giovedì 17 dicembre 2015
Cent'anni di Malinowski
Cent’anni fa l’antropologo Malinowski scoprì una società aborigena fondata sulla generosità
Quando il dono diventò la base dell’economia
di Marino Niola Repubblica 17.12.15
L’ANTROPOLOGO Bronislaw Malinowski (1884- 1942) pubblicò il saggio Le isole Trobriand nel 1915 e nel 1922 La pubblicazione dello studio del 1915 ispirò le teorie contemporanee
dell’antiutilitarismo Per i trobriandesi ogni passaggio di mano in mano
caricava il regalo fatto di prestigio
Chi fa regali alla fine ci guadagna sempre. E non solo in gratitudine.
Perché il dono è un investimento sul futuro. Un contratto a lungo
termine. E a insegnarcelo non è stato nessun guru dell’economia ma gli
aborigeni delle isole Trobriand, che del dare a piene mani hanno fatto
un’arte della convivenza, nonché la base della loro dottrina politica.
Anticipando, e di fatto ispirando, le teorie contemporanee del
convivialismo e dell’antiutilitarismo. A scoprire i segreti di questa
economia della generosità è stato, giusto un secolo fa, Bronislaw
Malinowski, il celebre antropologo polacco, professore alla London
School of Economics. Che, per uno scherzo del destino, si trovava in
Australia per studiare gli
aborigeni, quando scoppiò la prima guerra mondiale. Come suddito
dell’impero austroungarico, e quindi cittadino di un paese nemico, gli
sarebbe toccato l’internamento in un campo. Ma il giovane Bronislaw
riuscì a convincere le autorità australiane a confinarlo nell’arcipelago
delle Trobriand, oggi isole Kiriwina, dal quale non c’era pericolo che
fuggisse. Ma in compenso avrebbe potuto continuare le sue ricerche sugli
usi e costumi delle tribù di questi atolli corallini che si trovano nel
Pacifico occidentale, tra la Nuova Guinea e le isole Salomone.
Il 1915 fu un annus horribilis per l’Europa, ma per l’antropologia fu un
anno fortunato. Perché appena mise piede su quelle spiagge, dove il
vento mormora tra le palme, Malinowski fu subito colpito da un’usanza
che ai suoi occhi di occidentale nutrito di economia politica, sembrava
priva di qualsiasi logica. Gli indigeni affrontavano traversate
oceaniche lunghissime e piene di pericoli a bordo delle loro piroghe per
portare doni agli abitanti di isole lontane. Una generosità
incomprensibile e un coraggio ai limiti dell’incoscienza, visto che a
viaggiare su quelle acque tempestose e infestate di squali era una
bigiotteria senza valore. Collane e braccialetti di conchiglia. Cose
futili e non beni necessari. E, come se non bastasse, questi monili da
poveri venivano regolarmente rigirati da coloro che li avevano ricevuti
agli abitanti dell’isola più vicina. Che a loro volta li indossavano un
po’ di tempo per farsi belli e poi prendevano il mare per andare a farne
omaggio agli abitanti di altre terre. Creando così un circuito di
scambi che chiamavano kula. Apparentemente un circolo vizioso per cui il
cadeau, prima o poi, finiva per tornare nelle mani del primo
proprietario. Un po’ come certi regali, riciclati di Natale in Natale,
che alla fine tornano al mittente come un boomerang. Ma per i
Trobriandesi questa sorta di sbolognamento sistematico era un valore
aggiunto. Perché ogni passaggio di mano in mano caricava il dono di
prestigio. Per dirla con parole nostre, ne impreziosiva il pedigree. Che
stava in buona parte in un plusvalore relazionale. Come certi diamanti
leggendari di cui si sciorina sistematicamente la cronologia di coloro
che li hanno posseduti.
Il caso trobriandese, raccontato da Malinowski nel suo capolavoro Gli
argonauti del Pacifico occidentale, divenne subito un rompicapo per gli
economisti che non riuscivano a trovare senso in un comportamento tanto
irrazionale. Così alla fine molti esponenti di questa scienza che noi
moderni ci ostiniamo a ritenere esatta – e che i Greci, con maggior
prudenza, definivano semplicemente “governo della casa” (da oikos
abitazione e nomia regola) – conclusero che si trattava di
un’assurdità. Un comportamento da tribù primitiva, economicamente
immatura che, incapace di calcolare costi e benefici, sprecava il tempo a
fare regali, per di più senza guadagnarci nulla. Ma l’imperturbabile
polacco non fece una piega e restituì colpo su colpo, sbattendo in
faccia agli scettici la soluzione del rebus, l’algoritmo segreto che
governava quella strana giostra di regali e regalini. In realtà la
ragione di quella fatica, apparentemente inutile, non stava nel valore
d’uso degli oggetti, bensì nel loro valore di scambio. Che si fondava
soprattutto sulle alleanze e partnership prodotte da quel circuito di
reciprocità. Il dono insomma funzionava come un contratto sociale,
facendo di tante popolazioni straniere, lontane e potenzialmente
nemiche, un vero e proprio sistema. Ordinato e coordinato. Una
federazione che metteva in moto una rete di relazioni sovralocale. Dalla
quale non si usciva mai. Infatti i Trobriandesi dicevano con orgoglio
che «l’appartenenza al kula è per sempre».
Questa sorta di mercato globale primitivo era insomma capace di
connettere genti e paesi separati da migliaia chilometri di mare, a
dispetto dei loro fragili mezzi. Basti pensare che nelle capanne dei
cacciatori di teste della Nuova Guinea indonesiana e delle isole
Molucche sono state trovate preziose porcellane cinesi d’epoca Ming.
Insomma lo scambio di doni era una pensata geniale per fare uscire
quelle isole dal loro isolamento e farne un solo grande arcipelago.
Il che in fondo vale anche per noi, utilitaristi disincantati, quelli
che “nessuno ti regala niente per niente”. E si vede chiaramente in
momenti come il Natale. Con la sua girandola di doni e controdoni, che
non a caso gli americani chiamano
big swap, il grande scambio. Un circuito cerimoniale che tiene in
equilibrio reciprocità e gratuità, generosità e socialità, obbligo e
piacere. Col risultato di riaffermare il principio dell’utile, ma
proiettandolo su un piano più generale, e soprattutto meno egocentrico.
Perché quel che regaliamo oggi ci verrà restituito in qualche modo con
gli interessi. E non necessariamente da chi ha ricevuto. Come dire che
il dono è la forma più sottilmente disinteressata del profitto, perché è
l’origine stessa del legame sociale, il gesto primario, incondizionato e
gratuito che fa uscire l’individuo da se stesso e lo lega agli altri in
una rete che assicura scambio protezione, solidarietà. E di conseguenza
anche guadagno. Non è un caso che le religioni nascano tutte da un dono
fatto al dio. E che il dio ricambia. Ecco perché, perfino il nostro
Natale consumistico, continua ad essere animato da quell’energia
collettiva messa in moto dallo spirito del dono. Che anche se per pochi
giorni all’anno, fa di quelle isole che noi siamo un solo arcipelago.
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1 commento:
Ci andò anche Wilhelm Reich, il miglior allievo di Freud. Forse ne parlò addirittura con Einstein, con cui si vide per un anno. Però Einstein lo lasciò solo. Reich fu con ogni probabilità ucciso, due giorni prima di essere scarcerato, per i suoi studi sull'orgone, vietati dalla FDA.
Poi gli Stati Uniti sulle isole posero una delle basi militari più importanti, per cancellare ogni traccia di quella civiltà.
Cosa si può fare? Questa è la volontà del potere. È un mondo così. Amen.
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