti nella città vi erano Gianbattista Tiepolo (padre) e Giandomenico (figlio) e entrambi nella triste occasione si impegnarono in due (uno per ciascuno) corposi cicli di dipinti, disegni, incisioni dedicati a Pulcinella. L’uno (il padre) per denigrare e mettere in burla l’ignominia dei veneziani, l’altro (il figlio), che pure era indignato, trattò lo stesso tema (il titolo del suo ciclo è:Pulcinella ovvero divertimento per li regazzi) con mano più lieve ma non solo per distinguersi dal padre e nemmeno perché d’animo più lieto.
Secondo Giorgio Agamben è perché era più bravo del padre (testimone Roberto Longhi), aveva una testa più fine e non gli era bastevole valorizzare il piglio della beffa. Così il ciclo di Giandomenico oltre l’illustrazione delle tavole è un sostanzioso studio sul personaggio Pulcinella, invero lo studio è di Giorgio Agamben che, inseguendo le tracce lasciate da Giandomenico, evidenzia per noi con dovizia di acume la complessità e particolarità di Pulcinella anche rispetto alle altre maschere della Commedia dell’Arte.
Che cosa ha di particolare Pulcinella? Certo come Arlecchino, Pantalone e gli altri incarnano altrettanti «tipi comici» evidenziati dalla maschera (ciascuno ha la sua) che indossano e con la quale recitano tutte le parti in commedia..
Ma dove sta la specificità di Pulcinella? Sì, anche Pulcinella come le altre maschere vive il personaggio che interpreta ma nel contempo ne prende le distanze e, facendosi discosto, si guarda guardare, e quel che guarda gli è indifferente o meglio lo ha già dimenticato. E’ come se, nota Agamben, «un filosofo gli fosse sempre accanto, muto testimone della sua vita».
Il modo di esprimersi di Pulcinella è «la goffaggine» non la parola, e la «goffaggine» non è una azione, è un gesto del corpo. Ma – sostiene Agamben – Pulcinella «non è, per questo, un impolitico» giacché «mettendo in questione il primato della prassi, ricorda che vi è ancora politica al di qua o al di là dell’azione». «Di qui la sua attualità, ogni volta che la politica attraversa una crisi decisiva – per Giandomenico, la fine dell’indipendenza di Venezia nel 1787, per noi l’eclisse della politica e il regno dell’economia planetaria».
Comunque (non scherziamo) la riflessione (filosofica o no) è estranea a Pulcinella. Pulcinella «non sceglie» e «non vuole», la sua caratteristica più evidente è «l’abulia». E per fortuna! Che disgrazia se avesse dovuto andare dietro agli arzigogoli della filosofia così contraddittori che se uno dice sì un altro (o lo stesso) dice no. Per esempio quando si sono impelagati nella differenza tra apparenza e sostanza hanno corso il rischio di sistemare la sostanza (la necessità) nell’esse (nell’essere) e l’apparenza nell’operare (nel fare). Finendo per giustificare quel che è accaduto a Auschwitz e ieri come oggi il pregiudizio sui diversi (ebrei, zingari, neri) colpevolmente giudicati per quel che sono e non per quel che fanno. Ma Pulcinella non c’entra con tutto questo, anche se lui che è nato a Napoli dice che a Napoli «’o mare nun se vede».
Ma come dargli torto, se il mare (come gli sta dicendo il filosofo che gli sta accanto) «non è altro che un infrangersi di una onda contro l’altra», e «quella che adesso è passata e le altre infinite che seguono...sono quelle che sono e, tuttavia, restano inconcluse, inconcludenti, possibili...». E Pulcinella illuminandosi conclude: «Ammén et requie matrerna! Aggio capito; je song’ o’ mare, song’ o’ mare...». E lo abbiamo capito anche noi.

La maschera della governance Saggi. «Pulcinella, ovvero Divertimento per li regazzi» di Giorgio Agamben, per Nottetempo. Un personaggio che gioca con la realtà politica come in un canovaccio della commedia dell'arte Marco Pacioni Manifesto 15.12.2015, 5:59
Del nuovo libro di Giorgio Agamben, Pulcinella ovvero Divertimento per li regazzi (Nottetempo, pp. 142, euro 27) anzitutto sorprende il discorso in prima persona, il carattere autobiografico, quasi testamentario. Non è però la descrizione dell’approssimarsi di una fine, ma dell’interrompersi di un itinerario. Il ritrovarsi in una situazione dalla quale fare un bilancio, ricapitolare. All’insegna dei dipinti e delle tavole che Giambattista e soprattutto Giandomenico Tiepolo dedicano a Pulcinella, quello di Agamben è un itinerario comico. E ciò non sorprende se si considera l’attenzione che Agamben ha dato a questo genere. Si consideri almeno lo scritto Comedìa sul poema dantesco in Categorie italiane. Come nella Comedìa anche nel Pulcinella di Agamben non si incontra soltanto l’autore-personaggio, ma anche tanti altri personaggi che a loro volta parlano in prima persona e compongono una scena teatrale con sdoppiamenti, coro e persino scenari quali sono le riproduzioni dei dipinti e delle tavole dei Tiepolo e altre immagini. Pulcinella è un libro che vorrebbe essere messo direttamente in scena. Un libro e un canovaccio della commedia dell’arte. Non solo da leggere, ma anche da vedere. Da ascoltare, per le diverse voci e il dialetto napoletano tradotto dal poeta Francesco Nappo.
Un libro nel quale il come è scritto è filosoficamente importante almeno tanto quanto il che cosa vi è scritto. Anche nei libri di maggior impegno teoretico è nota la forza poetica che Agamben sa dare al suo discorso e quanto questa sia non soltanto accessoria. In Pulcinella a questa vena poetica Agamben chiede però di più del solito. Sotto questo aspetto un paragone potrebbe essere fatto con Idea della prosa. Lì protagonisti erano soprattutto la scrittura e il pensiero; qui il carattere e il personaggio filosofici. Lì il mezzo erano soprattutto i supporti della scrittura (la tavola o la pagina sulla quale si scrive) e del pensiero (l’idea). Qui il mezzo è ciò che sta tra carattere e personaggio: la maschera, la persona. L’itinerario comico di Agamben-Pulcinella-Tiepolo è dunque anche un itinerario nietzscheano (si pensi a quanto proprio il pensatore della Nascita della tragedia abbia investito nella maschera e nel riso; vedi l’introduzione alla terza edizione di quel libro).
Analogamente a quello di Giandomenico Tiepolo che si ritira nella villa di Zianigo per lavorare al ciclo di affreschi su Pulcinella in un momento drammatico per la repubblica veneziana che termina la sua storia consegnandosi goffamente a Napoleone, il gesto comico di Agamben di trasfigurarsi in una maschera della commedia dell’arte non sembra appropriato ai tempi politicamente difficili che viviamo. Qual è, se c’è, il motivo comico adatto a Pulcinella nella situazione politica odierna? Ma la forza di Pulcinella sta precisamente nel disattendere sia il reagire contro, sia l’assecondare questa situazione politica. Pulcinella gioca un altro gioco, cambia le carte in tavola, disinnesca la lotta politica stessa, gesticola funambolicamente persino la pretesa di gestire la politica come governance. Pulcinella indica cosa fare quando non c’è apparentemente più niente da fare. E lo può solo indicare, alludere, perché non si tratta di un significato politico diverso che si contrappone a quello della situazione in cui siamo. Ciò sarebbe ricadere nella stessa trappola dalla quale vorremmo uscire. Per dirla linguisticamente, Pulcinella non indica una parole, ma una langue, non un significato o contro-significato, ma una grammatica diversa. Pulcinella non è un soggetto, ma un tramite; non è un leader al senso, ma è un gesto.
Come Dante nei primi versi della Comedìa, Pulcinella è lo sdoppiamento del «mezzo». Nel plurale di «nostra vita», «mezzo» può indicare la misura della metà tra inizio e fine. Nella prima persona del verso successivo «mezzo» viene a indicare invece lo smarrimento di chi ha perso ogni misura (in «mezzo» alla «selva oscura», come di chi si ritrova in mezzo a una strada, in mezzo ai guai) e che dunque non può assumere il senso della propria vita come via d’uscita, ma proprio per questo può abbracciare quello della «nostra vita» nella quale inizio e fine convergono e si ritrovano misurati, ricapitolati. Tutto ciò per far inceppare la pretesa politica del soggetto, della responsabilità tragica di chi si è, invece di quello che di volta in volta comicamente ci si arrangia a poter e poter non fare.

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