domenica 8 novembre 2015
La cultura visiva tra Oriente e Occidente: Hans Belting
Hans Belting: I canoni dello sguardo: Storia della cultura visiva tra Oriente e Occidente, (trad.it. dal tedesco di Maria Gregorio),Bollati Boringhieri, Torino 2010, pagg. 302, € 43,00
Risvolto
Esistono vicende, nella storia umana, che hanno una dirompenza più inappariscente dei grandi sconvolgimenti, ma un rilievo e una durata ben maggiori. Per comprenderne le vere dimensioni sono d’ostacolo gli specialismi non dialoganti e gli arroccamenti sugli spalti identitari. Ce lo insegna in modo esemplare l’invenzione della prospettiva, argomento tra i più studiati di una storia dell’arte che nel Rinascimento fiorentino di Ghiberti, Brunelleschi e Alberti celebra insieme gli atti costitutivi di una rivoluzionaria tecnica culturale e i propri solitari fasti disciplinari. Con mossa felicissima, Hans Belting spariglia le carte e mette in prospettiva la prospettiva stessa. Grazie alla sua indagine si chiariscono fino in fondo le alleanze tra pratiche pittoriche, dottrine artistiche, conoscenze scientifiche, e soprattutto si svela la fecondità di un paradosso: all’apice della sua fioritura, l’Occidente definì il canone percettivo, attraverso il quale ci appropriamo del mondo sotto forma di immagine, attingendo a una teoria della visione concepita quattro secoli prima da un matematico arabo nativo di Bassora, Alhazen, in un contesto religioso islamico che bandiva le immagini perché giudicate contraffazioni blasfeme della creazione di Dio. Lo scarto temporale e i travisamenti dei traduttori propiziarono inopinatamente, sulla questione nevralgica delle consuetudini visive, il cortocircuito tra due civiltà che avrebbero poi acuito la reciproca lontananza. Civiltà dello sguardo, quella occidentale, fondata sul primato dell’occhio e sulla sovranità del soggetto osservatore. Civiltà che privilegia la luce, quella araba, fedele al grafismo non iconico dell’ornamento. Belting riesce a intrecciare le loro differenze, così da renderle vivide per contrasto, come nell’emblema della finestra, che nella nostra tradizione è soglia da cui lasciare spaziare lo sguardo all’esterno, mentre nella cultura islamica è grata rivolta all’interno, dove il chiarore del giorno filtra in geometriche dissolvenze decorative. Che cosa implichi vedere, quanto sia necessario che i dissimili si scambino gli sguardi e vengano guardati nelle loro talora irriducibili peculiarità, poteva mostrarcelo solo un ingegnoso frontaliere degli studi, l’ideatore di un’antropologia delle immagini.
Hans Belting, è professore emerito di Storia dell’arte e teoria dei media presso la Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, dove ha fondato il corso interdisciplinare «Immagine-corpo-medium: una prospettiva antropologica». Tra le sue opere tradotte in italiano: Il Medio Oriente e l’Occidente nell’arte del xiii secolo (1982), L’arte e il suo pubblico. Funzione e forme delle antiche immagini della Passione (1986), La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte (1990), Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo (2001) e I tedeschi e la loro arte. Un’eredità difficile (2005). Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato La vera immagine di Cristo (2007).
La prospettiva è araba
di Sebastiano Maffettone Domenica del Sole 24Ore 8.11.15
Assai
di rado capita di leggere un libro assieme così affascinante come I
Canoni dello sguardo di Hans Belting. La lettura del testo di Belting
non è sempre semplice e il titolo italiano ahimé non riproduce quello
originario (che è !Firenze e Bagdad…), ma poco importa. Il tesoro è
nelle pieghe di una prosa asciutta e rigorosa e sta all’incirca in
quanto dice il sottotitolo (anche questa modificato dal tedesco che
recita l’equivalente di “una storia mondiale dello sguardo”). Lo studio
in questione verte sulla natura e la funzione della prospettiva lineare
vista come forma simbolica generale ed esaminata interculturalmente. La
prospettiva di cui si parla è quella la cui invenzione noi attribuiamo
al Rinascimento fiorentino, e naturalmente non abbiamo torto nel farlo.
Quello che però, nella maggior parte dei casi, ignoriamo è che dal punto
di vista logico e storico la prospettiva lineare è un’invenzione araba.
Alle sue basi c’è il tentativo di risolvere la matematica e la fisica
della visione di quel grande scienziato irakeno che fu Alhazen (vissuto
intorno all’anno mille). Ci si chiede a questo punto come mai una
scoperta tanto creativa abbia avuto bisogno di secoli e di tanti
chilometri (per l’appunto quelli da Bagdad a Firenze) per realizzare le
sue premesse in maniera completa. La risposta sta nel divieto di
immagine che caratterizza la cultura arabo-islamica. L’Occidente è in
grado di trasformare la scienza in immagine, ma il mondo arabo non può
seguirlo su questa linea. Se ne possono tratte due conclusioni direi
sconcertanti. Da un lato, il nostro modo di vedere abituale che divide
le “due culture”, quella scientifica e quella artistica, ha poco senso
se pensiamo alla prospettiva lineare e alla sua centralità estetica. Si
tratta infatti di un oggetto scientifico che diventa struttura fondante
del discorso estetico. Dall’altro lato, la distinzione tra Occidente e
Oriente e ne esce enormemente ridimensionata.
La prospettiva nasce in
Irak, trionfa in Italia, e soprattutto – come dice Belting in pagine
intellettualmente appassionanti- ritorna come strumento di imposizione
coloniale. In India, in Cina, In Giappone e persino nel mondo musulmano
–come ci ha fatto scoprire, tra gli altri, Pahmuk in un famoso romanzo -
la prospettiva ritorna sull’onda del potere politico ed economico
occidentale addirittura come metodo di conversione. Accettare la
prospettiva diventa così un modo per partecipare al clima della
modernità. Non senza ironia implicita, Belting mostra come lo strumento
analitico originalmente (medio)-orientale viene impiegato dall’Occidente
per catechizzare gli orientali…Le conseguenze politico-culturali della
tesi di Belting sono tanto evidenti quanto scioccanti: il mito
dell’Occidente imperialistico fondato sulla razionalità matematizzante
della prospettiva lineare non è Occidentale! È invece una filiazione
della avanzata cultura scientifica del Middle East. Il tutto si complica
se seguiamo le avventure della “camera oscura”, sempre sulla scia di
Alhazen e i percorsi del Rinascimento fiorentino tra Brunelleschi e
Piero della Francesca. Di certo, si evince dal libro la necessità di uno
sguardo meno provinciale e più globale sull’arte visuale in specie e
sulla storia della cultura in genere.
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