lunedì 23 novembre 2015

Una mostra e un documentario su Magnus


Magnus e l'altrove. Favole, Oriente, Leggende




Una grande mostra con 140 tavole originali, disegni, illustrazioni mai viste e documenti inediti, un libro e un film: tutto per ricordare e riscoprire Magnus, nome d’arte del bolognese Roberto Raviola (1939-1996), uno dei più grandi autori del fumetto italiano, nell’imminente ricorrenza del ventennale della morte. L’esposizione Magnus e l’altrove. Favole, Oriente, Leggende, promossa dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e inserita tra gli eventi della nona edizione del festival internazionale di fumetto BilBolBul, sarà inaugurata sabato 21 novembre alle ore 18.30 negli spazi espositivi della Fondazione, in via delle Donzelle 2 a Bologna. La mostra resterà aperta fino al 6 gennaio 2016, l’ingresso è gratuito. Magnus sarà ricordato anche con il libro Magnus prima di Magnus. Gli anni dell’apprendistato di un maestro del fumetto, in uscita per Alessandro editore, e con le immagini del film Ho conosciuto Magnus, diretto e scritto da Paolo “Fiore” Angelini, un progetto ABC Arte Bologna Cultura. Per la realizzazione del libro e del film al sostegno della Fondazione del Monte si è affiancato quello di Hera, a conferma dell’importanza della collaborazione tra importanti realtà del territorio nella produzione e nell’offerta di iniziative culturali di qualità.


"Chi era Magnus?": Bologna, un film racconta il genio del fumettoUn documentario di Paolo Angelini racconta l'artista bolognese Roberto Raviola. Tutte le iniziative per ricordarlo
21 novembre 2015


Così la matita di Magnus fissò l’eterno ritorno dell’Italia dei furbi 
A Bologna una mostra sul fumettista che inventò Kriminal e Alan Ford Nei moralisti anni del boom diede voce all’individualismo anarcoide nazionale 

Massimiliano Panarari Stampa 22 11 2015

Cosa illustravano i fumetti prima che il graphic novel diventasse una sorta di neo-romanzo sociale? Pure in precedenza, in alcuni casi, raccontavano un contesto, una società, un Paese, rendendosi specchio (anche non consapevolmente) oppure anamorfosi del contesto sociale in cui il fumettista operava.
Un bell’esempio di ritrattista (e «facilitatore») dei gusti culturali (e sottoculturali) dell’Italia dei suoi tempi, senza intendimenti à la Zola o alla Verga delle strips, è stato il bolognese Roberto Raviola (1939-1996), in arte Magnus. Che viene omaggiato dalla città natale, alla vigilia del ventennale della scomparsa, con una grande esposizione che annovera 140 tavole originali, disegni, illustrazioni e documenti inediti (nonché un libro e un film): Magnus e l’altrove. Favole, Oriente, Leggende, a cura di Michele Masini e Luca Baldazzi e promossa dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, presso la sua sede in via delle Donzelle 2 a Bologna (fino al 6 gennaio 2016). 
Il cannocchiale è puntato sul Raviola un po’ meno conosciuto, quello che percorre le lande del fantastico; ma anche attraverso questa parte della sua produzione la mostra restituisce in maniera chiara l’idea di Magnus come testimonial dell’Italia in trasformazione, fumettista nel senso più puro, «pieno» e totale del termine – perché con le sue storie non siamo dalle parti degli oggi imprescindibili «romanzi grafici» –, che ha trasfuso nelle strisce i sentimenti e le pulsioni di tre decenni della storia recente. Le nuvolette di Raviola hanno accompagnato gli anni del post-boom economico e la voglia di correre ed emanciparsi del Paese, riportando sempre un certo, inequivocabile, «carattere nazionale» per il quale la libertà si fa spirito anarcoide e individualismo sfrenato, con il condimento dei genetici basic istincts e «spiriti animali». Magnus è stato infatti il caposcuola del fumetto cattivista e per adulti in un’Italia che si stava fratturando tra la maggioranza silenziosa democristiana e «perbene» e la larga minoranza percorsa da fremiti ribellistici a tutto campo, che poteva trovare anche nelle sue storie e nei suoi proteiformi personaggi altrettanti megafoni e «sintomi». 
Il disegnatore se ne è fatto portavoce in una chiave che nulla aveva a che fare con la politica, la modalità abituale di quel periodo, trasfondendo nei protagonisti dei suoi albi – e plasmando così un pezzo di immaginario generazionale – l’altro filone sociale (e psicologico), prima carsico e poi dirompente, che contribuirà a fare in tutto e per tutto anche di quella italiana, di lì a pochi anni, una performing society. Vale a dire la soggettività e la rivendicazione dell’autorealizzazione, innanzitutto nella propria sfera privata (quella che porterà anche, con i relativi sconvolgimenti e scontri all’interno dell’opinione pubblica, al divorzio e all’aborto). 
Le tensioni, le voglie e le inquietudini di individui che stavano diventando, anche in un Paese dominato dal buon costume e dal senso comune del pudore, delle «macchine desideranti» si riflettevano nei protagonisti dei suoi fumetti neri, come Kriminal e la «versione al femminile» Satanik, non per nulla più volte sequestrati dalle autorità. Questi personaggi, col loro criminale anarcoindividualismo, peccavano a volte di gusto, ma incarnavano per l’appunto un vitalismo «contro» (il perbenismo) e un anticonformismo che si contaminavano con una cultura pop diffusa che premiava col successo di pubblico lo scabroso, il pruriginoso e l’erotismo soft o direttamente hard-core (tipici dei fumetti pocket «da edicola»). A cui Magnus, nella sua poliedrica attività e nella frequentazione di tantissimi generi (dalla spy-story alla fantascienza, dal giallo al comico, fino al pornosplatter di Necron), ha appunto sempre apertamente occhieggiato aggiungendoci quel pizzico (o quella dose massiccia) di grottesco che ha rappresentato la sua cifra distintiva.
Figlio idealtipico degli Anni Sessanta e Settanta all’italiana – ancora, da impolitico puro – è il giovane e squattrinato grafico pubblicitario (una nuova professione nell’economia in via di terziarizzazione dell’epoca) Alan Ford, che fece la sua comparsa nel maggio del 1969 per unirsi alle gesta dello scalcagnatissimo servizio segreto Gruppo Tnt. E che dire dell’antieroe Superciuk, uno che «ruba ai poveri per dare ai ricchi» effettuando un travaso di risorse che rovescia sarcasticamente il «modello Robin Hood»? 
Perché nella satira «sociale» pulp di Magnus non esistono, de facto, buoni, ma quasi sempre e solo cattivi (o, al più, ingenui). Specchio esemplare di un’Italia eterna che, dietro l’artificioso principio del volemose bene, è cinica e senza vergogna, e sulla quale sta calando l’ombra di un potere furbo, irresponsabile e anch’esso sempiterno che da premoderno si fa ormai postmoderno, mentre la sua anima pudica e timorata di Dio si va dissolvendo. E, allora, sembra dirci con tante altre sue storie Magnus, non resta che ricercare la via di fuga dell’altrove tra un Oriente favolistico e i pianeti extraterrestri...
@MPanarari 

Nessun commento: