domenica 8 novembre 2015

Putinmania a destra a sinistra al centro sopra sotto

Putin. Vita di uno ZarGennaro Sangiuliano: Putin, vita di uno zar, Mondadori (Milano, pagg. 284, € 20,00

Risvolto
Chi è davvero Vladimir Putin? Un coraggiosso protagonista del nostro tempo, capace di condizionionare la politica internazionale, oppure l'ex colonnello del KGB non troppo avvezzo alla democrazia? Insomma, un "nuovo zar"? Per rispondere a questi e altri interrogativi, Gennaro Sangiuliano dedica al presidente della Federazione Russa, "l'uomo più potente dd mondo" secondo la rivista "Forbes", una biografia nella quale si ripercorrono le tappe più significative di una straordinaria avventura umana e politica. Personaggio enigmatico e complesso, Vladimir Vladimirovic Putin nasce a Leningrado (oggi San Pietroburgo) nel 1952, quando in URSS è ancora al potere Stalin. La sua è una famiglia di condizioni relativamente modeste: il padre è operaio specializzato, la madre presta servizio nella sede di un comando navale. Abitano in una kommunalka, una casa collettiva condivisa da più nuclei familiari. Biondiccio, piccolo di statura, gracile ma dotato di grande determinazione, "Volodja" cresce in piena Guerra fredda, lavorando per un lungo periodo nel KGB, il potente servizio segreto russo. Dopo la laurea in diritto internazionale, il matrimonio con la moglie Ljudmila nel 1983 e gli anni trascorsi a Dresda, nella DDR, la sua ascesa è rapida quanto sorprendente: già vicesindaco di Leningrado, dopo il crollo del Muro e la dissoluzione dell'Unione Sovietica diventa direttore dell'FSB, l'ex KGB, poi primo ministro della Federazione Russa, quindi Presidente...

Sua Maestà, la RussiaIl leader del Cremlino ha costruito la sua ascesa con tenacia e quando è stato messo nell’angolo ne è uscito più forte. Mosca è tornata ad essere protagonista sulla scena geopolitica globale
Gennaro Sangiuliano
Personaggio controverso, come tutti coloro che sono destinati a lasciare un segno, Vladimir Putin è indubbiamente un protagonista del nostro tempo. L’attualità e le ultime vicende di politica internazionale ne hanno rilanciato il ruolo nello scacchiere geopolitico globale. In queste ore il mondo aspetta di capire come reagirà di fronte alla perdita dell’aereo e di vite di cittadini russi nel Sinai e come porterà a termine la complessa partita in Siria. Eppure, della sua vita, come delle sue più intime convinzioni, di quei dettagli capaci di tratteggiare compiutamente una personalità, si sa poco. La convinzione comune è quella che la sua vita sia avvolta da un alone di mistero, alimentato soprattutto dal suo passato di ufficiale del temibile Kgb, il servizio segreto dell’era sovietica e, probabilmente, l’unico apparato veramente efficiente nella lunga era comunista. Ricostruirne la biografia, oltre i luoghi comuni e le tante leggende mai verificate, significa non solo raccontare un protagonista del nostro tempo ma penetrarne idee, convinzioni e magari prospettarne le mosse future. Questo partendo da un punto chiave: la vicenda individuale di Vladimir Vladimirovi? Putin deve essere narrata nel contesto della storia russa con cui si intreccia e di cui è un figlio a tutto tondo. 
Quando nel 1952 Vladimir Putin nasce a Leningrado, l’odierna San Pietroburgo è ancora un cumulo di macerie. È la città che ha subito il più orrendo assedio della Seconda guerra mondiale, novecento giorni di morte in cui hanno perso la vita un milione di cittadini. I genitori di Putin erano due sopravvissuti all’assedio. Il padre era stato gravemente ferito in battaglia, la madre aveva rischiato di morire per denutrizione. Entrambi riportano danni fisici permanenti ma la ferita più grave è la morte di Viktor, il loro figlio di nove anni, fratello che Vladimir non ha mai conosciuto. 
Volodja – così lo chiama affettuosamente la madre – è un personaggio enigmatico e complesso, criticabile per manifestazioni di autocrazia, la cui vita reale appare degna di un romanzo di John le Carrè, dove fitti misteri si fondono con elementi d’introspezione psicologica. 
Piccolo di statura, gracile, biondiccio ma dotato di grande determinazione nel carattere, oltre che di intelligenza, a dodici anni Vladimir legge Lo scudo e la spada, best seller che racconta le avventure di una spia sovietica, diventato poi una popolare serie televisiva. Da queste suggestioni adolescenziali sarebbe scaturita la convinzione di arruolarsi nel Kgb, l’onnipotente servizio segreto sovietico. L’aspirazione di un ragazzo diventerà realtà anni dopo, successivamente a una brillante laurea in giurisprudenza. Come lui stesso ammetterà da adolescente è un «teppista», un indisciplinato che non partecipa alle ordinate attività della gioventù comunista. È spesso in strada dove picchia duro nelle risse tra ragazzi, pratica le arti marziali. Ma è anche uno studioso che apprende subito il tedesco e l’inglese, che ottiene a scuola risultati eccellenti, che divora libri. Non è un figlio della nomenklatura ma riesce lo stesso per meriti ad accedere all’ambita facoltà di legge dell’Università di Leningrado. 
Entrare nel Kgb significa accedere a uno Stato all’interno dello Stato sovietico, l’apparato più organizzato e coeso, una élite. Tuttavia, proprio nel servizio segreto, in maniera solo apparentemente inspiegabile, ci sono anche le maggiori consapevolezze del fallimento del sistema socialista sovietico e una fronda che afferma la necessità di aprirsi alle riforme e alla democrazia. Vladimir Putin è forgiato da questa esperienza, ne resterà impregnato per tutta la vita ma è anche l’ambito in cui matura una diversa sensibilità, aperture e conoscenze del mondo esterno, a cominciare dalla superiorità dell’economia di mercato. 
La narrazione giornalistica del leader russo ha spesso risentito di stereotipi, di valutazioni superficiali, prive di riscontri sul piano storiografico. Il personaggio Putin, invece, non può essere disgiunto dalla storia passata e recente della Russia, dai settant’anni di comunismo sovietico, dalla caotica fase di dissoluzione dell’impero, dai gravi pericoli che lo sfaldamento dello Stato genererà con il riemergere di antichi nazionalismi etnici. La Russia non è stata solo il comunismo e non è oggi solo una terra di autocrati. È la patria di immensi romanzieri, di una delle più importanti letterature, di matematici, di fisici, di economisti, di una profonda spiritualità religiosa. Capire il personaggio Putin, penetrarne la vicenda umana e politica, raccontarne dettagli poco noti, significa fare i conti con una delle dimensioni fondamentali del nostro tempo. 
Putin è stato agente operativo del Kgb a Dresda, nella Germania di Erich Honecker e della Stasi, assistente del rettore dell’Università di Leningrado, vicesindaco dell’antica capitale, capo dell’amministrazione presidenziale a Cremlino, capo dell’Fsb (il servizio segreto post Kgb), primo ministro di Eltsin, dunque presidente. 
Col tempo è diventato lo zar della nuova Russia. In quindici anni di potere gli sono stati ascritti alcuni significativi successi: la crescita economica, la nascita di un ceto medio diffuso, la lotta alla povertà e all’alcolismo, la sconfitta della mafia, la modernizzazione dello Stato, la riappropriazione delle risorse energetiche e la liquidazione di voraci oligarchi. Egon Bahr, ex ministro tedesco socialdemocratico, artefice della «Ostpolitik» di Willy Brandt, ha affermato: «Putin è popolare per il fatto di aver restituito alla Russia la fiducia in sé stessa dopo l’epoca Eltsin». 
Più volte nel corso dell’ormai lungo regno politico lo zar Putin è stato messo nell’angolo e puntualmente ha saputo uscirne più forte di prima. È stato così all’epoca della guerra alla Cecenia, dell’incidente del sommergibile Kursk, della strage del teatro di Dubrovka e di quella di Beslan, lo è stato tra il 2011 e il 2012, quando a Mosca e nelle altre grandi città subì manifestazioni di aspra contestazione.
Ora, dopo la dura reprimenda occidentale per l’annessione della Crimea, ancora una volta lo zar ne può uscire perché si offre di fare il lavoro sporco in Siria contro l’Isis, quello che un occidente non sembra in grado di fare.
Solo la prospettiva distante della storia ci dirà chi è stato davvero Putin. Per lo scrittore e filosofo Aleksandr Zinov’ev rappresenta il «primo serio tentativo della Russia di resistere all’americanizzazione e alla globalizzazione», per il liberale Sergej Kovalëv «un’alternativa alla restaurazione comunista e all’incompetenza dei democratici». 
Aleksandr Isaevi? Solženicyn, gigante della letteratura mondiale che con la sua vita ha testimoniato il valore della libertà, ebbe ad affermare: «Quando dicono che da noi è minacciata la libertà di stampa, io manifesto tutto il mio dissenso». 
L’intellettualità occidentale appare sospettosa verso la prassi e la sostanza politica del leader russo ma molti giudizi affrettati non tengono conto del contesto storico: la Russia, una nazione dove, fino a un secolo e mezzo fa, c’è stata una forma di vera e propria schiavitù legale di donne e uomini, la famigerata servitù della gleba, abolita solo nel 1861 dallo zar riformatore Alessandro II. Una nazione passata dall’autoritarismo zarista a quello bolscevico, che ha fatto milioni di morti in nome del comunismo, che ha devastato l’economia ed eletto la miseria a prassi.
Putin è riuscito a riplasmare un’identità in cui molti possono ritrovarsi: essa tiene insieme lo stemma e il nastrino zarista, l’inno sovietico con la vecchia musica e nuove parole, la bandiera che fu quella di un breve periodo democratico. Pezzi di storia, una volta antitetici, messi insieme. Un’operazione alla quale i politologi russi hanno dato il nome di «rinascimento nazionale e tradizionale».
La storia politica e personale di Vladimir Putin è tutta da raccontare perché intensa. Il personaggio è lontano dall’essere storicizzato, la sua attualità è viva, pronta a riservare sorprese. È un fatto che la Russia sia ridiventata un grande protagonista della geopolitica globale recuperando il ruolo perso dopo il crollo dell’Urss.
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Lo zar che può riscattare l’ignavia dell’Europa
Sangiuliano indaga luci e ombre di Putin al di là della vulgata antipatizzante in voga nei salotti Con lui, dopo il caos degli anni di Eltsin, la Russia è tornata protagonista dello scenario mondiale
11 nov 2015  Libero SIMONE PALIAGA
Meno di una settimana fa Forbes lo ha posto al vertice della classifica degli uomini più potenti del mondo. Lo stesso era accaduto nel 2013. Mentre l’anno precedente il Time aveva dedicato proprio a lui la copertina, definendolo l’uomo dell’anno. Considerati gli eventi di questi ultimi mesi, dalla Crimea alla Siria fino all’abbattimento del charter russo sopra i cieli del Sinai, il suo peso non è sicuramente cambiato. Non passa giorno infatti che dai telegiornali alla carta stampa non sia evocato il nome del presidente della Federazione russa Vladimir Putin. A fare il punto della situazione, grazie a un saggio godibile e ben scritto, interviene ora Gennaro Sangiuliano con il suo Putin. Vita di uno zar (Mondadori, pp. 288, euro 22). Lo sguardo è accattivante perché non indulge nell’opinione mainstream e su quanto trasmettono a spron battuto i giornali occidentali. Prendere le distanze dalla vulgata non significa naturalmente farsi portavoce di Putin, ma assumere una prospettiva disincantata incastonandone il ruolo nell’alveo della storia russa.
Sangiuliano sa troppo bene che il «personaggio è lontano dall’essere storicizzato, la sua attualità viva è pronta a riservare sorprese». Ma è pure consapevole che grazie al suo intervento, dopo il crollo del potere sovietico e il lungo interregno di Boris Eltsin, quando a governare erano mafie e oligarchi, la Russia è «ridiventata un grande protagonista della geopolitica globale, recuperando il ruolo perso dopo il crollo dell' Urss». Negarlo, assicurando che Mosca è soltanto un attore regionale incapace di dire la sua a livello mondiale, equivale a mentire o a nascondersi dietro un filo d’erba. E forse proprio il ritrovato protagonismo russo potrebbe essere foriero di uno scenario politico mondiale multipolare più stabile di quello ricevuto in eredità da vent’anni di egemonia americana, ignavia europea e rivincita economico-finanziaria cinese.
Lungi da Putin la caricatura di cui si fa carico l’opinione comune: un algido killer al soldo del Kgb negli anni della Guerra Fredda. Putin non è stato questo. Nato nel 1952 a Leningrado, la straordinaria San Pietroburgo e una delle città più martoriate dal secondo conflitto mondiale, sembrava destinato a vivere tutta la vita in una kommunalka e a finire la sua esistenza da teppista, come lui stesso confessò in un’intervista. Invece, pur estraneo alla nomenklatura del partito e grazie all’innata determinazione, riesce a entrare nella prestigiosa Università di Leningrado e laurearsi in Giurisprudenza con una tesi in diritto internazionale. Portato per le lingue, non incontra difficoltà ad arruolarsi nel Kgb fino all’incarico che lo trasferisce per alcuni anni a Dresda. Il temibile servizio segreto sovietico non è solo un covo di spie e assassini solerte nell’eliminare i nemici della rivoluzione. È anche una delle istituzione più efficienti del regime e la prima ad avvertire gli scricchiolii del colosso sovietico e dei suoi alleati del Patto di Varsavia. Al suo interno da tempo, prima del fatidico 1991, aleggiava il sentore dello schianto prossimo venturo anche se forse si preferiva rimuoverlo. E il futuro presidente a questo clima non era certo estraneo. «Il maggiore Putin tuttavia - ribadisce Sangiuliano - avverte bene che il cambio epocale è giunto». E lo fa presente nei suoi rapporti.
Al suo rientro a Mosca, dopo lo schianto, le incognite sono maggiori delle certezze. Eppure si tratta solo della rincorsa per la sua conquista del potere. Dopo gli anni del disordine nato dall’inettitudine dell’ingegnere Eltsin, con l’imprevista elezione di Putin a presidente le vicende della Russia subiscono una netta torsione. La brutale guerra contro il terrorismo ceceno, la spavalda estromissione degli «oligarchi che avevano saccheggiato le ricchezze nazionali», una libertà di stampa non sempre trasparente non suscitano le simpatie occidentali, ma di certo rimettono la Russia in carreggiata. Poi arriva l’affaire ucraino, la vitale questione della Crimea e la guerra in Siria. E siamo all’oggi, in cui parte dell’agenda politica mondiale viene dettata proprio da Putin, come non esita a riconoscere Forbes . E il dispiacere a Washington e tra suoi zelanti alleati dell’Europa orientale, sempre più realisti del re, cresce a dismisura e addita nel Grande Orso il nuovo nemico della pace. Eppure forse non sarà così.
Putin non cerca di restaurare il clima da Guerra Fredda. Ideologicamente riconosce che la «proprietà privata è un elemento naturale dell’essenza umana», ma anche che la Russia ha una sua identità, come ribadisce al Forum di Valdai nel 2013, e dunque un proprio interesse nazionale. Non ha mai disdegnato di guardare a Occidente, e i rapporti con Italia e Germania sono lì a provarlo, ma se rifiutato non esita a rivolgersi al Celeste Impero e all’Unione eurasiatica. Oggi la partita è aperta, se a prevalere non saranno i falchi occidentalisti ma degli europei realisti. E per dar linfa a questi ultimi occorre capire la Russia, come fa con passione civile Sangiuliano. E soprattutto capire che con Putin essa «per la prima volta nella sua lunga storia, è uscita dalla miseria, dal degrado umano dell’alcolismo e ha migliorato l’aspettativa di vita dei suoi cittadini, tra le più basse in Europa nei primi anni Novanta. Ha creato un ceto medio, una borghesia, ridotto la povertà, garantito condizioni di vita migliori per vasti strati della popolazione. Se è vero che c’è stata e continua a esserci qualche contrazione delle libertà politiche, ai russi interessa poco».     

Putin, da monello di Leningrado a primo zar del dopo comunismo 
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Conquistati dalla visione protestante-americana di una realtà divisa senza mediazioni tra bene e male, molti media occidentali fanno di Putin il «Nemico Pubblico» dell’Occidente: un James Cagney più alto di 5 centimetri, con un missile atomico sotto il braccio al posto della «Colt Police Positive.38».
In un paese di radici cattoliche come il nostro, che al bianco e nero preferisce le sfumature, Putin è però un personaggio tutt’altro che impopolare. Gennaro Sangiuliano, vicedirettore del Tg1, prova a spiegare nel suo Putin, vita di uno Zar (Mondadori, pp. 279, € 18,70) le ragioni per cui l’ex ufficiale del Kgb è uno dei più longevi leader del nostro tempo.
Prendete un George W. Bush, vecchia famiglia dell’aristocrazia del denaro americana, uno che se avesse voluto nella vita avrebbe potuto benissimo spassarsela e basta. Putin è il contrario: padre di Leningrado, eroe invalido di guerra morto presto, la madre donna delle pulizie. Tutto in salita, aiutato solo dalla sua caparbia intelligenza. Sangiuliano racconta la formazione del leader come in un film. Il lettore è accompagnato attraverso la storia della Russia sovietica, dal dopoguerra alla caduta del comunismo, fino ad oggi.
Il libro è attraversato da un innegabile sentimento di simpatia per il presidente russo, anche se l’autore adotta i caveat di rigore per non dispiacere al club del politicamente corretto: «In quindici anni di potere a Putin vengono ascritti successi come la crescita economica e la riappropriazione delle risorse energetiche da parte dello Stato, ma viene contestato uno stile di governo autocratico, lontano da una democrazia liberale. Alla sua gestione del potere vengono anche ricondotti fatti di straordinaria gravità, con responsabilità peraltro mai provate».
Ricomporre gli opposti di un passato doloroso è il grandioso tentativo di Putin. Con le sue parole: «Chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello. Chi non lo rimpiange è senza cuore». L’autore accenna di sfuggita, e non potrebbe fare diversamente in una biografia, al problema politico cruciale che il leader russo ci pone. La nostra idea di democrazia è davvero universale e applicabile alle altre culture?
Il popolo russo non pensa all’europea, le statistiche dicono che nella grande maggioranza i russi vogliono Putin proprio perché li ha salvati, tra l’altro, dall’irruzione selvaggia del mercato al tempo di Eltsin e degli oligarchi. Giulietto Chiesa (citato nel libro) scriveva su La Stampa nel 1999: «Putin con quella sua faccia da impiegato che va ai corsi di judo, ha fatto sentire ai russi che l’Occidente non può tutto». Ciò che da questa parte dell’invisibile muro è percepito come l’aggressività del neo-impero russo, dall’altro lato si chiama assedio occidentale. La crescita delle basi Nato nell’oriente europeo, dopo la caduta dell’Urss, è un dato difficile da negare.
Come i cinesi, i russi rifiutano la globalizzazione della cultura liberale, anche se i modelli che propongono sono per noi poco attraenti, come l’idea un po’ vaga di «democrazia sovrana» elaborata dall’ideologo di Putin Vladislav Surkov.
Il libro di Sangiuliano ha il pregio di risparmiare al lettore il kit ideologico per leggere «correttamente» il suo personaggio: ognuno si farà la sua opinione. D’altra parte, come ha recentemente notato David van Reybrouck (autore del celebrato Congo) nel provocatorio Contro le elezioni, la nostra democrazia esprime sempre più spesso un’unica opinione. Il che è un triste paradosso.





La vita dello zar Vladimir Putin tra poche luci e tante ombre 
NICOLA LOMBARDOZZI Restampa 20 3 201
Sembra facile raccontare Vladimir Putin e i suoi sedici anni alla guida della Russia. Ci si può immergere nel cliché più abusato del Grande Cattivo, mettere insieme tutte le innumerevoli voci, denunce, testimonianze più o meno attendibili che lo vogliono spietato, avido, crudele al limite del sanguinario. O si può andare controcorrente, valutare le tesi difensive, considerarne le indubbie qualità politiche e immaginarne quelle morali. Fare un racconto obiettivo di uno dei protagonisti di questo inizio di millennio è impresa scivolosa. Gennaro Sangiuliano ha certamente sentito queste difficoltà nel realizzare per Mondadori la sua biografia del presidente russo ( Putin, vita di uno zar). Ogni aneddoto, narrato con lo stile da giornalista appassionato di storia, nasconde un’insidia da superare, un pregiudizio da sfatare. L’operazione è ben riuscita. Leggendo Sangiuliano si scoprono tutte le ragioni che mantengono altissima la popolarità di Putin tra i connazionali. Si rivive il caos, l’ingiustizia sociale e il clima da Chicago anni Trenta del periodo eltsiniano con il ruolo ambiguo di certi oligarchi poi epurati e diventati, per torti ricevuti più che per meriti reali, martiri della libertà. Si può scoprire come l’invadenza occidentale abbia influenzato la questione ucraina e la conseguente annessione della Crimea. E soprattutto si scopre forse il merito più grande del Presidente: aver impedito con la fin troppo dura repressione in Cecenia, un primo tentativo degli integralisti islamici di instaurare un Califfato tra Asia ed Europa molti anni prima dell’esplosione dell’Is. Certo, la tesi che Putin sia l’unica alternativa possibile “tra la restaurazione comunista e l’incompetenza dei democratici”, ripresa dal deputato liberal Kovaliov, non basta a giustificare la restrizione delle libertà individuali, la persecuzione degli oppositori, certi atti di forza che non tengono conto delle vittime innocenti e che vanno dai misteri delle stragi di Mosca del ‘99 alle carneficine della Dubrovka. La verità storica ha mille sfaccettature. Ma il libro di Sangiuliano ha il merito di svelarci quelle che un’informazione spesso superficiale, e a volte ideologicamente orientata, tende a nasconderci.

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