L’arte degli scacchi contro la logica Fino ad annientare l’avversario
Lo scrittore friulano indaga sugli ultimi giorni e la stranamorte del campione delmondo Alekhine. Antisemita, collaborazionista e alcolizzato, ma geniale
8 nov 2015 Libero PAOLOBIANCHI
Scrivere di scacchi fa bene a Paolo Maurensig. Lo mette in uno stato di grazia. Il romanzo Teoria delle ombre ( Adelphi, pp. 200, euro 18) corre dall’inizio alla fine in un climamalinconico e di crescente tragedia, imperniato sugli ultimi giorni del campionedi scacchiAlexandre AleksandrovicAlekhine, un personaggio ambiguo, allo stesso tempo grandioso e sfiduciato, sfibrato nella vita da eventi epocali, il bolscevismo, il nazismo, due guerre mondiali. Era nato aMosca nel 1892, e i fatti qui raccontati hanno luogo all’HotelDo Parque di Estoril, in Portogallo, di fronte a unAtlantico ancora invernale, grigio e carico di cattivi presentimenti.
Non è solo un libro sugli scacchi, di cui pure Maurensig è studioso appassionato, ma un libro sulla violenza. «Spesso si era chiesto quale fosse, nella finzione bellica, il destino dei pezzi catturati, ma la risposta era sempre la stessa: il gioco degli scacchi era una guerra che non lasciava dietro di sé alcun prigioniero».
Si dice appunto che gli scacchi siano il gioco più violento, dato che lo scopo è annientare l’avversario. Ma non solo con la logica, anche con la fantasia, persino con la fantasia più sadica, da gatto e topo. Ai grandigiocatori è attribuitaunamemoria eidetica, la capacità di “vedere” una partita senza magarineanche guardare la scacchiera («alla cieca», appunto). Qualcosa che ha a che fare colgenio. Un talento che avevasempre affascinatoAlekhine eche egli stessopossedeva, ma al quale anteponeva la vivacità e l’imprevedibilità del suo gioco, orientato all’attacco, senza atteggiamenti troppo prudenziali. E non solo. Il campione non era soltanto unfreddo analista del gioco a tavolino. Era affascinato dalla presenza in carne eossadell’avversario, edallapropria capacità di prevederne la strategia interpretandone i segnali del corpo. Una concezione si potrebbe dire fisica del gioco.
Nella cadenza del romanzo, una sorta di bilancio di un’esistenza eccezionale, si avverte una tensione, una contraddizione che non si risolve: il nascere di un’amicizia tra Alekhine e Neumann, un violinista ebreo ospite di quell’albergo deserto e spettrale. Siamo nel marzo del1946, conilprocessodiNorimberga in pieno svolgimento, e sulla testa di Alekhine pendono accuse di essere stato un maestro del voltafaccia, avendo giocato negli anni sotto la bandiera dell’Unione Sovietica, e poi sotto quella nazista, entrando per di più in buoni rapporti con Hans Frank, governatore della Polonia dal 1939, un macellaio sterminatore. «Lo facevo per poter continuare a giocare», si difende lui, alquale tuttaviasonoattribuitialcuniarticoli di teoria degli scacchineiqualimanifestava un disprezzo per il gioco di scuola ebraica, secondo lui troppo difensivo e basato sul guadagnomateriale a tutti i costi.
Maurensig, nel ricostruire il personaggio, gli attribuisce la frase: «Non è possibile definire l’arte. La sipuòtuttavia riconoscere; euno degli indicatori dell’arte è il rischio. Senza rischio non c’è alcuna creazione. E a questo mi collego per spiegare il concetto ebraico di scacchi».
Fu davvero così? Davvero Alekhine era un antisemita? E basta, questa sua concezione del gioco, per fare di luiun antisemita? Probabilmente no. Ma di certo gli solleva attorno un’aura dimaledettismo. Era un uomo inseguito dai fantasmi, che si era logorato irreparabilmente in una partita durissima vinta contro il cubano Raul Capablanca a BuenosAiresnel1927. Checedeva all’alcolismo. Che aveva fatto fuori quattro mogli, tutte più anziane e ricche. Che era diventato sessualmente impotente a un’età precoce, che disprezzava «il volgo e i luoghi in cui questo si aggregava, per vincere il ribrezzo che lamassa suscitava inlui trovava conforto nel suo sogno di dominio e di supremazia». Se l’arte è untentativodidare ordine al mondo, di regolare il caos dell’esistenza, il campione russo almeno ci provò. Alla logica cercò di sovrapporre il gesto artistico.
Perciò Teoria delle ombre è anche un libro sull’arte. L’ipotesi che ilprotagonista sia morto per mano di agenti stranieri, forse con il beneplacito del dittatore Salazar, è espressa fin dalle prime pagine. Aggiunge un tema romanzesco in più. Il tutto nella cornice delle ricerche sul campo dell’autore, che ha cercato di verificare di persona fatti e circostanze, ormai però irrimediabilmenteperdutiedissoltinel tempo.
Il campione che giocò l’ultima partita a scacchi contro la morte
Nel romanzo “Teoria delle ombre” Paolo Maurensig torna a raccontare una storia di mistero e strategia
PAOLO MAURI Repubblica 4 12 2015
Il gioco degli scacchi è un gioco di guerra e di morte: una metafora che può avere risvolti reali. Lo ha detto in maniera esemplare Bergman con Il settimo sigillo dove un cavaliere medievale gioca a scacchi proprio con la Morte e alla fine fatalmente perde la partita. Ce lo ripete oggi a suo modo Paolo Maurensig con Teoria delle ombre (Adelphi) dove si ripercorre la vicenda al quanto tenebrosa di un campione del mondo degli scacchi, Alexandre Alekhine, trovato morto la mattina del 24 marzo 1946 nella sua stanza d’albergo a Estoril, Portogallo.
Teoria delle ombre è dunque una biografia che vira in romanzo: la vita di Alekhine, nato in Russia e cultore degli scacchi fin da ragazzo, è piena di zone buie. Quando il lettore lo incontra, Alekhine è l’unico ospite di un albergo di Estoril e in questo vuoto occupa la mente giocando e rigiocando migliaia di partite. Gli scacchi sono per lui un pensiero costante, al punto da essere quasi il solo pensiero, dunque un’ossessione. Non ricorda le persone che ha incontrato nel passato, ma non dimentica mai una partita. Presto dovrà andare a Londra per mettere in palio il titolo di campione del mondo, ma per ora è in difficoltà economiche e cerca, come può, di sopravvivere. Alekhine è stato il prediletto di un gerarca nazista, patito anche lui per gli scacchi, e su impulso di quest’ultimo ha scritto diversi articoli per affermare la superiorità dei giocatori ariani rispetto ai giocatori ebrei. Goebbels lo trattava da amico del Reich. Ora quei misfatti, compiuti, dice lui, solo per poter continuare a giocare, gli si ritorcono contro. L’albergo vuoto si anima: il primo ospite ad arrivare è un certo Neumann, un violinista ebreo con il quale diventa quasi amico. Ma chi è veramente Alekhine? Difficile dirlo: vive solo dopo aver sposato donne ricche più vecchie di lui ed ha inseguito sempre e soltanto un unico obiettivo, giocare e vincere. Maurensig ricorda la lotta estenuante con il cubano Capablanca, alla fine della quale Alekhine era diventato campione del mondo e aveva poi fatto di tutto, poco sportivamente, per non concedere la rivincita. La morte di Alekhine desta più di un sospetto: è strano che un boccone di cibo lo abbia addirittura soffocato (era un gran divoratore di carne), è strano che indossasse un cappotto in una stagione che in quei luoghi non lo richiedeva certo. E se fosse stato un complotto? L’autore non forza la mano: si trasforma però in detective incontrando l’ex ragazzo, ormai un anziano signore, che portava ad Alekhine i pasti in camera.
Il giocatore di scacchi è uno stratega di alta scuola. Può giocare molte partite simultaneamente senza neppure vedere una scacchiera: la sua mente “vede” ogni mossa e prevede ogni esito. Lo ha raccontato anche Acheng nel Re degli scacchi.
Maurensig ha una lunga consuetudine con gli scacchi e tutti ricordano La variante di Lüneburg (1993) che fu un successo internazionale. Molti elementi accomunano quel romanzo alla Teoria delle ombre: una morte misteriosa, l’antisemitismo, l’incombere del nazismo e la presenza di giocatori eccezionali e un po’ diabolici. Ecco, è proprio l’elemento diabolico ad animare le storie narrate da Maurensig con una prosa asciutta e uno spiccato senso del teatro che fa di diverse conversazioni e persino di una intervista, altrettante inquisizioni messe in scena. D’altra parte Michele Mari in Tutto il ferro della torre Eiffel fa giocare Capablanca con i pezzi della scacchiera che decidono da soli come muovere. Bergman aveva visto giusto.
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