Settant’anni dopo siamo pronti a leggere il Mein Kampf?
mercoledì 16 dicembre 2015
In preparazione l'edizione critica del Mein Kampf
Lo storico Nolte: tra «Mein Kampf» e islamismo
Settant’anni dopo siamo pronti a leggere il Mein Kampf?
Luigi Iannone il Giornale - Sab, 09/01/2016
Settant’anni dopo siamo pronti a leggere il Mein Kampf?
Umberto Gentiloni Stampa 16 12 2015
Si può vietare la pubblicazione di un libro per tutelare valori e consuetudini? E chi ha il potere di deciderlo e di controllarne la diffusione? Possiamo ancora porre vincoli e barriere nel tempo della rete quando tutto è rintracciabile, alla portata di un motore di ricerca? Interrogativi che sembrerebbero futili se il libro in questione non fosse il concentrato del pensiero e della piattaforma politica di Adolf Hitler. Il Mein Kampf (a cui è dedicato il nuovo numero di Origami da domani in edicola, mentre in Germania gli storici preparano la prima edizione critica) è un oggetto che incute timore, il suo impatto va ben al di là di pagine sconclusionate ricche di propaganda nazista disarticolata e confusa. Sappiamo che ha avuto un peso nella costruzione di una terribile realtà politica, ha contribuito a rafforzarne lo spessore e la capacità attrattiva, ha avuto una storia e un itinerario editoriale simile alla traiettoria del regime di cui ambiva a cantare le lodi e narrare le gesta.
Hitler lo scrive mentre è in prigione a Lansberg, recluso in quella che con sprezzo definirà «un’università a spese dello Stato». Sembra che altri detenuti gli suggerirono di iniziare a scrivere le sue memorie per tentare di contenere i suoi monologhi logorroici, porre un freno a quel fiume incessante e insensato di parole. Vane illusioni. Hitler leggeva o meglio recitava ad alta voce i brani che riusciva a mettere sulla carta. Il titolo provvisorio suona come un manifesto d’intenti: «Quattro anni e mezzo di lotta contro menzogne, stupidità e codardia», poi la scelta definitiva mentre detta pensieri sparsi al suo autista Emil Maurice.
Errori e ripetizioni
Il primo volume – esce nel luglio 1925 – tiene l’impronta autobiografica in uno strano connubio tra sfondoni e riferimenti di vario genere conclusi dal ridondante richiamo al programma del partito. La seconda parte viene concepita dopo la scarcerazione – pubblicata nel ’26 – ed è incentrata sui caratteri della proposta politica emergente: ideologia di riferimento, propaganda come necessità strategica, richiami alla centralità della politica estera o meglio della proiezione internazionale del suo disegno aggressivo.
I biografi di Hitler da tempo hanno ricostruito che in molti misero le mani sul manoscritto per renderlo leggibile e presentabile, depurandolo tra l’altro da errori grammaticali e ripetizioni ricorrenti. L’autore stesso non mancò di ridimensionarne la natura fino a condurla a un insieme di articoli o contributi sporadici. E tuttavia quelle pagine contribuirono a incendiare l’Europa negli anni tra le due guerre.
Bestseller per forza
L’esordio fu tutt’altro che un successo. La casa editrice del partito (Franz Eher-Verlag) lo mise in circolazione con un prezzo impegnativo, 12 marchi. Nel 1929 il primo volume aveva venduto 23 mila copie, mentre il secondo aveva raggiunto le 13 mila. Un punto di partenza che s’intreccia con il percorso dei successi del partito, con l’ampliamento dei consensi e dei potenziali sostenitori. Tra il 1930 e il 1932 le copie diventano 80 mila. Con la presa del potere, l’anno successivo viene superato il milione e mezzo di copie. Una marcia inarrestabile: dal 1936 viene predisposta la versione braille per i non vedenti e ogni coppia di sposi riceve in dono un volume in versione rilegata. Nel tornante conclusivo della Seconda guerra mondiale le tirature e le vendite avevano superato i 10 milioni, senza contare la diffusione all’estero grazie alle 16 lingue in cui venne tradotto. Un potente strumento di diffusione e soprattutto di identificazione collettiva nel pensiero (per quanto caotico e delirante) di un uomo solo che al comando avrebbe risollevato le sorti della Germania tracciando un nuovo cammino per il genere umano.
Il nucleo delle idee portanti è noto: la razza come chiave di lettura delle stratificazioni sociali, lo spazio vitale orizzonte e frontiera di ogni conquista necessaria, la violenza del più forte esercizio di identità rinnovate, la dittatura come approdo di un progetto di trasformazione. Il significato del libro nel dibattito tra gli studiosi ha oscillato tra due estremi: una piattaforma ideologica che contiene le premesse dell’ascesa successiva o al contrario uno scritto marginale che non merita particolari attenzioni.
Le ragioni della storia
Ecco le origini delle paure, i timori che la pubblicazione di un testo del genere possa offrire spunti a chi è in cerca di legittimazioni o pericolose scorciatoie. Ma attenzione, il tema non è certo quello di riaprire dopo decenni un confronto di merito sul nazismo, né può essere confuso con le prerogative della libertà di espressione, del pluralismo delle idee. Un’edizione critica di duemila pagine, con 3.700 note, dopo tre anni di lavoro nel quadro di un prestigioso istituto storico (quello di Monaco di Baviera) si basa sulla scelta di contestualizzare storicamente: distruggere il mito e le sue tracce rafforzando le ragioni della storia quindi la sfida e gli strumenti per una consapevole comprensione del passato. Non è poco.
Mein Kampf così cade in Germania l’ultimo tabù
Comparirà un’edizione critica che evidenzia l’uso strumentale di luoghi comuni e falsità A
70 anni dalla morte di Hitler scadono i diritti del manifesto del Terzo
Reich detenuti dalla Baviera. Non fu mai pubblicato, ora cambia tuttodi Angelo Bolaffi Repubblica 17.12.15
IL prossimo gennaio uscirà nelle librerie tedesche l’edizione
storico-critica del “Mein Kampf” di Adolf Hitler: cade così in Germania
anche l’ultimo tabù. Ma la decisione presa dall’Institut für
Zeitgeschichte di Monaco molto difficile e controversa è anche saggia e
lungimirante. Il 31 dicembre di quest’anno, infatti, trascorsi
settant’anni dalla morte del Führer e novant’anni dalla prima edizione
scadranno i diritti d’autore del Manifesto ideologico del III Reich. Nel
‘45 dopo la capitolazione tedesca gli Alleati avevano assegnato per
competenza al Land della Baviera, che ne vietò la riedizione, la
custodia dei diritti del “Mein Kampf”. E questo per due ragioni: Monaco
era stata la
città culla del movimento nazista e in essa Hitler aveva scelto di avere
la sua residenza e continuò a mantenerla anche dopo essere stato
nominato a Berlino Cancelliere del Reich. E poi perché a Monaco nel 1925
per i tipi dell’editore Franz Eher legato al movimento nazista, era
apparso con il titolo Una resa dei conti il primo volume dell’opera.
Hitler l’aveva scritto durante la sua detenzione nel carcere di
Landsberg mentre scontava la condanna (per la verità molto mite) dopo il
fallito putsch del Novembre del 1923. A questo primo volume di
carattere prevalentemente autobiografico contenente le descrizioni degli
anni dell’infanzia e della gioventù nella nativa Braunau, di quelli
bohèmien vissuti in miseria a Vienna e delle traumatiche esperienze
nella Prima guerra mondiale, fece seguito, tra la fine del 1926 e
l’inizio del 1927, sempre per lo stesso editore, il secondo intitolato
Il Movimento nazionalsocialista: quello più propriamente programmatico.
Benché Hitler fosse allora uno dei tanti esponenti dell’estrema destra
nazionalista che odiava Weimar, la democrazia e gli ebrei nel segno
della rinascita della “vera Germania” ed era noto solo come acceso
comiziante e pittore fallito, Mein Kampf fu subito un best seller. E
questo nonostante le feroci stroncature dei critici: un libro «noioso,
confuso, scritto male e fumoso» lo definì Andreas Andernach nel saggio
del 1932 intitolato Hitler ohne Maske . E un altro recensore parlò di
«un guazzabuglio di frasi costruite male oppure sbagliate dal punto di
vista grammaticale che non ha alcun valore intellettuale ». Ma i
recensori e con loro quasi tutta la classe politica e intellettuale
della Germania weimariana si sbagliarono clamorosamente. Commisero un
gravissimo errore di sottovalutazione sulla pericolosità del personaggio
(«la storia di Hitler» secondo il grande studioso Karl Dieter Bracher
«è una ben nota storia di sottovalutazione»). E soprattutto non colsero
la luciferina determinazione e la radicalità programmatica dello
scritto: «nella storia raramente o forse mai un dittatore» così lo
storico Eberhard Jäckel «ha con tanta precisione messo per iscritto
prima di arrivare al potere quello che poi ha veramente fatto».
Della prima edizione del Mein Kampf vennero tirate e vendute 10mila
copie che diventarono più di 200mila alla fine del gennaio del 1933
quando i nazisti andarono al potere. Tra il 1933 e il 1945 del Mein
Kampf fu pubblicata una serie infinita di edizioni. Di quella in
versione popolare veniva regalata una copia agli sposi all’atto delle
nozze. Quella di lusso in pelle bianca e incisioni d’oro era destinata
ai Gauleiter e agli altri gerarchi del regime. Quando il III Reich fu
sconfitto e per la Germania fu ”l’ora zero” del
Mein Kampf risultarono venduti oltre 12 milioni di esemplari che avevano
fruttato a Hitler 15 milioni di Reichsmark. 8 dei quali vennero
scoperti in una banca e poi confiscati dagli Alleati. Ovviamente
nonostante il divieto di pubblicazione in vigore in Germania, il Mein
Kampf ha continuato negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale a
essere reperibile e letto. Nell’area di lingua tedesca era possibile
acquistare nelle librerie d’antiquariato una delle copie di cui dopo la
fine della guerra ci si era volentieri sbarazzati. Nel mondo circolavano
edizioni in molte lingue. In Francia le Novelles Editions Latines sin
dal 1934 avevano in catalogo una versione non autorizzata della quale
ogni anno sono state e ancora vengono vendute alcune centinaia di copie.
In India ne circolano addirittura diverse versioni. L’editore americano
Random House si è sin dagli anni Trenta assicurato i diritti per
l’edizione inglese devolvendo per la verità in beneficienza i proventi
delle vendite. Perfino in Israele circola sia pure in forma molto
limitata e a fini di studio una versione ebraica del Mein Kampf. Oggi
poi da internet è possibile scaricare il testo tradotto in quasi tutte
le lingue del mondo.
E allora qual è il problema? È esattamente quello a cui si intende dar risposta con questa edizione critica del Mein Kampf.
Intanto dimostrare che una solida democrazia consapevole della propria
forza non ha e non deve avere paura di un libro, neppure del Mein Kampf,
se sa criticamente discuterne. Questa pubblicazione, inoltre, vuole
essere un ennesimo contributo alla rielaborazione in Germania di un
«passato che non deve e non può passare». La risposta alle sfide del
presente nel segno dell’illuminismo e della difesa dei valori
liberal-democratici dell’Occidente. Un ulteriore capitolo, dunque, di
grande significato simbolico, di quella “resa dei conti” con la propria
storia che costituisce il vero segreto della odierna forza “egemonica”
della Germania post- tedesca.
Come? Decostruendo criticamente il testo hitleriano ( l’edizione consta
di due volumi di 2000 pagine, oltre il doppio dell’originale, corredate
da ben 3700 note e commenti) per metterne in luce le falsità
ideologiche, le mezze verità, le genealogie razziste di un social
darwinismo allora molto in voga e di un niccianesimo pervertito e
caricaturale, l’uso demagogicamente strumentale di luoghi comuni come il
cosiddetto “spazio vitale”. O l’utilizzo a scopi manipolatori di vere e
proprie menzogne. Prima fra tutte quella dei cosiddetti Protocolli di
Sion. Ma il senso forse più rilevante di questa che è stata una vera e
propria impresa editoriale costata anni di lavoro e di ricerca ad un
team di storici non è , si badi bene, solo quello, pur nobile, di un
archeologico ristabilimento della verità. Ma di offrire uno strumento
utilizzabile anche pedagogicamente e per questo capace di avere
conseguenze politiche nel presente. Infatti l’arrivo in Germania di
centinaia di migliaia di profughi provenienti dal mondo arabo (ma il
discorso vale per tutta l’Europa) da una realtà culturale in cui in nome
della cosiddetta lotta contro il “nemico sionista” la propaganda
antisemita, compresa anche la lettura di testi nazisti, è componente
fondamentale dell’ideologia dominante e, purtroppo, anche della
formazione delle giovani generazioni, potrebbe avere un impatto
culturale e politico dalle conseguenze imprevedibili. Soprattutto in
Germania un paese in cui la coscienza storica della catastrofe della
Shoà rappresenta, per usare le parole di Joschka Fischer, il fondamento
della costituzione spirituale della nazione.
Questa pubblicazione, non a caso fortemente appoggiata dalla comunità
ebraica tedesca preoccupata dalla possibile rinascita di un “senso
comune antisemita”, vuole essere, dunque, uno strumento pratico, una
fonte di informazioni e di argomenti di cui potranno servirsi coloro che
avranno il difficile compito di favorire non solo dal punto di vista
materiale ma anche da quello spirituale e culturale l’integrazione nella
società tedesca dei nuovi “ospiti” provenienti dall’altra sponda del
Mediterraneo. Inoltre potrà e dovrà funzionare da antidoto anche nei
confronti del razzismo neonazista che usando strumentalmente l’argomento
della difesa dell’identità tedesca sta cercando, soprattutto in alcune
realtà della ex Germania Orientale, di organizzarsi nel segno della
xenofobia. Certo, come ha scritto Sven Felix Kellerhoff, un autore che
per anni ha studiato il testo hitleriano, quella del Mein Kampf è «una
lettura che fa male, mostruosa, molto ma molto perturbante». E tuttavia
ha concluso «fare luce » perché questo significa illuminismo «è sempre
meglio che tacere o nascondere».
Il ritorno del libro maledetto che spaventa la Germania
Da quest’anno il volume autobiografico di Adolf Hitler può essere ripubblicato. E rappresenta una sfida per i tedeschi e la democrazia
5 gen 2016 Libero ADRIANO SCIANCA
Sembra una scena di Lui è tornato, romanzo (da poco diventato film) dello scrittore tedesco Timur Vermes, edito in Italia da Bompiani. Il «Lui» del titolo è Adolf Hitler, risvegliatosi come per miracolo nella Germania di oggi fra l’incredulità generale e una serie di equivoci tragicomici. Sembra di vederlo, quindi, l’Hitler redivivo, entrare in una scuola tedesca e scorgere su ogni banco il suo Mein Kampf, il suo testo biografico e dottrinario scritto in carcere nel 1924: caspita che vittoria postuma! Ma per tutto c’è una spiegazione e sul revival della Bibbia del nazionalsocialismo c’entrano prosaiche questioni di copyright più che improbabili ritorni di fiamma dell’ideologia crociuncinata. Il 2015 ha infatti segnato il settantennale della fine della guerra. Ma 70 sono anche gli anni che, secondo le principali leggi sul diritto d’autore vigenti in Europa, devono trascorrere dalla morte di un autore affinché i suoi libri diventino liberamente pubblicabili. Una condizione che accomuna, in una amara ironia della storia, Anna Frank e Adolf Hitler. Il Diario della ragazzina ebrea morta a Bergen Belsen ha già suscitato una guerra di diritti, con l’Anne Frank Fonds che intende procrastinare la fine del copyright al 2050 dopo aver reso il padre Otto «co-autore», non senza aspre polemiche.
Il caso Hitler pone invece tutta un’altra serie di interrogativi. Anche in questo caso i diritti sono scaduti il 31 dicembre 2015: dopo la guerra gli Alleati li avevano ceduti al Land della Baviera, che per 70 anni ha negato le autorizzazioni alla pubblicazione. Ora tutto questo potrebbe cambiare. Il Mein Kampf su tutte le bancarelle? Per molti, a Berlino e dintorni, è un incubo che diventa realtà. Ecco allora l’edizione «sotto vigilanza»: 4000 copie corredate da 5000 note preparate da un pool di storici coordinati dall’Istituto di Storia Contemporanea di Monaco di Baviera. Il testo dovrebbe finire nelle scuole, per essere letto e commentato da alunni e professori, finalmente in grado di affrontare questo complesso periodo storico con materiale di prima mano. Ma per molti ancora non basta. Le comunità ebraiche temono che i tedeschi non siano ancora pronti. L’associazione degli insegnanti si è invece detta favorevole.
Dibattito piuttosto astruso, ad occhi italiani. Da noi, infatti, il Mein Kampf è sempre stato in vendita senza che la cosa creasse particolari turbamenti. Basta aprire Amazon e c’è l’imbarazzo della scelta: dalla famosa e vistosa copia con svastica in copertina che fa bella mostra di sé in tutte le bancarelle alla recente ristampa delle Edizioni di Ar, dalle edizioni Clandestine alla versione critica pubblicata per Kaos e curata da Giorgio Galli. Certo, i grandi editori hanno preferito non affrontare la sfida impegnativa, ma in fondo la questione di un esplicito divieto non si è mai davvero posta. Gli italiani sono diventati più nazisti grazie al fatto di avere un mercato editoriale privo di condizionamenti e censure esplicite? Non sembra davvero e lo stesso si può dire di gran parte dei Paesi occidentali, dove il saggio di Hitler è sempre stato liberamente acquistabile.
In Germania, però, ciò che è accaduto tra il 1933 e il 1945 genera ancora una serie di complessi difficilmente comprensibili altrove (tant’è che c’è voluta la sfida dei diritti scaduti per porre la questione di una ripubblicazione del testo hitleriano, altrimenti non se ne sarebbe parlato ancora per un bel pezzo). Sulla vicenda, del resto, pende un po’ un dilemma alla Nanni Moretti: il Mein Kampf lo si nota di più se lo si vende o se lo si proibisce? Ciò che è vietato genera da sempre attrazione morbosa. E tutti gli specialisti giurano che nel libro ci sia solo un’accozzaglia indigeribile di ossessioni razziste: quale migliore occasione, allora, per mostrare il male in tutta la sua banalità e ripugnanza? Il costante timore nei confronti della contaminazione del popolo tedesco tramite semplice contatto con le testimonianze nazionalsocialiste genera il sospetto che i famosi «anticorpi democratici» non siano poi così sviluppati. Si pensi solo alla vicenda della tomba di colui a cui il Mein Kampf fu dettato, quel Rudolf Hess il cui luogo di sepoltura fu fatto saltare in aria per evitare l’annuale pellegrinaggio dei simpatizzanti (in Italia la sorte della salma di Priebke resta un mistero, in compenso).
Davvero si ritiene di poter mantenere la coscienza democratica di un popolo vietando i libri e buttando giù le lapidi? La necessità di questa pressione perenne sembra paradossalmente confermare il vecchio luogo comune, riemerso ultimamente nel partito anti-Merkel, di un’intrinseca natura nazistoide del popolo tedesco in quanto tale, natura da tenere a bada con metodi polizieschi fino alla fine dei tempi. E anche di questa storia dei tedeschi come eterni nazisti, in fondo, proprio «Lui» potrebbe sorridere soddisfatto, se davvero tornasse.
Studiarlo serve a capire non solo il meccanismo ideologico che portò al genocidio degli ebrei Ma anche la minaccia dei genocidi nel mondo contemporaneo dal Ruanda alla Cambogia
Neil Gregor “Bisogna leggere il Mein Kampf per disarmarlo”
Da
ieri il manifesto di Hitler è nelle librerie tedesche in edizione
critica e autorizzata. Con quali rischi? Parla Neil Gregor, uno dei
massimi esperti mondiali di storia del nazismo
intervista di Enrico Franceschini Repubblica 9.1.16
LONDRA
«Era giusto proibire il libro di Hitler nel 1945, ma oggi la Germania
fa bene a pubblicarlo, perché possa essere studiato, per capire ancora
meglio come nacque il genocidio degli ebrei durante il nazismo e per
mettere in guardia contro i genocidi del presente». Neil Gregor, docente
di storia all’università di Southampton, uno dei più grandi studiosi al
mondo del Terzo Reich, guarda cadere l’ultimo tabù della Germania.
Ieri, per la prima volta dal 1945, è tornato nelle librerie tedesche il
“Mein Kampf”: edizione critica di due volumi, duemila pagine, un
apparato di note e commenti monumentale, curato dal team dello storico
Christian Hartmann dell’Istituto di Storia Contemporanea di Monaco di
Baviera.
Sono passati settant’anni dalla
morte del Führer, novanta dalla prima edizione e appena sette giorni
dalla scadenza dei diritti d’autore. Non è stata una sorpresa, ma vedere
l’opera in vetrina dopo che per tutti questi anni il Land della Baviera
ne aveva vietata la riedizione, è stato uno choc. A Monaco soprattutto,
la città culla del movimento nazista, dove Hitler aveva scelto di avere
la sua residenza e dove nel 1925 per i tipi dell’editore Franz Eher,
era apparso con il titolo Una resa dei conti il primo volume dell’opera.
Eppure l’interesse è stato tale da arrivare già ieri a 15mila ordini,
4mila in più della tiratura iniziale. Un successo di copie che sembra
dar ragione agli editori.
Cosa pensa della pubblicazione del “Mein Kampf”, professor Gregor?
«Non
penso che la Germania avesse molta scelta. Ritengo comunque che
pubblicarlo sia stata la decisione giusta, per le ragioni che gli
editori hanno anticipato da tempo, a cominciare dal fatto che il libro
era disponibile comunque online a chiunque volesse leggerlo, per finire
con il fatto che è passato molto tempo, la Germania è cambiata ed è
comunque giusto potere studiare anche un testo simile per comprendere la
storia del passato e i rischi del futuro».
Nel
saggio “How to read Hitler” lei ha analizzato non solo gli argomenti,
ma anche la lingua e la forma del “Main Kampf”. Siamo sicuri che non ci
siano problemi a leggere oggi il Führer?
«Non
credo. La Germania oggi è probabilmente la democrazia più stabile
d’Europa. È inoltre un paese che ha ragionato a lungo sul proprio
passato nazista, lo ha digerito con grande attenzione ed è consapevole
di che cosa significa come retaggio storico e culturale. Il Mein Kampf è
un esempio del retaggio del Terzo Reich, non differente da altri testi e
manifestazioni politiche, artistiche, culturali di quel periodo che
vanno egualmente analizzate».
Quale potrà essere la reazione dei circoli di estrema destra e filo-nazisti, in Germania e nel resto d’Europa?
«È
vero che esistono gruppi di questo genere nella Germania odierna, come
del resto ne esistono in Gran Bretagna, Italia e altri paesi del nostro
continente. Ma è altrettanto vero che si muovono in una prospettiva
differente rispetto al nazismo del Terzo Reich e alle idee propagate dal
libro di Hitler. Sono gruppi anti- profughi, anti-immigrati, più
concentrati sull’islamofobia che sull’antisemitismo, ben diversi dai
predecessori ai quali si rifanno, seppure anch’essi pericolosi e da
emarginare con fermezza. Il danno che possono fare relativamente alla
pubblicazione del libro di Hitler, tuttavia, dovrebbe essere marginale,
non mi aspetto che possa diventare la miccia di un risorgere del
nazismo, con vecchi o nuovi slogan».
Andreas
Wirsching, direttore dell’istituto che ha curato l’edizione, ha detto
che questo lavoro «smaschera le informazioni false diffuse da Hitler, le
sue bugie e rende riconoscibili tutte le mezze verità finalizzate agli
effetti propagandistici»...
«Conosco il
lavoro che è stato fatto dagli editori: hanno fornito nelle note i nomi,
le date, il contesto storico, necessari a inquadrare il testo e a
capirne meglio il significato. Un lavoro ben fatto, che mira per così
dire a detossificare il libro, a dimostrare quanto folli, orribili e
sbagliate fossero le tesi dell’autore».
Le
opere di Mao, Stalin, Lenin, sono sempre state pubblicate senza
suscitare polemiche, sebbene oggi quei leader siano giudicati dalla
storia come dei dittatori sanguinari.
Perché il “Mein Kampf” andrebbe considerato diversamente?
«La
mia risposta è che in effetti il Mein Kampf non dovrebbe essere
considerato diversamente. La differenza è che, dopo la morte di Hitler e
la fine della Germania nazista, la nuova Germania democratica mise al
bando quel testo per dare un messaggio simbolico di condanna totale del
passato, un segno di rottura, mentre i libri di Lenin, Stalin, Mao
continuavano a venire pubblicati, in Russia, Cina o in Europa orientale,
con il sostegno di governi o regimi che non avevano preso le distanze
da essi. La mia opinione è che la Germania fece bene a vietare il Mein
Kampf nel 1945, ma oggi viviamo in un’epoca differente. Pubblicare le
opere di un tiranno non vuol dire condividere le sue idee, vuol dire
soltanto che è possibile studiarlo».
Come si studierebbero Napoleone, Genkis Khan, Giulio Cesare?
«Sì,
ma Napoleone o Cesare non concepirono il genocidio di massa di un
popolo. La ragione per studiare Hitler e il suo libro è diversa: serve a
capire non solo il meccanismo ideologico che portò la Germania nazista
verso il genocidio degli ebrei, ma anche a comprendere la minaccia del
genocidio nel mondo contemporaneo, una minaccia che, dal Ruanda alla
Cambogia al Darfur, purtroppo non è scomparsa».
Crede che in Israele la pubblicazione del ‘Mein Kampf” da parte della Germania verrà presa con maggiore ansia?
«Probabilmente
sì e per ragioni interamente comprensibili. Molti cittadini di Israele
hanno perso la propria famiglia nell’Olocausto ed è legittimo che
guardino ancora con preoccupazione al risveglio di un simile orrore in
qualunque forma. Ma penso che anche molti israeliani concordino che, a
distanza di settant’anni, è un fenomeno da studiare per capire appunto
come si è sviluppato. E inoltre Israele sa che la Germania, proprio per
quello che fece Hitler agli ebrei, è oggi il suo miglior amico e
sostenitore in Europa».
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