sabato 7 novembre 2015
Musica, orrore e violenza nella cultura occidentale: tradotto il libro di Quignard
Risvolto
Il filosofo greco Teofrasto riteneva che il senso che apre più
violentemente la porta alle passioni sia la percezione acustica: solo la
musica è davvero lacerante per l’animo umano. Per Pascal Quignard il
terrore e la musica sono inesorabilmente legati, e in un testo composto
da dieci dense e poetiche riflessioni si interroga sulle relazioni che
intercorrono tra musica e sofferenza sonora.
Sentire è essere
toccato a distanza: chi ascolta non è un interlocutore, è una preda che
si consegna alla trappola. Ulisse legato all’albero della sua nave è
“assalito” dalla melodia: la musica è un amo che afferra le anime e le
conduce verso l’inconoscibile primigenio, verso la morte. Ma la musica,
in quanto potere, si associa a qualunque altro potere: è intrinsecamente
iniqua e asimmetrica. Udito e obbedienza sono intimamente legati, e il
fascismo ha saputo fare dell’altoparlante il suo strumento principale
per spingere l’uomo verso la distruzione. Come sentire la musica,
qualsiasi musica, senza obbedirle? Come “disincantare” l’essere umano?
L’espressione
“odio della musica” vuole proprio indicare fino a che punto la musica
può diventare detestabile per chi l’ha amata di più. Un classico su cui
ogni appassionato del mondo sonoro dovrebbe fermarsi a riflettere.
Gli anatemi di Pascal Quignard contro la musica
Arriva in Italia il saggio dell’autore francese che ha suscitato roventi polemiche nel suo paese. “Un’arte che concorse all’Olocausto”
VALERIO MAGRELLI Repubblica 7 11 2015
Era il 1996 quando lo scrittore francese Pascal Quignard dava alle stampe il singolare, virulento saggio-racconto La haine de la musique, che solo ora è stato finalmente tradotto in italiano da Marella Nappi come L’odio della musica (edizioni Edt, pagg. 209, euro 18). Alla sua uscita, il testo sollevò molte discussioni, anche se a ben vedere coronava un interesse che l’autore coltivava da sempre. Basti pensare al suo romanzo più noto, Tous les matins du monde ( Tutte le mattine del mondo), apparso nel 1987. Questo libro venne accolto talmente bene, che Alain Corneau ne trasse un film dominato da Gérard Depardieu nei panni del musicista barocco Sainte-Colombe. Con L’odio della musica, però, Quignard abbandona la pista narrativa per concentrarsi sul senso stesso del fenomeno sonoro.
La sua scrittura ispirata e visionaria, in cui mito e antropologia si mescolano continuamente nel tono della denuncia, descrive la musica come un pericolo incombente sulla cultura umana: «La musica non è un canto specifico della specie Homo. Il canto specifico delle società umane è la loro lingua. Concerti di natura. La musica fa muggire, ragliare, barrire. Nitrisce ». E ancora: «1. La musica convoca nel luogo in cui ha luogo, 2. assoggetta i ritmi biologici alla danza, 3. fa cadere per terra, nel cerchio della trance, il muggito che parla nello sciamano. Gli uomini risalgono dagli inferi ed errano sul mare sonoro. Tutti gli esseri viventi sono minacciati di essere inghiottiti nel mare sonoro. La musica li attira. La musica è il richiamo sonoro che attira verso la morte».
Siamo nel cuore di quella famiglia di scrittori caratterizzata da una profonda diffidenza verso l’arte dei suoni. Basti pensare a Tolstoij, che definì la musica terribile, temibile e nefasta per il suo potere di comunicarsi a chi la ascolta, o a Thomas Mann, che vide in essa «l’informulato, l’equivoco, l’irresponsabile, l’indifferente ».
L’odio della musica descrive dunque un fenomeno mostruoso e insieme irresistibile, un residuo animale, nascosto nella nostra cultura e non a caso coronato dalla sua presenza nell’orrore dei campi di concentramento. Le pagine dedicate a questo fenomeno, restano infatti fra le più brucianti dell’opera. Nota Quignard: «Tra tutte le arti, la musica è l’unica ad aver concorso allo sterminio degli ebrei organizzato dai tedeschi tra il 1933 e il 1945. È l’unica arte richiesta in quanto tale dall’amministrazione dei Konzentrationslager. Occorre sottolineare, a suo discapito, che è l’unica arte che sia riuscita ad adattarsi all’organizzazione dei campi, alla fame, all’indigenza, al lavoro, al dolore, all’umiliazione, e alla morte».
Quanto a oggi, amplificata in modo repentino e illimitato dall’invenzione dell’elettricità e dalla moltiplicazione della sua tecnologia, osserva l’autore, la musica ci aggredisce ovunque, giorno e notte, tanto che il suo uso è diventato al contempo «imprescindibile e ripugnante». Una conclusione desolante, certo, ma che resta difficile non condividere.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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