domenica 8 novembre 2015

Già agli inizi del 900 i perfidi beduini volevano sterminare i pacifici ebrei


Risultati immagini per palestinaGerusalemme, le prostitute che abbatterono il Sultano 
Nel pieno della Grande guerra alcune di loro entrarono in una rete creata per carpire i segreti dell’Impero ottomano accelerandone la fine e evitando agli ebrei il massacro subito dagli armeni. La ricerca di uno storico israeliano 

Maurizio Molinari Stampa 8 11 2015

Nel bel mezzo della Prima guerra mondiale era un network di prostitute a Gerusalemme la spina nel fianco dell’Impero ottomano, e a gestirlo era un ebreo bielorusso al servizio dell’Italia e della Gran Bretagna. Ad alzare il velo su uno degli episodi meno conosciuti nella storia della città è Ori Katzir, lo storico israeliano che ha dedicato le proprie ricerche a ricostruire il ruolo avuto dalle prostitute nella vita di Gerusalemme: fecero infuriare Benedetto XV, infiltrarono l’esercito del Sultano, dilagarono ai tempi dell’Impero britannico, si sono moltiplicate nel quartiere dove è cresciuto Amos Oz e ora sono invisibili, lavorando in anonimi uffici in edifici di avvocati e medici.
Le prostitute emergono come un tassello degli ultimi cento anni della città a cominciare da quando, sotto dominio ottomano, a cavallo fra Ottocento e Novecento, il mercato del sesso mette radici a seguito delle politiche del Sultano. È il periodo in cui gli uomini vengono reclutati con la forza per l’esercito, la povertà degenera in fame e, quando nel 1915 arriva dall’Egitto l’invasione delle locuste, le famiglie sono flagellate al punto da spingere le donne a scegliere la professione più antica per cercare di sopravvivere. 
«Cinquecento di quelle»
«A Gerusalemme ce ne sono almeno 500» dice Haim Weitzman, leader del movimento sionista, intervenendo a una conferenza nel novembre 1918. È lo stesso numero che il primo governatore britannico della città, generale Ronald Stores, rende pubblico in un incontro a Roma con papa Benedetto XV che aveva espresso pubblicamente «grande sconcerto» per «le condizioni di degrado di Gerusalemme, Città Santa» in occasione dell’entrata delle truppe britanniche nel 1917 che riconsegnavano a una potenza cristiana il controllo dei luoghi della vita di Gesù.
Ciò che Weitzman e il generale Stores non dicono, ma sanno, è che alcune di queste prostitute hanno svolto un ruolo non secondario nell’abbattimento dell’Impero ottomano. Il merito è di Alter Levin, un ebreo bielorusso immigrato all’inizio del Novecento che usa lo pseudonimo di Assaf Halevi, pubblica poemi e recluta prostitute per creare una rete di spie che mette al servizio prima del Regno d’Italia e poi di Sua Maestà britannica. Lo storico Eliezer Tauber, dell’Università di Gerusalemme, ha trovato a Istanbul il diario di Aziz Bey, capo dell’intelligence militare turca durante la Prima guerra mondiale, nel quale si legge che «Levin aderì all’intelligence italiana nel 1911, quando l’Italia invase la Libia, e in seguito venne reclutato dai britannici».
Levin opera da un palazzo biancastro all’angolo dell’odierna Zion Square, raccoglie le notizie di prostitute che hanno per clienti gli ufficiali ottomani e lavorano non solo a Gerusalemme, Jaffa e Haifa, ma anche a Beersheba, Amman, Damasco, Beirut, Beirut, Zahle, Tripoli, Homs, Latakia, Aleppo e Iskadron. La polizia segreta turca scopre il network di Alter Levin durante l’irruzione in un bordello al «Russian compound» di Gerusalemme - dove oggi c’è la sede della polizia - perché una delle prostitute arrestate, Lydia Simanovich, ne rivela l’esistenza. Gli arresti che seguono portano i turchi a scoprire l’imponente rete nemica nel cuore dell’Impero, Levin viene condannato a morte e rinchiuso nella fortezza di Aleppo, ma sfugge alla condanna per l’avvicinarsi delle truppe alleate.
Il mercato del sesso
Lo storico gerosolomitano Katzir, laureato all’Università Ebraica con una tesi sulla prostituzione in Alaska e Yukon durante la corsa all’oro nel 1896, spiega che «Levin era abile e spregiudicato, ma aveva un’idea chiara, accelerare la fine dell’Impero ottomano per impedire agli ebrei di fare la stessa fine degli armeni che erano stati massacrati dai turchi pochi anni prima solo perché Istanbul dubitava dei cristiani». I segreti ottomani strappati dalle prostitute della spia italo-britannica aiutano il generale Edmund Allenby a varcare la Porta di Jaffa, entrando in una città in cui il mercato del sesso si concentra soprattutto a Nahalaot, il quartiere di ebrei poveri a ridosso di Agrippas Road, la strada dove i mercanti fanno tappa per vendere i prodotti, a metà percorso tra la Città Vecchia e Deir Yassin.
Nahalaot è divisa in due: a Miskeret Moshe ci sono gli ashkenaziti, d’origine Est-europea, e a Ohel Moshe i sefarditi, provenienti dai Paesi arabi. I residenti di entrambi i quartieri scrivono a più riprese al governatore britannico chiedendo di mettere fine alla presenza di «donne sconce e uomini ubriachi che sostano nei cortili davanti agli occhi dei nostri figli e delle nostre figlie» - come recita un documento dell’epoca trovato da Katzir - ma gli effetti sono assai scarsi e nel luogo dove oggi sorge una delle sinagoghe più caratteristiche - la Hessed VeRahamin - allora c’era un pub che offriva, al secondo piano, donne di qualsiasi fede e colore della pelle. 
Un quartiere a luci rosse
Poco lontano da Nahalaot, il quartiere dove nel 1939 nasce lo scrittore Amos Oz, lungo la centrale King George Street ci sono le prostitute per chi può permettersi prezzi più alti. Ricevono nell’area che va dall’Hotel Bristol all’Hotel San Remo, a cavallo di Yafo Street, creando un vero e proprio quartiere a luci rosse che si allunga in due enclave separate, di cui i britannici accettano la presenza: nella casa «Shlomo Milner», nell’area ebraica ortodossa dell’odierna Mea Sharim, e nel cortile di Nahalat Shiva, dove le prostitute risiedevano dai tempi degli ottomani. È una geografia della prostituzione che, tra Nahalat Shiva, l’Hotel San Remo e Nahalaot, si alimenta con i commerci portati dai britannici, una clientela di ebrei e arabi, e ragazze che fanno di tutto per essere accettate nei bordelli al fine di mantenere genitori e famiglie.
Dopo la spartizione
La spartizione della Palestina da parte dell’Onu nel 1947 lascia i quartieri a luci rosse nell’area Ovest, assegnata agli israeliani, mentre a Est, dove nel 1948 arrivano i giordani, aprono i locali di danza del ventre, come il Victoria dentro la Città Vecchia che offre spogliarelli per tutti e extra a chi è disposto a pagare. La guerra d’indipendenza di Israele ridimensiona di molto il business dei bordelli, perché la città ebraica è isolata, assediata. Per il ritorno della prostituzione bisogna aspettare la fine degli Anni Settanta con l’arrivo degli immigrati dall’Urss nella Gerusalemme riunificata dopo il 1967. 
Ma i vecchi hotel Bristol e San Remo oramai hanno chiuso, i bordelli a Mea Sharim e Nahalot sono diventati sinagoghe e scuole religiose. A prendere piede è un’industria del sesso di stile occidentale, con contatti via telefono e - più tardi - Internet per concordare prezzi e prestazioni. E quando la polizia israeliana inizia, a partire dal 2001, a effettuare raid a raffica scopre che le nuove «case chiuse» sono uffici come gli altri, apparentemente innocui, a pochi metri dalla stessa Zion Square, dove Alter Levin aveva il quartier generale.

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