venerdì 13 novembre 2015
Parla Rouhani
«I
vostri leader hanno sempre avuto un atteggiamento moderato nei nostri
confronti. Nelle nuove condizioni, potete essere per noi uno dei partner
più importanti. Consideriamo il vostro Paese un amico in Europa. Spero
che il mio viaggio apra una nuova fase nei nostri rapporti»
intervista di Viviana Mazza e Paolo Valentino Corriere 12.11.15
TEHERAN «Sono felice che la mia prima visita all’estero dopo la firma
dell’accordo nucleare sia in Italia perché è un Paese con il quale
l’Iran ha da tempo ottime relazioni, sul piano economico, culturale e
politico. Per un certo periodo l’Italia è stata anche il nostro primo
partner commerciale. Sulle questioni internazionali e politiche, i
leader italiani hanno sempre avuto un atteggiamento moderato nei nostri
confronti. Nelle nuove condizioni, l’Italia può essere per noi uno dei
partner più importanti. Consideriamo il vostro Paese un amico in Europa.
Spero che il mio viaggio apra una nuova fase nei nostri rapporti».
Hassan Rouhani arriva sabato mattina a Roma, per una visita che segna il
rientro in grande stile dell’Iran sulla scena internazionale. Il leader
iraniano ci riceve in una sala del palazzo presidenziale sullo sfondo
di un grande ritratto del fondatore della Repubblica islamica,
l’ayatollah Khomeini e dell’attuale Guida suprema, Khamenei. È la prima
intervista a un quotidiano europeo dalla sua elezione nel 2013. Il
presidente non si sottrae ad alcuna domanda e risponde con un sorriso
anche a quelle sulle difficoltà e gli ostacoli alle sue riforme.
Quali passi ha iniziato a fare l’Iran per applicare l’accordo nucleare?
Gli americani stanno facendo del loro meglio per rispettarlo?
«Ci siamo lasciati alle spalle una fase importante, la fase legale.
Adesso cominceremo quella di applicazione dell’accordo. Non abbiamo
ancora raggiunto il cosiddetto implementation day (il giorno in cui
l’Iran avrà modificato il suo programma nucleare e l’Occidente inizierà a
togliere le sanzioni, ndr ), quindi durante questo periodo l’Unione
Europea, gli Stati Uniti e gli altri Paesi del 5+1 devono fare quello
per cui si sono impegnati, in modo che, quando arriva quel giorno, tutte
le sanzioni economiche, bancarie e finanziarie siano rimosse. L’Iran
rispetterà i suoi obblighi, simultaneamente alle azioni dell’altro
campo. Stiamo entrambi lavorando. Penso che entro fine anno arriveremo
all’ implementation day . Stiamo aspettando il rapporto dell’Aiea sulle
questioni ancora aperte, nel frattempo andremo avanti con la
riconversione del reattore di Arak. Tutto il popolo iraniano guarda con
speranza al giorno in cui le sanzioni saranno abolite».
E se il Congresso Usa ne imponesse di nuove?
«L’impegno è questo: non saranno imposte nuove sanzioni dai 5+1 e noi
dobbiamo rispettare gli accordi. Ma se gli Usa o altri Paesi non
rispettano gli impegni presi, non ci sentiremo costretti a farlo neanche
noi».
In che modo l’accordo nucleare cambierà le relazioni tra l’Iran e gli
Stati Uniti? Nelle manifestazioni si continua a gridare «Morte
all’America» e la Guida suprema, l’ayatollah Khamenei, chiama ancora gli
Usa «il Grande Satana». Lei considera l’America il Grande Satana?
«L’accordo nucleare è una cosa, i nostri rapporti con gli Stati Uniti
un’altra. I problemi che abbiamo con loro sono di lunga data e
cominciano con la vittoria della Rivoluzione islamica. I punti di
frizione permangono: gli americani non rimuoveranno tutte le sanzioni,
ma solo quelle collegate al programma nucleare. Quindi, il rapporto tra
Iran e Stati Uniti è un’altra storia. Ma il modo in cui applicheremo
l’accordo può avere un impatto sul futuro. Se applicato bene, getterà le
basi per minori tensioni con gli Usa, creando le condizioni per aprire
una nuova era. Ma se gli americani non rispettano la loro parte
dell’intesa nucleare, allora sicuramente il nostro rapporto con loro
resterà come in passato».
Diversi cittadini americani sono stati di recente arrestati in Iran, fra
questi anche un giornalista. Molti vedono questi episodi come azioni
ostili da parte di coloro che si oppongono a ogni miglioramento nelle
relazioni con Washington. Cosa ci può dire in merito?
«Ci sono diverse ragioni per arrestare delle persone e di questo è
responsabile la magistratura. I loro casi saranno esaminati dai
tribunali e ciò non dovrebbe essere messo in relazione con questioni
politiche. Certo, in Iran come in altri Paesi democratici e liberi ci
sono opinioni politiche differenti. Rispettiamo i diritti degli
stranieri che vivono in Iran. Qualcuno ha avuto problemi ed è stato
arrestato, ma è successo anche a cittadini iraniani che sono in prigione
negli Stati Uniti».
Ma lei immagina di poter vedere un giorno un’ambasciata americana a Teheran e una iraniana negli Stati Uniti?
«Un giorno queste ambasciate verranno riaperte, ma ciò che conta sono i
comportamenti e la chiave di questo ce l’hanno in mano gli americani. Se
modificano le loro politiche, correggono gli errori commessi in questi
37 anni e si scusano col popolo iraniano, la situazione cambierà e buone
cose potranno accadere».
Lei ha criticato alcuni media iraniani, accusandoli di agire come una
«polizia segreta». Il capo della magistratura le ha anche risposto a
tono, respingendo le sue critiche. È il segnale di un grande scontro in
atto all’interno del Paese sulla via da seguire? Le sue riforme sono in
pericolo?
«Non c’è nessun grande scontro. Non vedo alcun ostacolo per le mie
riforme, ma io in quanto presidente ho il compito di far applicare la
Costituzione: se vedo che alcuni dei suoi articoli non vengono
applicati, sono distorti o violati, ho il dovere legale di lanciare
degli avvertimenti. Il presidente è al di sopra di tutti gli organi
statali e questi devono farvi attenzione anche se non sono d’accordo con
lui».
Lei aveva promesso più democrazia, libertà di espressione e una rete Internet senza filtri. Perché non è successo?
«I miglioramenti sociali o nel campo dei diritti dei cittadini non
possono avvenire in una notte. Ci vuole tempo. Uno degli obiettivi del
mio governo, sin dall’inizio, è stato di concedere più diritti ai
cittadini, espandere le libertà e creare un’atmosfera migliore nelle
attività culturali e sociali. Negli ultimi due anni ci sono stati
progressi. Oggi la situazione nelle università e nei media è migliorata.
La stampa critica liberamente il presidente: due anni fa nessuno
avrebbe immaginato una cosa del genere. Ma l’esecutivo da solo non può
risolvere tutto. Deve esserci una cooperazione con il sistema
giudiziario e legislativo. Speriamo che ci sia in futuro».
Due anni fa lei promise di liberare i leader riformisti del Movimento Verde, Mousavi e Karroubi. Manterrà la promessa?
«Saranno liberati. Un giorno».
Per la prima volta l’Iran è stato invitato a unirsi agli sforzi
diplomatici per risolvere la crisi in Siria insieme a Stati Uniti,
Russia, Arabia Saudita e altri Paesi. Qual è per l’Iran una soluzione
possibile, efficace e accettabile?
«Per la prima volta i grandi Paesi e quelli della mia regione sono allo
stesso tavolo, e questo è in sé un risultato importante. Anche se Stati
Uniti, Russia, Iran, Turchia e Arabia Saudita hanno opinioni diverse, è
un segnale che nelle crisi regionali si possono cercare soluzioni
insieme. Quello siriano è un problema assai complesso, non possiamo
aspettarci che sia risolto in una sola tornata di negoziati, ma esiste
una nuova opportunità. Crediamo che il problema siriano non abbia una
soluzione militare, ma ci sarà una soluzione politica. È un piccolo
passo che ci offre una speranza».
L’Iran accetterebbe un compromesso che preveda l’uscita di scena di Assad?
«Per noi in Siria l’importante è la lotta al terrorismo. Tutti i Paesi
stanno combattendo contro l’Isis. Il ritorno della pace e della
stabilità dovrebbe essere la priorità numero uno, in modo che i siriani
possano ritornare alle proprie case e la Siria sia un Paese sicuro. Le
altre questioni sono secondarie. Qualunque decisione sul governo e sul
futuro della Siria, spetta al popolo siriano. Altri Paesi e forze non
dovrebbero interferire ma preparare la strada a libere elezioni.
Chiunque venga eletto noi lo rispetteremo».
Oggi Russia e Iran sono unite nella lotta all’Isis e nell’appoggio ad
Assad. È un’alleanza di necessità o una partnership strategica?
«È una partnership importante. Tra Iran, Russia, Iraq e Siria è stato
raggiunto un accordo per collaborare nella lotta all’Isis. La Russia è
concentrata più sulle operazioni in Siria, forse in futuro amplierà il
suo raggio d’azione all’Iraq, ma io penso che sia importante che tutti i
Paesi del mondo si concentrino nella lotta al terrorismo. L’Isis è una
minaccia per l’intera regione e anche per altri, inclusa l’Unione
Europea. La regione è in subbuglio. Noi siamo stati tra i primi ad
appoggiare l’esercito iracheno contro l’Isis e se non l’avessimo fatto,
forse Baghdad sarebbe già caduta».
L’Iran ha il numero pro capite di esecuzioni capitali più alto al mondo,
incluse quelle pubbliche. Lei crede che la pena di morte sia un modo
efficace per combattere il crimine?
«La punizione dovrebbe servire da deterrente. Si può discutere
sull’efficacia o meno delle esecuzioni, come pure degli arresti e
perfino delle multe. Ma in ogni Paese il codice penale ha a che fare con
regolamenti interni, in molti Paesi c’è la pena di morte, in altri no.
In Iran la maggior parte delle esecuzioni ha a che fare con crimini
legati al traffico di droga, abbiamo un confine lungo e poroso con il
nostro vicino afghano. Se abolissimo la pena di morte renderemmo loro
più facile portare la droga fin nei Paesi europei e questo sarebbe grave
per voi».
«Morte a Israele» è ancora un grido popolare nelle preghiere del venerdì. Non sarebbe ora di farla finita con simili slogan?
«Rispettiamo tutte le religioni monoteiste, comprese quella ebraica e
cristiana. Nel nostro libro sacro si parla molto di Mosè, che è il
profeta degli ebrei, e il Corano loda Mosè, che sia benedetto. Il popolo
ebraico ha sempre vissuto e vive in Iran pacificamente. Gli ebrei hanno
i propri rappresentanti nel Parlamento iraniano, possono praticare la
loro religione liberalmente. Ma questo è diverso dalle politiche del
sionismo, che è cosa diversa dall’ebraismo. Noi condanniamo le politiche
perseguite dal regime sionista nella regione, inclusa l’uccisione dei
palestinesi. E condanniamo le politiche americane quando appoggiano
unilateralmente questo regime. Voglio dire che il popolo iraniano può
odiare Israele e le politiche sioniste, ma allo stesso tempo può amare
l’ebraismo, i suoi profeti e il Libro».
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