L'imponente tempio di Bel a Palmira, la reggia di Nimrud, le statue dei re di Hatra e i capolavori conservati nel museo di Mosul: alcune delle più spettacolari testimonianze delle civiltà fiorite, due o tremila anni fa, fra la Siria e l'Iraq attuali sono state polverizzate nel 2015 dai miliziani dell'Isis, tra grida inneggianti ad Allah e prediche farneticanti contro gli «idoli». Anni prima, in Afghanistan, i monumentali Buddha di Bamiyan erano caduti sotto i colpi dei talebani, che depredarono e devastarono il museo di Kabul, uno dei più importanti al mondo. Perché i fanatici seguaci del Califfato e del mullah Omar si accaniscono contro quelle antiche pietre come se fossero pericolosi nemici? Perché non si limitano ai saccheggi con cui finanziano i loro crimini, ma fanno scempio delle meraviglie che custodiscono la memoria storica dell'umanità, inscenando uno spettacolo destinato a terrorizzare l'Occidente? Indagando le radici delle guerre iconoclaste, Viviano Domenici ricostruisce, con l'aiuto di numerose fotografie, le vicende dei capolavori perduti e di quelli recuperati e le avventure degli archeologi e dei conservatori dei musei che hanno messo in salvo migliaia di opere anche a costo della vita. Il suo racconto si inoltra nella Storia, fino ai genocidi culturali commessi in nome della Croce e all'uccisione simbolica in uso presso assiri e sumeri, che tagliavano la testa alle statue, oltre che agli uomini, proprio come fa l'Isis oggi. Una storia sconosciuta e affascinante, popolata di condottieri spietati e regine da Mille e una notte, che svela i segreti nascosti fra le rovine millenarie sparse nella regione dove è nata la nostra civiltà
sabato 28 novembre 2015
La guerra e la distruzione dell'arte: per l'ideologia occidentale i barbari sono sempre gli altri. Rimossa la cancellazione coloniale di intere civiltà
L'imponente tempio di Bel a Palmira, la reggia di Nimrud, le statue dei re di Hatra e i capolavori conservati nel museo di Mosul: alcune delle più spettacolari testimonianze delle civiltà fiorite, due o tremila anni fa, fra la Siria e l'Iraq attuali sono state polverizzate nel 2015 dai miliziani dell'Isis, tra grida inneggianti ad Allah e prediche farneticanti contro gli «idoli». Anni prima, in Afghanistan, i monumentali Buddha di Bamiyan erano caduti sotto i colpi dei talebani, che depredarono e devastarono il museo di Kabul, uno dei più importanti al mondo. Perché i fanatici seguaci del Califfato e del mullah Omar si accaniscono contro quelle antiche pietre come se fossero pericolosi nemici? Perché non si limitano ai saccheggi con cui finanziano i loro crimini, ma fanno scempio delle meraviglie che custodiscono la memoria storica dell'umanità, inscenando uno spettacolo destinato a terrorizzare l'Occidente? Indagando le radici delle guerre iconoclaste, Viviano Domenici ricostruisce, con l'aiuto di numerose fotografie, le vicende dei capolavori perduti e di quelli recuperati e le avventure degli archeologi e dei conservatori dei musei che hanno messo in salvo migliaia di opere anche a costo della vita. Il suo racconto si inoltra nella Storia, fino ai genocidi culturali commessi in nome della Croce e all'uccisione simbolica in uso presso assiri e sumeri, che tagliavano la testa alle statue, oltre che agli uomini, proprio come fa l'Isis oggi. Una storia sconosciuta e affascinante, popolata di condottieri spietati e regine da Mille e una notte, che svela i segreti nascosti fra le rovine millenarie sparse nella regione dove è nata la nostra civiltà
I vandali non si arrendono mai
Mesopotamia, Roma, Costantinopoli, l’Isis: le distruzioni d’opere d’arte sono una costante della storia
28 nov 2015 Corriere della Sera Francesco Battistini © RIPRODUZIONE RISERVATA
«Dannati barbari che hanno in odio la bellezza! » . Quando l’Isis eravamo noi, ed erano gli altri a custodire l’arte blasfema, non servivano i video su YouTu-be a mostrare quel che andavamo a devastare nel nome di Cristo. Bastava Niceta Coniata: un mite intellettuale bizantino che nel 1200 si trovava a Costantinopoli, il giorno in cui arrivò la soldataglia d’Innocenzo III, e ci lasciò il racconto atterrito di che cosa combinarono quei cristiani alla Quarta Crociata. Altro che le mura di Ninive trapanate da Al Baghdadi, o il tritolo talebano sui Buddha di Bamiyan. Fu dopo aver denudato i ricchi bizantini, violentate le donne, che i santi guerrieri del Papa passarono alle opere d’arte. E, veri odiatori della bellezza, abbatterono l’immagine di Bellerofonte in groppa a Pegaso, fusero l’Ercole di Lisippo all’Ippodromo, frantumarono l’aquila d’Apollonio di Tiana, fecero a pezzi il cavallo del Nilo con la coda a squame, si spartirono l’altare sacrificale di Santa Sofia, cancellarono per sempre i capolavori di Fidia e di Prassitele. «Hanno gli orecchi rossi dal riverbero del fuoco dell’ira — scrisse Niceta prima di scappare —, nessuna delle Grazie e delle Muse trova ricetto in loro…». Qui sopra: iconoclasti calvinisti bruciano statue di santi cattolici prelevate in una chiesa. A destra: in alto, il ritratto di un proconsole romano danneggiato dai cristiani; in basso, la nicchia nella parete rocciosa di Bamiyan, in Afghanistan, dove c’era una delle due grandi statue di Buddha distrutte dai talebani
Conta poco, dare la colpa a una religione più che a un’altra. L’iconoclastia è una caratteristica di monoteisti e politeisti: Abramo che distruggeva gl’idoli e Mosè col vitello d’oro e Maometto che ripuliva la Ka’ba e gli assiri e i sumeri, indietro nei secoli, che decapitavano più statue dell’Isis. La distruzione delle immagini preislamiche che tanto infervora i nuovi califfi, anche se il Corano non vieta affatto le raffigurazioni («nessun iconoclasta ha mai rifiutato una banconota con l’immagine d’un essere umano — ironizza Domenici — e anche l’Isis non si fa scrupoli a usare immagini per propagandare la sua barbarie»), tutto ciò è casomai «figlio e complice» di lotte per il potere.
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