sabato 19 dicembre 2015

Le forze populiste sanno già di Ottocento


Cercas: “Nuovi politici? Cercano solo il potere”

“Non ci sarà nessun cambio: Podemos e Ciudadanos prodotti della partitocrazia”
intervista di Paola Del Vecchio La Stampa 19.12.15
«Non ci sarà nessun cambio storico. È possibile che il bipartitismo imperfetto possa tramontare, ma è tutto da vedere. E vedremo quanto durano Ciudadanos e Podemos, che si propongono come alternativa ai vecchi Pp e Psoe». In controtendenza con il clima generale di grande aspettativa, lo scrittore Javier Cercas si dichiara «molto scettico» sulla svolta annunciata domani nelle urne, che potrebbe sancire la fine dell’alternanza fra popolari e socialisti al governo negli ultimi 30 anni. Per l’autore de «L’impostore» e di «Anatomia di un istante», «anche i nuovi partiti sono prodotti della partitocrazia, che è il problema di fondo della democrazia spagnola». E lo scenario tracciato dai sondaggi «condanna a governi o patti di coalizione alla italiana, a una fase di grande instabilità politica».
Perché è così pessimista?
«È molto strano quello che è accaduto in Spagna negli ultimi due anni. I media hanno ingigantito l’importanza delle nuove forze, due partiti nuovi senza alcuna rappresentanza parlamentare, ma onnipresenti in tv e nei dibattiti, a differenza di IU o UPyD. Vedremo se gli elettori gli daranno ragione».
Che pensa di Ciudadanos?
«Non mi fido. È un partito molto artificiale, creato a tavolino dalle imprese dell’Ibex 35 per frenare Podemos. Si dice centrista, come il Cds di Adolfo Suarez, che arrivò ad avere molti deputati, ma poi scomparve. Vedremo quanto dura».
E Podemos?
«In un anno e mezzo, con un giro copernicano brutale, da forza antisistema e anti-casta, è divenuto un partito socialdemocratico, senza grandi differenze dal Psoe. Sono scettico, perché la questione cruciale di questo Paese, individuata efficacemente dal movimento15-M, è stata assente dalla campagna elettorale: la democrazia reale, la necessità di una rigenerazione profonda, per frenare il degrado delle istituzioni come conseguenza della partitocrazia. È il problema di fondo, di cui la corruzione è il prodotto. La legge di finanziamento è totalmente opaca e non c’è democrazia interna ai partiti, neanche in Ciudadanos o Podemos. Ma ha sentito parlare qualcuno di modifica della legge di finanziamento?»
Podemos ha finanziato in crowfunding la campagna, con 1,5 milioni …
«È positivo come gesto, ma non è la soluzione, che è riformare la normativa. Podemos e Ciudadanos propongono di cambiare la legge elettorale, che penalizza le forze minori. Sono riforme strutturali fondamentali, per de-colonizzare la società dall’occupazione dei partiti. Il peggio è che tutti sanno che bisogna riformare o eliminare il Senato, che non è possibile avere in Catalogna 5 amministrazioni pubbliche. Ma nessuno muove un dito. Temo che i nuovi vogliano spazzare via i vecchi Pp e Psoe per prenderne il posto».
Ciudadanos ha proposto di abolire il Senato e le province…
«A parole, ma non credo che arriverà ai fatti. Conosco Ciudadanos dall’esordio in Catalogna, è un partito nazionalista spagnolo e ha fatto una demagogia pericolosa su questioni fondamentali, come la lingua. Per questo non mi fido».
E cosa crede che accadrà domenica?
«Temo possa accadere come in Gran Bretagna, alle elezioni di maggio. Si aspettava un terremoto provocato dall’Ukip di Nigel Farage con un 20% dei consensi. Il risultato è stato che Cameron ha vinto con maggioranza assoluta, soprattutto grazie al lieve miglioramento dell’economia. Rajoy non vincerà di lunghezza, ma avrà un risultato migliore di quello previsto dai sondaggi per lo stesso motivo. È probabile un governo di minoranza del Pp, con appoggi puntuali. Ne abbiamo avuti molti, non sarà una situazione eccezionale».

Podemos e Ciudadanos tentano l’assalto al potere ma l’ultima parola è del re
Rajoy resta in testa e attacca i «prodotti da marketing»di Aldo Cazzullo Corriere 20.12.15
MADRID È il primo voto democratico senza re Juan Carlos e con quattro grandi partiti. Stasera arriverà primo con un buon margine Rajoy, il presidente in carica, che potrebbe formare un governo di minoranza magari in vista di altre elezioni; ma questa domenica resterà nella storia grazie a tre volti nuovi. Albert Rivera di Ciudadanos, 36 anni, in declino rispetto ai trionfali sondaggi di venti giorni fa, che però occupando il centro sarà decisivo per far nascere qualsiasi esecutivo. Il re al battesimo del fuoco, Felipe VI, 47 anni, che finora non ha sbagliato una mossa. E Pablo Iglesias detto «El Coleta», il Codino, che con una campagna da istrione carismatico ha portato Podemos dal 14% al 20 e punta a superare i socialisti.
«Remontada! Remontada!» gridava alla fine di ogni comizio. Iglesias è tecnicamente un mitomane. Dice frasi tipo «sarò il primo leader spagnolo che parla inglese», «sono Davide contro Golia», «se avessimo fatto un dibattito a quattro prenderei la maggioranza assoluta». In effetti ha vinto tutti i duelli a cui ha preso parte, e Rajoy ha evitato con cura di affrontarlo. I suoi lo adorano. Le ragazze impazziscono. «I suoi meeting hanno una forte carica romantica, quasi religiosa — ha notato John Carlin su El País , giornale certo non ostile —; e la figura di Iglesias coincide con quella di Gesù Cristo». Non a caso lui parla di «poveri in spirito», «sale della terra» e «potenti da confondere». L’altra sera a Valencia l’ex braccio destro Monedero, accusato di aver preso i soldi da Chávez, l’ha baciato sulla bocca. Lui canta, si batte il pugno sul cuore, piange abbracciando la mamma. Orecchino, decine di braccialetti, barbetta incolta. Molto simpatico. Di una spregiudicatezza intellettuale impressionante: è passato dal Venezuela alla Svezia, dall’anarchia alla socialdemocrazia, dall’uscita dalla Nato all’ossequio al re. Continua però a detestare Felipe González, «personaggio moralmente decrepito», ogni volta che lo nomina la platea esplode in un «buuu» carico di disprezzo. L’ha molto aiutato Ada Colau, sindaco di Barcellona, e lui ha promesso ai catalani un referendum per l’indipendenza. Padrone dei social media, su cui i fan caricano video di Iglesias che combatte il male con la spada laser di Star Wars , Iglesias che si allena con la tuta di Rocky, Iglesias guerriero medievale che fa strage di nemici; lui del resto è convinto di vivere in una puntata di Game of Thrones . Il vecchio Lula l’ha incoronato: «In Pablo rivedo qualcosa di me stesso da giovane». Una mano gliel’ha data anche il candidato socialista Pedro Sánchez, apparso modesto, sempre bisognoso di alzare la voce per farsi sentire. Per spaventare i moderati Rajoy evoca la minaccia di un governo Podemos-Psoe, con Iglesias presidente, e aggiunge: «Noi sì che siamo un partito serio. Non siamo nati in un talk-show. Non siamo un prodotto di marketing».
Il «prodotto di marketing» sarebbe Rivera. In effetti, quando Podemos era primo partito, l’establishment spagnolo ha cercato un anti-Iglesias e l’ha trovato nel giovane catalano. Nato a Barceloneta, antico quartiere marinaro e popolare, Rivera è però un rivoluzionario borghese. Il maggior peso politico di Rajoy l’ha ridimensionato, riportandolo sotto il 20%. Nei dibattiti è parso nervoso, irritabile. Resta un personaggio interessante. Nell’ultimo comizio, venerdì sera a Madrid, in Plaza Santa Ana, la piazza dei teatri e dei caffè, ha tenuto una lezione di storia a tremila ragazzi ignari, evocando i grandi momenti di unità nazionale: la rivolta del 1808 contro i francesi invasori, la transizione postfranchista guidata da Adolfo Suárez, suo leader di riferimento, che quasi nessuno dei presenti ricordava. Il messaggio in realtà era chiaro: Rivera si presenta come l’unico in grado di dare una prospettiva al Paese; «in Parlamento ci asterremo per far governare chi arriva primo».
Stasera cominceranno le trattative. L’articolo 56 della Costituzione stabilisce che il monarca «arbitra e modera il funzionamento regolare delle istituzioni». Juan Carlos non aveva mai avuto problemi a indicare il capo del governo; le urne indicavano sempre un vincitore, e se mancava la maggioranza assoluta i catalanisti erano pronti a dare una mano in cambio di prebende. Stavolta i capi partito dovranno trovare un accordo per non mettere in difficoltà il re; un po’ come accadde in Inghilterra nel 2010, quando si ruppe il bipartitismo e Cameron riuscì a governare grazie al liberaldemocratico Clegg; qui in Spagna il ruolo di Clegg tocca a Rivera, che spera di non fare la stessa fine.
Re Felipe peraltro se la sta cavando bene, anche sulla questione catalana. Sia Rivera sia Iglesias sono repubblicani, ma non intendono mettere davvero in discussione la monarchia. Si parla anzi di cambiare la Costituzione, per consentire alla primogenita Leonor di regnare: il padre non le ha dato il titolo di Infanta ma di principessa delle Asturie, che spetta all’erede al trono. Gli spagnoli non rimpiangono Juan Carlos ma l’hanno perdonato, dopo che nell’ora più nera della crisi era partito per la caccia all’elefante. Indimenticabile il suo messaggio tv di quattro secondi: «Lo siento mucho, me he equivocado, no volverá a ocurrir»; ho sbagliato, mi spiace, non succederà più. L’anziano re ha abdicato al momento giusto. Si è anche riavvicinato alla regina Sofia: non convivono ma compaiono insieme in pubblico. Lui ormai somiglia in modo impressionante ai ritratti un po’ grotteschi che Goya fece al suo antenato Carlo IV.
Fuori dal Prado, i mendicanti presidiano gli incroci. Molti sono ex borghesi che hanno perso la casa. Il meccanismo è stato feroce: con i salari bloccati, per mantenere alti i consumi si sono moltiplicati i debiti, garantiti da case sopravvalutate o mai costruite; quando la catena si è spezzata, le banche sono state salvate, i titolari dei mutui no. Altri questuanti sono musicisti, giocolieri, artisti di strada. Un giovane su due è disoccupato, nei primi sei mesi dell’anno in 50 mila sono andati all’estero: il film che ha segnato l’epoca è la storia di un gruppo di ingegneri spagnoli che vanno a Berlino a lavorare come lavapiatti nel ristorante di un turco. Per la prima volta dal 1944, l’anno della carestia quando si pativa davvero la fame, i morti sono più numerosi dei neonati.
È proprio la rabbia dei giovani a spingere Iglesias e Rivera. È il rifiuto del Pp e del Psoe, entrambi corrottissimi, che continuano a essere i più votati dagli anziani e in provincia. A Barcellona il movimento dei senzatetto ha fracassato le vetrine delle sedi di tutti i partiti, tranne quelle di Podemos. Stasera Rajoy uscirà in testa dalle urne; ma nulla sarà più come prima. La Merkel è preoccupatissima. 

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