mercoledì 4 novembre 2015
Le linee di sviluppo del 13o piano quinquennale nella Cina popolare
Moderatamente prosperi La promessa della nuova Cina
di Guido Santevecchi Corriere 4.11.15
La crescita cinese rallenta rispetto agli anni d’oro: il terzo trimestre
del 2015 si è concluso ufficialmente al 6,9%, anche se molti analisti
sono convinti che il tasso reale sia in verità anche più basso, non sia
superiore al 5, forse il 4. Ma il presidente Xi Jinping non ha dubbi e
ammonisce: la Cina deve continuare a crescere «almeno del 6,5% all’anno»
nei prossimi 5 anni, per centrare l’obiettivo di raddoppiare entro il
2020 il Prodotto interno lordo e il reddito pro capite rispetto ai
valori del 2010. Un obiettivo, una promessa, ma anche la linea del
tredicesimo piano quinquennale della Repubblica popolare e un tentativo
di rassicurare i cinesi.
La Cina deve continuare a crescere «almeno del 6,5 per cento all’anno»
nei prossimi cinque anni, per centrare l’obiettivo promesso di
raddoppiare entro il 2020 il Prodotto interno lordo e il reddito pro
capite rispetto ai valori del 2010. È il presidente Xi Jinping che ha
annunciato ieri la linea stabilita nel 13° Piano quinquennale della
Repubblica popolare. La crescita cinese ha rallentato sensibilmente
rispetto agli anni d’oro a doppia cifra: il terzo trimestre del 2015 si è
concluso ufficialmente al 6,9%, anche se molti analisti sono convinti
che il tasso reale non sia superiore al 5, forse il 4. Xi dice che la
Cina è entrata in una «nuova normalità», una condizione che avrà
ricadute importanti per l’economia globalizzata, visto che l’espansione
del Pil cinese rappresenta il 30% circa di quella mondiale. Pechino è
impegnata in un processo di riequilibrio della sua economia: non
potendosi più permettere di essere la Fabbrica del Mondo, con
un’industria manifatturiera sostenuta da investimenti immensi, il
governo punta a costituire un mercato maturo di consumi interni e
servizi. In questo processo di riequilibrio però la crescita scende e il
fatto che ora Xi annunci l’obiettivo del 6,5% rivela la necessità di
rassicurare i cinesi. Il governo sta distillando le novità del Piano
quinquennale: giovedì scorso il primo annuncio dedicato alla fine della
politica del figlio unico. Non un ripensamento etico, ma una necessità
economica: più figli significano più consumi e poi più lavoratori
giovani in una società che invecchia. Un’altra promessa contenuta nel
Piano è la completa liberalizzazione dello yuan sui mercati. Anche se su
questo fronte mancano per ora dettagli. Secondo il professor Hu Angan,
dell’università Tsinghua, il piano si concentra sullo sviluppo sociale:
istruzione, salute, pensioni. La parola d’ordine è «costruire una
società moderatamente prospera». Ma anche evitare la «trappola del
reddito medio». I grandi numeri dicono che la Cina è la seconda economia
del mondo, con un Pil di circa 11 mila miliardi di dollari. Ma è anche
entrata nella fase che gli economisti definiscono «trappola del reddito
medio», nella quale i Paesi emergenti perdono il vantaggio competitivo
nell’esportazione di prodotti industriali a causa dell’aumento del costo
del lavoro. E così il loro reddito pro capite resta intrappolato tra i
10 e gli 11 mila dollari all’anno. La Cina ha un Pil pro capite di circa
7.800 dollari l’anno (sono 55.000 negli Usa e 36.000 in Giappone).
Secondo la Banca Mondiale solo 13 dei 101 Paesi e regioni entrati nello
stadio del reddito medio a partire dagli anni Sessanta sono sfuggiti
alla trappola. Una crescita media al 6,5% tra il 2016 e il 2020, secondo
i pianificatori cinesi, farebbe superare la soglia. Il pericolo però è
che per mantenere questo tasso di crescita il governo freni la
riconversione, aggiungendo al sistema altro eccesso di produzione e
debito.
Secondo Hans Bevers, Senior Economist di Petercam IAM, «si rivelerà
sempre più difficile conciliare riforme strutturali e crescita elevata».
Ma ieri Xi ha parlato proprio di «crescita medio-alta», per tener fede
al progetto formulato anni addietro dalla leadership di raddoppiare gli
standard di vita entro il 2020 rispetto ai dati del 2010. È «la promessa
del Primo Centenario»: nel 2021 il partito comunista celebrerà i cento
anni della fondazione e queste ricorrenze hanno ancora un’attrazione
fatale, anche in un Paese ormai moderno, capitalista e cinico come la
Cina.
La Cina dopo il Plenum Il leader cinese e la promessa del Centenario: crescita al 6,5%
Corriere 4.11.15
La Cina deve continuare a crescere «almeno del 6,5 per cento all’anno»
nei prossimi cinque anni, per centrare l’obiettivo promesso di
raddoppiare entro il 2020 il Prodotto interno lordo e il reddito pro
capite rispetto ai valori del 2010. È il presidente Xi Jinping che ha
annunciato ieri la linea stabilita nel 13° Piano quinquennale della
Repubblica popolare. La crescita cinese ha rallentato sensibilmente
rispetto agli anni d’oro a doppia cifra: il terzo trimestre del 2015 si è
concluso ufficialmente al 6,9%, anche se molti analisti sono convinti
che il tasso reale non sia superiore al 5, forse il 4. Xi dice che la
Cina è entrata in una «nuova normalità», una condizione che avrà
ricadute importanti per l’economia globalizzata, visto che l’espansione
del Pil cinese rappresenta il 30% circa di quella mondiale. Pechino è
impegnata in un processo di riequilibrio della sua economia: non
potendosi più permettere di essere la Fabbrica del Mondo, con
un’industria manifatturiera sostenuta da investimenti immensi, il
governo punta a costituire un mercato maturo di consumi interni e
servizi. In questo processo di riequilibrio però la crescita scende e il
fatto che ora Xi annunci l’obiettivo del 6,5% rivela la necessità di
rassicurare i cinesi. Il governo sta distillando le novità del Piano
quinquennale: giovedì scorso il primo annuncio dedicato alla fine della
politica del figlio unico. Non un ripensamento etico, ma una necessità
economica: più figli significano più consumi e poi più lavoratori
giovani in una società che invecchia. Un’altra promessa contenuta nel
Piano è la completa liberalizzazione dello yuan sui mercati. Anche se su
questo fronte mancano per ora dettagli. Secondo il professor Hu Angan,
dell’università Tsinghua, il piano si concentra sullo sviluppo sociale:
istruzione, salute, pensioni. La parola d’ordine è «costruire una
società moderatamente prospera». Ma anche evitare la «trappola del
reddito medio». I grandi numeri dicono che la Cina è la seconda economia
del mondo, con un Pil di circa 11 mila miliardi di dollari. Ma è anche
entrata nella fase che gli economisti definiscono «trappola del reddito
medio», nella quale i Paesi emergenti perdono il vantaggio competitivo
nell’esportazione di prodotti industriali a causa dell’aumento del costo
del lavoro. E così il loro reddito pro capite resta intrappolato tra i
10 e gli 11 mila dollari all’anno. La Cina ha un Pil pro capite di circa
7.800 dollari l’anno (sono 55.000 negli Usa e 36.000 in Giappone).
Secondo la Banca Mondiale solo 13 dei 101 Paesi e regioni entrati nello
stadio del reddito medio a partire dagli anni Sessanta sono sfuggiti
alla trappola. Una crescita media al 6,5% tra il 2016 e il 2020, secondo
i pianificatori cinesi, farebbe superare la soglia. Il pericolo però è
che per mantenere questo tasso di crescita il governo freni la
riconversione, aggiungendo al sistema altro eccesso di produzione e
debito.
Secondo Hans Bevers, Senior Economist di Petercam IAM, «si rivelerà
sempre più difficile conciliare riforme strutturali e crescita elevata».
Ma ieri Xi ha parlato proprio di «crescita medio-alta», per tener fede
al progetto formulato anni addietro dalla leadership di raddoppiare gli
standard di vita entro il 2020 rispetto ai dati del 2010. È «la promessa
del Primo Centenario»: nel 2021 il partito comunista celebrerà i cento
anni della fondazione e queste ricorrenze hanno ancora un’attrazione
fatale, anche in un Paese ormai moderno, capitalista e cinico come la
Cina.
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