domenica 8 novembre 2015

Madame Filosofia è tornata a farci la morale in politica. Quando sentite parlare di valori, fate attenzione al portafogli

Risultati immagini per De Monticelli: Al di qua del bene e del maleRoberta De Monticelli: Al di qua del bene e del male, Einaudi, Torino, pagg. 272, € 13,00

Risvolto
Qual è l'origine del male pubblico? L'appiattimento del valore sul fatto, della norma sulla normalità, del diritto sulla forza. La linea di cedimento è la nostra coscienza.
La nostra epoca ha profondamente bisogno di una rinnovata filosofia dei valori. Non di una retorica sui valori, che associa la nozione di valore a quelle di tradizione, passato, memoria, religione o ideologia. C'è bisogno di pensiero vivo che faccia luce su un dato essenziale della nostra esperienza: i valori, come li incontriamo, attraverso la gamma della nostra vita emotiva e affettiva, nei beni e nei mali di cui son fatte le nostre giornate, con le nostre decisioni, i comportamenti privati e pubblici. La filosofia, nata con Socrate per tradurre questa esperienza viva in conoscenza vera, ha dato le dimissioni da questo suo compito. Eppure la sua anima migliore si era trasferita nel corpo di documenti e istituzioni che hanno cambiato la storia del mondo: dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo fino al sogno ragionevole di un'Europa unita in pace, libertà e giustizia. Ma dove lo spirito le abbandona, le istituzioni umane vanno in rovina. Questo libro interroga tutti noi, educatori e ricercatori, sulle cause di questo male dilagante. E conduce il lettore sulle tracce di una nuova cognizione del valore.                    

Platone è meglio dell’«Italian Theory»

Roberta De Monticelli si scaglia contro lo scetticismo morale che pervade i costumi degli italiani e che non risparmia i filosofi
Per chi ha conosciuto Roberta De Monticelli leggendo i suoi scritti teoretici, e in particolare L’ascesi filosofica (Feltrinelli, 1995), i lavori più recenti di questa filosofa sono stati, se non una rivelazione, una sorpresa. Da qualche anno, infatti, De Monticelli ha intrapreso un percorso di riflessione che l’ha portata a confrontarsi con una questione centrale del dibattito pubblico: il rapporto tra moralità e politica. L’ha fatto scegliendo una forma letteraria che ha precedenti illustri nella nostra tradizione: il sermone civile, un discorso che aspira a essere al contempo argomentazione ed esercizio pedagogico. A questa evoluzione ha fatto seguito un parziale mutamento delle letture di riferimento e dello stile, di qui la sorpresa di cui dicevo. Senza abbandonare del tutto i suoi autori, da Husserl a Jeanne Hersch, De Monticelli si è aperta nei suoi scritti recenti a orizzonti intellettuali diversi – come quello della teoria della giustizia e dell’etica pubblica post-rawlsiana – entrando in dialogo anche con interlocutori che non appartengono al mondo della filosofia: giuristi, studiosi di scienze sociali, intellettuali pubblici. La novità si avverte nella scrittura: che diventa tesa, procede a scatti, più vicina ai ritmi del parlato che a quelli del saggio accademico. Si ha quasi l’impressione che, presa dall'urgenza di fare i conti con i temi della vita pubblica, Roberta De Monticelli abbia ingaggiato un corpo a corpo con un avversario temibile, cui non riesce ancora a dare un nome. L’ultima testimonianza di questo scontro è Al di qua del bene e del male. Per una teoria dei valori. Un libro che segna probabilmente un cambio di passo rispetto ai precedenti, perché abbandona la forma del sermone civile e ritorna a modalità argomentative più prossime a quelle tipiche della filosofia.
La spiegazione di questo cambiamento si trova verosimilmente nel fatto che l’autrice abbia avvertito il bisogno di fare un bilancio delle sue esplorazioni «nello stato presente dei costumi degli italiani» (per riprendere il titolo di uno scritto di Leopardi di cui si avverte spesso l’eco nei lavori recenti della De Monticelli). In effetti, nelle pagine di Al di qua del bene e del male ci viene offerta una diagnosi di ciò che è andato storto nei nostri costumi, ovvero nel modo in cui agiamo, parliamo e pensiamo, e una proposta relativa alla cura di cui avremmo bisogno per tornare in salute. La ricostruzione dei sintomi da cui saremmo affetti è una delle parti più appassionanti e persuasive del libro: la cecità rispetto alla dimensione normativa del mondo sociale, ridotto a fatto bruto, l’indifferenza alle diverse dimensioni del valore, il rattrappirsi della sensibilità morale, l’apatia civile.
Più complessa è la parte terapeutica, che consiste essenzialmente in una serie di argomenti per confutare lo scetticismo morale. Qui la De Monticelli si impegna in una battaglia su diversi fronti: contro lo storicismo, contro il nichilismo, contro una certa lettura del pluralismo dei valori, e contro il relativismo. Devo dire che la parte sul pluralismo è quella che mi ha convinto meno. L’interlocutore principale con cui si confronta l’autrice, Isaiah Berlin, non è mai arrivato a una formulazione soddisfacente delle proprie tesi sul pluralismo. D’altro canto mi pare che la De Monticelli trascuri le tensioni concettuali della tesi dell’unità del valore di Ronald Dworkin, che viene presentato nel libro come il più illustre rappresentante di una tendenza antipluralista nel dibattito contemporaneo. Per menzionare l’esempio della libertà, ci sono buone ragioni per resistere alla normativizzazione di questo concetto. Distinguere la libertà dalla licenza è un’abile mossa che Dworkin si concede per eludere le obiezioni dei critici, ma il rispetto che dobbiamo alla verità ci impedisce di accettarla.
L’aspetto centrale di questo libro è costituito comunque dalla critica serrata alle tendenze intellettuali che, secondo la De Monticelli, avrebbero abdicato alla missione del Socrate dei dialoghi di Platone per abbracciare invece uno scetticismo morale che crea l’ambiente adatto per la corruzione dei costumi. Le pagine sul «pensiero della disperanza che si lamenta invano» sono vigorose e non prive di una certa perfidia. L’autrice non si lascia incantare dai fumi dell’Italian Theory, l’eredità che l’operaismo degli anni settanta ha lasciato al mondo. Giustamente la De Monticelli respinge l’idea che si possa criticare il capitalismo finanziario o la globalizzazione senza tener conto degli sviluppi che l’economia politica ha avuto dalla seconda metà dell’Ottocento in poi. Incapaci di fare i conti con gli argomenti libertari che, a partire dagli anni ottanta, hanno preso il sopravvento sul “consenso socialdemocratico”, gli Italian Theorists parlano d’altro. Chiudendosi nella riserva di dipartimenti in cui è improbabile imbattersi in una Roberta De Monticelli che rivolga loro domande imbarazzanti come quelle poste in questo libro sull’appropriazione di Heidegger e Schmitt da sinistra. Anche sui due tristi figuri recuperati dall’Italian Theory ci sono pagine sferzanti. Del primo ci offre un breve ritratto intellettuale che chiude la questione del rapporto tra la sua filosofia e l’adesione al nazismo: sì, la sua filosofia era nazista. Altrettanto spietata è con lo scritto sulla “tirannia dei valori” di Schmitt. L’autrice fa a pezzi “questo mediocre saggio” – che ha tanti estimatori nel nostro paese – lasciando il lettore liberale in uno stato di esultante simpatia, un po’ come il ragionier Filini quando Fantozzi urla cosa pensa della Corazzata Potëmkin. In questa dimensione critica, in cui si nota più forte la continuità con i sermoni civili pubblicati negli ultimi anni, c’è un richiamo vigoroso che l’autrice rivolge ai propri colleghi: agli educatori, ai filosofi, agli intellettuali. Non abdicare alla missione di Socrate, la ricerca della verità, anche se questo comporta andare contro la corrente.
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2 commenti:

Anonimo ha detto...

ingenuità allo sbaraglio ma è tutto in buona fede .... oppure ...

Anonimo ha detto...

Non era il caso di citare che l'articolo è di Mario Ricciardi, pubblicato sul Sole.24h dello stesso giorno (8 novembre2 2015)?