domenica 8 novembre 2015

Sant'Antonio nemico r'o ddemonio


Copertina AntonioPeter Gemeinhardt: Antonio. Il monaco che visse nel deserto, il Mulino, pp. 228, 19

Risvolto

Predicatore, taumaturgo, campione di vita monacale, protettore contro l’ergotismo (il «fuoco di sant’Antonio»), per oltre mille e cinquecento anni Antonio ha incarnato molti ruoli, anche contraddittori, che ne hanno definito l’immagine nella storia. Nella cultura popolare è ricordato come fondatore del monachesimo cristiano e primo degli abati, ma anche come colui che seppe resistere alle tentazioni del demonio. Il libro racconta la storia del santo vissuto nel III secolo, dall’infanzia nel Medio Egitto all’eremitaggio nel deserto, fino alla morte alla veneranda età di 105 anni, e ricostruisce la fortuna successiva del suo modello di ascetismo, capace di ispirare anche – si pensi a Bosch, Flaubert, Dalí – la letteratura e l’arte.
Peter Gemeinhardt insegna Storia della Chiesa nella Georg-August-Universität di Gottinga. Fra i suoi libri ricordiamo «Die Heiligen. Von den frühchristlichen Märtyrern bis zur Gegenwart» (2012).


Dal deserto all’Occidente: il viaggio di Sant’Antonio 

8 nov 2015 Corriere della Sera di Marco Rizzi © RIPRODUZIONE RISERVATA 

Antonio non fu il primo, ma certo il più famoso dei primi monaci cristiani. Nato alla metà del III secolo nel medio Egitto da famiglia abbiente e cristiana, la vita di Antonio cambiò quando udì in una chiesa le parole di Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutti i tuoi beni e dalli ai poveri, poi vieni e seguimi». Nacque così l’asceta che nel deserto ricercava la perfezione, lottava con il diavolo e ne vinceva le tentazioni, guariva i malati nel corpo e nello spirito che si recavano da lui per essere curati, educava i monaci più giovani nello stile di un insegnamento fatto di brevi domande e fulminanti risposte, i cosiddetti apoftegmi. Vissuto più di cent’anni, la sua fama venne consacrata dalla biografia che gli dedicò Atanasio, vescovo di Alessandria; tradotta in latino, favorì la diffusione anche in Occidente del fenomeno monastico e del culto del suo campione. Peter Gemeinhardt, filologo e storico all’università di Göttingen, in Antonio ( il Mulino, pp. 228, 19) introduce il lettore al complesso problema dell’attendibilità delle fonti, delle implicazioni teologiche e propagandistiche nei conflitti politicoecclesiastici del IV secolo, delle caratteristiche del genere agiografico (le «vite dei santi») e della letteratura apoftegmatica. Ne emerge un quadro in cui è difficile distinguere l’autentico dal leggendario, il dato storico dalla costruzione di un modello di vita ascetica e di santità destinato a segnare la successiva storia del cristianesimo, e non solo: infatti, la seconda parte del volume è dedicata a ripercorrere le tappe della fortuna di Antonio nell’arte, nella letteratura e nella cultura, popolare e non, sino a oggi. Ma per Gemeinhardt, il segreto del persistente fascino di Antonio risiede in ciò che egli scoprì nel deserto: nient’altro che se stesso.

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