venerdì 27 novembre 2015

La scuola filologica italiana

La «nuova filologia».
Precursori e protagonistiClaudio Ciociola (a cura di):  La “ nuova filologia”. Precursori e protagonisti, Edizioni ETS
Quei ragazzi che fecero l’Unità d’Italia a colpi di filologia 

Da d’Ancona a Contini un saggio ripercorre il lavoro di ricercatori giovanissimi che cambiarono gli studi umanistici

ADRIANO PROSPERI Repubblica 27 11 2015

La storia, la scuola: due sofferenze ricorrenti in Italia. Un recente appello di un gruppo di docenti indica i guasti derivanti dalla mortificazione corrente dell’insegnamento della storia. È specialmente a loro che si vorrebbe suggerire la lettura della storia di una “scuola” universitaria d’altri tempi.
La racconta un volume a metà tra catalogo di mostra e bilancio di un lungo lavoro intellettuale ( La “ nuova filologia”. Precursori e protagonisti, a cura di Claudio Ciociola, Edizioni ETS). Sfogliandolo, ci si aggira in mezzo a volti severi di professori con grandi barbe e a documenti che parlano dell’eco europea di un modello di ricerca storica e filologica. Ne fu fondatore e maestro Alessandro d’Ancona, il ventiquattrenne dagli spiriti risorgimentali che nel 1864 mise a stampa un programma di studio delle “antiche scritture italiane inedite o rare” intese come documenti dello «stato delle idee e dei sentimenti popolari tra il fiorir del Trecento e il principiare del Cinquecento ». Eccolo, il protagonista dell’età romantica: il popolo, le sue poesie e le sue feste, il suo teatro, le leggende cavalleresche, l’epica, le vite di santi. Tutte cose da studiare per chi voleva capire la grande poesia e riempire i “vuoti cameroni” (come scrisse poi Carlo Dionisotti) della storia della letteratura italiana. Ma a quella scuola, che dette onore negli studi alla neonata nazione, si diventava maestri all’età in cui oggi, se va bene, si scopiazza da Internet una tesi di laurea triennale.
Erano adolescenti, arrivavano dai borghi e dalle montagne dell’umile Italia. Ma quei professori li mettevano immediatamente accanto a sé al tavolo di lavoro e si impegnavano nel garantire ai migliori l’accesso all’università: per il bene del Paese. La storia qui delineata per documenti e saggi si conclude con l’arrivo dell’idealismo: la polemica tra Michele Barbi e Benedetto Croce sul rapporto tra poesia e allegoria in Dante, il dubbio elogio di Luigi Russo, per il quale quella gente vedeva «il mondo come un manoscritto da decifrare, da classificare, da emendare».
Ma la storia si chiude con un episodio importante di collaborazione tra “vecchi” e “nuovi”: il salvataggio agli studi di un promettente venticinquenne allievo di Michele Barbi. Si chiamava Gianfranco Contini. Al salvataggio contribuì Giovanni Gentile. Invece non bastò l’aiuto di Gentile a impedire che se ne andasse in esilio un altro giovane, Paul Oskar Kristeller. Era un ebreo. O, come Giovanni Gentile definì il maestro originario di quella scuola, Alessandro D’Ancona, un “israelita, ma di eccezione”.

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