sabato 28 novembre 2015

Ritorno all'800: le classi sociali forse non esistono ma squali, iene e sciacalli ne abbiamo fin troppi



"L’ora di lavoro è un concetto superato”Il ministro Poletti: dobbiamo pensare a contratti che non siano solo basati sul tempo L’ira dei sindacati: vuole rottamare gli accordi, basta scherzi su temi come questodi Paolo Baroni La Stampa 28.11.15
Di fronte ai cambiamenti tecnologici l’ora di lavoro è un «attrezzo vecchio», sostiene il ministro Giuliano Poletti. Che il giorno dopo la bufera suscitata dalle sue frasi sui laureati («prendere 110 e lode a 28 anni non vale un fico») apre un nuovo fronte. «Dovremmo immaginare contratti che non abbiano come unico riferimento l’ora-lavoro», ha spiegato. Ma «valutare anche l’apporto dell’opera». Per il responsabile del lavoro, che ieri parlava agli studenti della Luiss, questo è un «tema di cultura su cui si deve lavorare». Perché arrivati nel 2015, a suo parere, occorre dare risposte a tutte le modalità innovative di organizzare il lavoro e fornire le prestazioni, e di conseguenza anche nuovi modi di calcolarne il corrispettivo. Superando l’attuale struttura molto rigida incentrata su conteggio dei tempi di lavoro, posizioni e inquadramenti e luoghi di lavoro prefissati.
Le nuove tecnologie e i nuovi mestieri, in molti casi, rendono naturale il passaggio da un compenso legato al conteggio delle ore ad uno legato all’opera prestata, novità che - tra l’altro - «apre anche nuovi spazi di libertà». E senza arrivare a scomodare Marx, è evidente che l’attuale struttura dei contratti non è in grado di dare risposte.

Sindacati infuriati
Dai sindacati è subito arrivato un altolà. In casa Cgil leggono nelle parole di Poletti la volontà di «rottamare il contatto nazionale» ed un nuovo attacco ai sindacati, come spiega il segretario confederale Franco Martini. Dura anche Susanna Camusso: «Bisogna smettere di scherzare su questi temi, bisogna ricordarsi che la maggior parte delle persone fa un lavoro faticoso: nelle catene di montaggio, le infermiere negli ospedali, la raccolta nelle campagne, dove il tempo è fondamentale per salvaguardare la loro condizione». Carmine Barbagallo (Uil) ha invece «la sensazione che si vogliano far passare per idee di modernità concetti da liberismo sfrenato. Ad ogni buon conto, un ministro del Lavoro non può pensare di affrontare temi del genere con annunci spot». Per il segretario confederale della Cisl Gigi Petteni «è molto meglio che il ministro si concentri sulle politiche attive del lavoro o sull’abuso che si sta facendo dei voucher, piuttosto che dare indicazioni sul modello contrattuale. Non è il suo mestiere».
Tiraboschi: frasi in libertà

Chi «sposa a pieno» l’idea di Poletti è il giuslavorista Michele Tiraboschi. «È vero il lavoro moderno è più a risultato che legato al calcolo delle ore – spiega -. Peccato che il governo abbia abrogato i contratti a progetto, che magari in passato saranno anche stati applicati male, ma erano proprio contratti legati ai risultati, ed ha scritto una riforma del lavoro, il Jobs act, che è tutto un revival del lavoro di stampo novecentesco, esclusivamente subordinato ed etero-organizzato. Un ministro non può parlare in libertà, ma deve trovare delle soluzioni». Per il presidente della Commissione lavoro della Camera, Cesare Damiano (Pd), le parole di Poletti «vanno attentamente meditate. Ma un conto è la flessibilità di orari e prestazioni richiesta dalla rivoluzione in corso, altra cosa è tornare ad un lavoro esclusivamente retribuito sulla base della realizzazione di un’opera senza parametri di riferimento. Altrimenti perché abbiamo abolito il lavoro a progetto? E perché per i non contrattualizzati il governo prevede il compenso orario minimo?». In serata poi il ministro, rispondendo ai sindacati, ha precisato che «la posizione del governo e del ministro sulla riforma dei contratti è quella nota: si è in attesa che le parti sociali maturino un’intesa sulla materia».

capitale-lavoro, quel conflitto antiquato 
«Distruzione creatrice» la chiamava Joseph A. Schumpeter, ed è una delle anime del capitalismo (che affascinava pure Marx).

Massimiliano Panarari  Stampa 29 11 2015

Oggi si è reincarnata nel paradigma dell’innovazione di cui scriveva ieri Massimo Russo e si è saldata con l’incessante rivoluzione digitale (portandoci a dire che la Scuola di Toronto, con il suo determinismo tecnologico, aveva più di una ragione). Aggiungiamoci la disintermediazione, che non riguarda solo l’economia – da Amazon a Airbnb – ma è da tempo dilagata nel processo politico mettendo in crisi i circuiti consolidati della rappresentanza sociale. L’esito è un cocktail esplosivo dal retrogusto molto amaro per i corpi intermedi: nessuno escluso, ma, in modo speciale e durissimo, il sindacato alle prese con la disgregazione del proprio tradizionale blocco sociale. E, così, il conflitto (regolamentato) tra capitale e lavoro che aveva strutturato i sistemi sociali e politici dei regimi liberaldemocratici appare irrimediabilmente antiquato. Perché l’occupazione ha cambiato natura, è intermittente, sempre più spesso flessibile (e, quindi, voluta e ricercata) o precaria (e, dunque, subita), e la condizione di lavoratore si mescola, quasi senza soluzione di continuità, a quella di fruitore, utente e cliente. Nel pianeta globalizzato, l’Occidente ha perso le grandi fabbriche e le nazioni più avanzate puntano alla manifattura e produzione intelligente, col risultato di archiviare l’idea della piena occupazione tra le «prometeiche» utopie novecentesche. In questo panorama trasfigurato i sindacati si rivelano invece ancora sostanzialmente (e culturalmente) fordisti, e rimangono all’interno di un orizzonte di «mentalità caratterizzante» imperniata sul modello del corpo intermedio di rappresentanza «generalista» (confederale), senza potere (né volere) fare il salto nella direzione di organizzazioni ibride (come le chiama la sociologia) più attente alla tecnologia e alle individualità. Ed è un problema che presenta rischi per tutti, poiché senza adeguata offerta di nuova politica (con funzioni di regolazione e senza tentazioni di «invasioni di campo» neostataliste) e di nuova rappresentanza dei segmenti sociali in nome di un (postmodernizzato) interesse generale si apre l’alternativa tra due scenari entrambi inquietanti. La ricomparsa di proteste violente e incontrollate sotto forma di neoluddismo e jacqueries (genere taxisti contro autisti di Uber) oppure il ritorno prepotente di una sorta di «invidia di classe» e frustrazione al posto della vecchia (disciplinabile) lotta tra le classi.
@MPanarari


Cesare Damiano “Un cavallo di Troia del governo per demolire i contratti nazionali”
l’idea del superamento dell’orario di lavoro come metro di misuraintervista di V.Co. Repubblica 29.11.15
ROMA «Ritengo sbagliata l’idea del superamento dell’orario di lavoro come metro di misura. Ma qui forse c’è dell’altro».
Cosa, presidente?
«Non vorrei che queste uscite del ministro sottintendano in realtà uno smantellamento del contratto nazionale di lavoro, sostituito da un modello basato esclusivamente sul contratto aziendale deregolato e sul salario legale. Se così fosse, sarebbe un grave arretramento ».
Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro e presidente della commissione Lavoro della Camera, minoranza Pd, va oltre la polemica sull’orario.
Un cavallo di Troia?
«Mi baso su quelle che mi sembrano alcune intenzioni del governo. Oltre che sulle interpretazioni presenti anche nel Pd, a partire da Ichino».
Per andare dove?
«Diritti filati verso una destrutturazione del contratto nazionale, dunque verso accordi aziendali su misura e addirittura verso una logica di contratto individuale. A quel punto verrebbe meno la funzione di sindacati e Confindustria. E si porrebbe un problema di identità del Pd come partito di sinistra».
Un’implosione...
«Naturalmente. Molti esponenti del Pd vorrebbero procedere in questa direzione. E se la prassi del bonus da 80 euro che pure ho condiviso - diventasse consolidata, sarebbe lecito domandarsi: servono ancora i contratti nazionali?».
Non c’è troppa resistenza al nuovo?
«Queste critiche mi fanno un baffo. Sono stanco di essere tacciato come conservatore. D’altro canto, non è detto che il nuovismo sia innovazione. In commissione stiamo discutendo il ddl sul cosiddetto lavoro agile».
La punta di diamante del Jobs Act di Renzi.
«Sono da sempre sostenitore della banca delle ore e della flessibilità. Vorrei la paga annuale, non oraria o settimanale, e un nastro di 1.700 ore da consumare con un badge di presenza. Ma qui non si inventa niente. Negli anni ‘70 lo chiamavamo lavoro a domicilio, poi telelavoro, lavoro a distanza, ora smart working. Dispostissimi a un confronto. Ma non ad assecondare semplificazioni eccessive. Specie se il rischio è quello di remunerare solo il risultato».
Un rischio concreto?
«Non se si aiutano le parti sociali a consolidare un modello su due livelli: contratto nazionale cornice e contratto aziendale potenziato. E se non si pretende di fare tabula rasa e di applicare il modello dello smart working al lavoro tradizionale che comunque continuerà ad esistere. Altrimenti perché inserire in Stabilità il superammortamento del 140%, se non per comprare i macchinari? E i macchinari li mettiamo nei capannoni, non in camera da letto».
Poletti ha fatto una gaffe?
«Se non si tratta di una boutade, allora dobbiamo chiarire il senso delle scelte del governo sulla contrattazione. Che si tratti di ora o mese, un metro di misura è necessario. Se invece si pensa di avere retribuzioni legate al compimento dell’opera indipendentemente dall’orario, allora perché mai il governo ha eliminato il contratto a progetto? E perché ha inserito il concetto di compenso orario minimo - sottolineo orario - e dunque una paga sotto la quale non scendere, per coloro che non hanno un contratto?».

Lavoro e orario, sindacati contro Poletti
Il ministro tiene il punto: l’ora non può essere l’unico parametro di misura Camusso attacca: vuole apparire come Ufo Robot per risolvere tutti i problemidi P. Bar. La Stampa 29.11.15
Il ministro del Lavoro tiene il punto. Premette che non vuol «far polemiche col sindacato» e che la posizione del governo sui contratti «non è cambiata», ma però poi ripete che «l’ora-lavoro non può essere l’unico parametro per misurare il rapporto tra lavoratore e opera realizzata, viste le novità che avanzano nel mondo». I sindacati invece alzano i toni della loro protesta.
Il muro di Cgil, Cisl e Uil
«Dietro c’è un’idea precisa: apparire come Ufo robot per risolvere tutti i problemi dei lavoratori. Peccato che le condizioni della gente normale invece peggiorino», attacca il segretario generale della Cgil Susanna Camusso mentre sfila per le vie di Roma durante la manifestazione sul pubblico impiego. L’idea del ministro, aggiunge, «è che non ci siano più regole per i diritti dei lavoratori. Ma lui non conosce come è fatto il lavoro, che rapporto c’è tra la fatica e il tempo che lavori. Vorrei vederlo a tradurre ciò che ha detto nella concretezza del lavoro quotidiano delle persone». Per la leader della Cisl Anna Maria Furlan quelle di Poletti sono «battute non condivisibili su un tema troppo serio. Un’uscita estemporanea». «Così non va - incalza Carmelo Barbagallo (Uil) -. Poletti è entrato a gamba tesa sul rinnovo dei contratti. Se vogliamo discutere seriamente, siamo pronti. Ma se si pensa con slogan giornalistici di attaccare la contrattazione, secondo un neoliberismo selvaggio, allora sbaglia tempo e modo». «Di offesa alle persone che lavorano e che sono retribuite troppo poco», parla invece il segretario della Fiom Maurizio Landini. Semmai, sostiene, «l’orario di lavoro andrebbe ridotto e redistribuito per aumentare l’occupazione», mentre il governo «dovrebbe defiscalizzare il contratto nazionale anziché quelli aziendali, per favorire la riunificazione del lavoro garantendo i diritti». L’esatto contrario di quello che chiede l’ex ministro Maurizio Sacconi, che vuole alzare a 6000 euro il plafond del salario detassato per collegare sempre più stipendi e produttività.
E il nuovo che avanza?
Poletti, che ieri parlava a Udine, ha indicato l’accordo aziendale della Ducati come esempio da seguire, quindi ha cercato di chiarire meglio il suo pensiero. «Guardando al futuro e anche all’oggi del lavoro - ha spiegato - continuo a pensare che abbiamo nuovi lavori, nuove tecnologie che ci permettono di lavorare non in un determinato luogo, ma in situazioni che sono le più diverse. Insomma abbiamo elementi nuovi che non si riescono a condensare in un unico parametro che è l’ora di lavoro». Detto questo, «la valutazione oraria c’è e io ho solo detto non consideriamo questa l’unico metro attraverso il quale si può misurare la relazione tra una persona e l’opera». «In giro per il mondo - ha spiegato - ci sono strumenti che aiutano a rendere più stretta la relazione tra il lavoratore e il lavoro che fa e guardando avanti questa è una cosa che bisogna fare. E questo non è un attentato ai diritti, figuriamoci. Salvaguardare le tutele storiche va bene ma non può diventare la ragione per la quale non vediamo ciò che cambia e non ci preoccupiamo di costruire strumenti adatti anche a queste novità».
Il nodo dei contratti
Quanto ai contratti, a fronte dei timori dei sindacati, il ministro ha ribadito che la posizione del governo è quella «arcinota». «Abbiamo detto che le preferiamo che le parti sociali si confrontino e arrivino ad un intesa sulla materia che è tipica delle parti stesse. Questa è una idea che abbiamo sempre avuto e che non abbiamo assolutamente cambiato. Se passa troppo tempo rifletteremo su che cosa fare. Ma in questo momento la scelta prioritaria è quella che le parti cerchino e trovino, se ce la fanno, e io mi auguro proprio di sì, un accordo».

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