mercoledì 4 novembre 2015
La destra italiana
... [SGA].
«Pasolini regista amatoriale» E il web copre d’insulti Muccino
Il regista costretto a chiudere il suo
profilo Facebook. Le sue critiche sono legittime ma ingenerose. Così
come sostenere il movente strettamente sessuale dell’omicidio
5 nov 2015 Libero GIUSEPPE POLLICELLI
In questi giorni di intense e, per numero, quasi infinite celebrazioni
pasoliniane, c’è bisogno di un po’ di chiarezza. A quarant’anni dalla
sua tragica morte, l’uomo e l’intellettuale Pier Paolo Pasolini vengono
magnificati, vituperati, commentati, analizzati in tutte le maniere
possibili e pressoché da chiunque, creando un’enorme confusione che,
fatalmente, si traduce in malintesi e convinzioni infondate sul poeta e
sulla sua opera. Non un bel servizio per chi scrisse che «la morte non è
nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi».
Ieri, per esempio, su questo giornale, Gianluca Veneziani ha firmato un
articolo che, giustamente, stigmatizza l’atteggiamento ipocrita di
coloro che cercano di contrabbandare le traversie giudiziarie patite da
Pasolini nel 1949 come la prima delle persecuzioni ai suoi danni, mentre
si trattò soltanto di una diretta conseguenza di quella pedofilia che,
come spiega bene Marco Belpoliti nel saggio Pasolini in salsa piccante, è
stata un dato ineludibile e centrale della personalità umana e
artistica dello scrittore. C’è però un passaggio dell’articolo in cui
Veneziani commette un errore di superficialità, ed è quello in cui dà
per scontato che a uccidere Pasolini, il 2 novembre del 1975 nei pressi
dell’Idroscalo di Ostia, sia stato il solo Pino Pelosi in reazione alla
pretesa del poeta di «seviziarlo sessualmente con un bastone di legno».
È da un anno e mezzo che studio alacremente il caso Pasolini, perché sto
dedicandogli un film-inchiesta che uscirà nel 2016, e posso assicurare a
Veneziani che, se le tesi più dietrologiche - da Cefis ai neofascisti,
dai futuri componenti della Banda della Magliana alle bobine del film
Salò usate come esca - appaiono deboli o perfino totalmente infondate
(come nel documentario cercherò di provare), è invece molto probabile
che Pelosi abbia avuto almeno un complice, se non due o tre, e che il
delitto non abbia avuto un movente strettamente sessuale.
Già Furio Colombo, all’indomani dell’assassinio, registrò per La Stampa
le parole di un abitante delle baracche dell’Idroscalo il quale, senza
avere interesse a farlo, dichiarò: «Mi creda, loro erano in tanti»
(salvo ritrattare, il giorno dopo, presumibilmente per paura, con un
giornalista del Messaggero). Ma molte altre testimonianze
Pier Paolo Pasolini nel 1970 al lavoro per «Appunti per un'Orestiade africana»
analoghe si sono succedute nel tempo, e sia la dinamica
dell’uccisione di Pasolini sia alcune evidenze presenti sul luogo del
delitto e all’interno dell’automobile del regista inducono a dubitare
che Pelosi fosse da solo. Basta parlare, come io ho fatto, con dei
«ragazzi di vita» di quegli anni, o riprendere in mano le cronache dei
giornali dell’epoca, per rendersi conto che a Roma le rapine e i
pestaggi agli omosessuali, specie se facoltosi, erano una prassi (mai
denunciata, per ovvie ragioni, dalle vittime). E la stessa Cassazione,
nel confermare in via definitiva, nel 1979, la condanna del minorenne
Pelosi per omicidio volontario, ha stabilito che la presenza di ignoti
(data per sicura dalla sentenza di primo grado) non sia dimostrabile in
modo certo, non che si possa escludere al di là di ogni dubbio.
Sempre ieri, Gabriele Muccino ha scritto un lungo post sulla sua
pagina Facebook per rivolgere al Pasolini cineasta una critica
insolitamente pesante, quella di essere un regista «amatoriale» e «senza
stile», colpevole oltretutto di avere aperto la strada a tanti registi
velleitari e improvvisati
- tra cui Nanni Moretti - che di lì a poco avrebbero addirittura portato alla morte il cinema italiano.
Muccino è stato sommerso da una tale quantità di attacchi e di
improperi da prendere la drastica decisione di chiudere il proprio
profilo: è un vero peccato, perché, non essendo d’accordo con i giudizi -
beninteso legittimi - da lui espressi, ci sarebbe piaciuto potergli
rispondere e fargli notare, sempre per amore di verità e chiarezza, che
pochi registi hanno uno stile forte e riconoscibile con la sua
derivazione dalla pittura rinascimentale e il recupero estetico di
maestri quali Dreyer - come Pasolini, tant’è che basta osservarne
un’inquadratura per capire che si sta guardando un film suo e non di
qualcun altro.
A Muccino, la cui intenzione era forse quella - apprezzabile - di
dare avvio a un dibattito, rispondiamo dunque qui, convinti che anche
Pasolini (più amante del confronto di tanti, troppi, intolleranti
pasoliniani dell’ultima ora) avrebbe dato un riscontro ai suoi rilievi, e
che lo avrebbe fatto da par suo: senza insulti né anatemi.
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