mercoledì 20 gennaio 2016

Enzo Siciliano ballava benissimo il boogie-woogie. Un ricordo

Scrittore, critico, talent scout Enzo Siciliano, genio in lista d’attesa 
Il grande intellettuale ingiustamente dimenticato a dieci anni dalla scomparsa

Il carattere Era un sognatore onestamente stupito di vedersi a volte vincere le battaglie della vita 
20 gen 2016  Corriere della Sera di Antonio Debenedetti
Adieci anni dalla sua scomparsa Enzo Siciliano è un protagonista del mondo letterario in lista d’attesa. Quale posto gli spetta nella giungla troppo popolata della posterità? Enzo è morto notissimo, il giorno dopo il funerale però quanti avevano il suo nome continuamente sulle labbra hanno posto lo stesso impegno a tacere quel nome, a cancellarlo dai loro discorsi e dai loro articoli. Una delle ragioni, non la sola, di questa condotta? Con Siciliano è forse scomparsa la figura d’un personaggio tipicamente italiano: il letterato del Novecento, 


raffinato scrittore, perfezionista, ipersensibile, grande conoscitore d’arte e musicomane. Un qualcheduno fatto di sterminate letture, di sofferte ambizioni, di calcoli però ingenui e di eleganti inquietudini. Un sognatore onestamente stupito di vedersi a volte vincere le battaglie della vita. Parlare con Enzo di romanzi, di poesie, di melodrammi e di quadri era un vero piacere da gustarsi in pochi amici, quando lui non era tormentato dal tarlo della mondanità. 
Enzo era stato un bel ragazzo, a diciotto anni ballava benissimo il boogie-woogie, era passato all’esame di maturità con la media dell’otto, leggeva Fitzgerald e studiava filosofia teoretica con Ugo Spirito. Seguì poi le lezioni sul romanzo di Giacomo Debenedetti ma il suo vero maestro, quello che lo portò alla notorietà facendogli da editor nell’opera di esordio cioè Racconti ambigui, fu Giorgio Bassani. Una parentesi. L’autore degli Occhiali d’oro era anche uno straordinario maestro come sanno quanti si sono trovati a lavorare su un testo con lui o quanti hanno avuto il privilegio di ascoltare le sue lezioni all’Accademia d’arte drammatica. Si spera perciò che quest’anno, in occasione del centenario della nascita di Bassani, qualcuno ricorderà illustrandole a dovere le sue virtù didattiche. Se ne sa poco, quasi niente ed è un gran peccato. 
Siciliano uomo pubblico? Era leggiadramente affabile e questa sua dote vestiva a festa la sua ampia e rigorosa cultura, evitandole di risultare barbosa e professorale. Così felicemente sposate affabilità e cultura contribuirono a animare durante tre decenni i più autorevoli salotti letterari romani. Senza Enzo quei salotti sarebbero stati probabilmente più arcigni e la Capitale degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta sarebbe stata meno disposta a farsi brillante, conversevole, «cenaiola». 
A cena con Enzo potrebbe essere il titolo d’un film o di un romanzo, di una Festa mobile dove al posto della generazione perduta hemingwayana potrebbe figurare la generazione della Dolce Vita. Anche la Capitale della metà del secolo come la Parigi degli anni Venti ha avuto d’altronde i suoi venerabili maestri non meno che i suoi giovanotti belli e dannati. Le cene con Enzo erano uno straordinario giornale parlato, una terza pagina dove si capiva molto meglio che nelle terze pagine stampate quali sarebbero state le nuove linee di tendenza della narrativa italiana, che cosa sarebbe successo ai vertici delle case editrici e persino chi avrebbe vinto il premio Strega l’anno dopo. Enzo creava il clima giusto, quello che spingeva i convitati alla confidenza e nello stesso tempo interveniva a evitare uno stanco parlarsi addosso. Certo, è ovvio, si facevano anche molti pettegolezzi ma quasi mai banali e quasi sempre rivelatori dei costumi della Capitale fra gli anni di Mattei e la morte di Pasolini. Magari fosse stato registrato quanto veniva fuori da quelle tavolate. Si avrebbe oggi un diario-verità a più voci d’una stagione più breve d’un sogno. 
Oltre a essere un critico nemico d’un certo inguaribile provincialismo nostrano, nonché un narratore fedele a un culto della narratività ancorato al Flaubert dell’Educazione sentimentale, Enzo era un prosatore interessante e oggi da rileggersi perché consapevole come pochi fra i suoi coetanei dei problemi che tormentavano già allora la lingua italiana nello sforzo di farsi nuova, aggiornata e pronta. 
Qualche indiscrezione sui suoi gusti? Aveva capito benissimo James e un po’ meno Proust ma lo amava con devozione. Forse Enzo, senza confessarlo, era attratto più del giusto da Brancati mentre era un po’ avaro con Flaiano. Si beava giustamente di Landolfi esaltandone il nichilismo e si teneva lontano da Manganelli polemizzando con me che lo difendevo. Complicatissimi i suoi rapporti con Cesare Garboli. 
Con Cesare e Enzo ho lavorato tutto un inverno a mettere insieme un Dizionario delle letteratura italiana, di cui riuscimmo solo a scrivere alcune voci prima di essere licenziati in tronco da Pampaloni allora leader della Vallecchi. Fu un’esperienza straordinaria e da tempo mi riprometto di scrivere una memoria sui duetti di quei miei due inconsapevoli precettori. Risultato? Quando venni assunto nella redazione d’un giornale, i dubbi istillatimi da un Garboli sferzante e da un Enzo che aveva la testa a Thomas Mann rischiarono di farmi perdere il posto. Non riuscivo a scrivere le notizie. 
Esiste un terzo Siciliano da affiancare meritoriamente allo scrittore e al critico, intendo il talent scout e il promotore culturale. In questo senso credo si possa considerare Enzo una figura quasi unica nel Novecento italiano. Altri forse hanno fatto quanto o più di lui sul piano pratico. Enzo si è distinto tuttavia nei modi e nel metodo. Non parlo solo del lavoro svolto, in sintonia con Alberto Moravia, quale direttore di «Nuovi argomenti». Già l’elenco degli esordi su quella rivista ha qualcosa di inconfondibile. Emerge spontanea una linea di tendenza che cercava continuamente di superarsi e di scavalcare se stessa. In nome di un’assoluta disponibilità. Enzo però non si fermava qui. Metteva molto impegno nel favorire il dialogo dei più giovani con i maestri. Un po’ regista, un po’ fratello maggiore, un po’ padre spirituale sgombrava il campo dalle timidezze dell’educazione borghese, attivando nei più giovani il demone d’una libera conversazione ansiosa di mostrarsi intelligente, persino polemica. Quanti di noi debbono così a Enzo di aver potuto confrontare le proprie idee, i propri dubbi esponendoli a Moravia, a Pasolini, a Bertolucci, a Bassani. Di tutto questo si dovrà tenere conto, cercandogli il posto giusto nella posterità, là dove non giungano gli spifferi e le correnti d’aria della neoavanguardia e del Gruppo 63. Peccato, c’era un’incompatibilità che personalmente (chi mi ha letto lo sa) ho sempre cercato di superare.


Siciliano, l’autobiografia di una generazione 
L’amicizia con Moravia, il conflitto con il Gruppo 63, le riviste la fine di Pasolini: dieci anni fa moriva il critico e scrittore
PAOLO MAURI Restampa 4 5 2016
Enzo Siciliano voleva fortemente diventare il personaggio di un romanzo, lo sognava fin dall’adolescenza quando la passione per la lettura lo aveva fatto entrare nelle pagine di Scott Fitzgerald dove sentiva palpitare qualcosa di vero, l’emozione di rivivere un’emozione. Si era portato Il Grande Gatsby in Calabria dove una zia lo avrebbe ospitato per le vacanze: la sua famiglia veniva da lì. Si era portato anche qualcosa di Faulkner, forse Santuario, ma la zia lo aveva sequestrato e buttato via perché inadatto, secondo lei, a un ragazzo di quattordici anni. Lo raccontò lo stesso Siciliano in un articolo per queste pagine molti anni fa, un articolo rivelatore. In fondo Siciliano ha poi giocato le proprie migliori carte romanzesche incrociando il vissuto con la scrittura, dove il vissuto è anche quello del letterato, del critico e dunque del lettore di libri altrui sapientemente citati e magari già messi a frutto nelle prose letterarie. Non è un caso che fin dal ’70 spunti fuori una Autobiografia letteraria a sottolineare proprio il dato dell’esserci in prima persona, come poi sarà nei romanzi Diamante, Carta blu, Mia madre amava il mare che ruotano in modi diversi intorno alla memoria personale, naturalmente filtrata attraverso l’invenzione.
L’apprendistato di Siciliano, che, lo si ricorda sempre poco, ha studiato filosofia a Roma, laureandosi con una tesi su Wittgenstein, oltre che all’ombra dei grandi maestri del passato, si svolge nella Roma di Moravia di cui sarà amico per tutta la vita, incrociando in modo molto significativo anche l’esperienza di Bassani. Di recente Antonio Debenedetti ha pubblicato presso Elliot gli scritti di Siciliano su Bassani che in parte risalgono proprio alla già citata Autobiografia letteraria. Nel volume c’è anche una lettera di Bassani (inedita) al giovane Siciliano che gli ha mandato in lettura i suoi racconti e che risale al 1961. I racconti, tranne l’ultimo, sono buoni ma fanno poco volume: per essere accolti nella collana diretta da Bassani servirebbero trecento pagine e qui siamo molto lontani. Siciliano scriverà di Bassani numerose volte e sempre trattandolo come un grande del Novecento. Era quasi inevitabile che nel momento delle polemiche suscitate dal Gruppo 63 e che ebbero tra i bersagli anche Bassani, Enzo si schierasse contro la neoavanguardia. Furono polemiche incandescenti , spesso ingiuste come riconobbero poi alcuni esponenti del Gruppo stesso. Archeologia. La Borsa Valori della letteratura ha avuto da allora diversi crolli e molti titoli sono usciti di scena per eccesso di ribasso.
Quando era poco più che un ragazzo, Siciliano preparò per Lerici una antologia della rivista Solaria che uscì nel ’58. Solaria era una delle riviste più prestigiose degli anni Trenta, non tirava molte copie ma c’era e in modo nobile faceva scuola. Siciliano che era entrato in
Nuovi Argomenti frequentando Moravia, avrebbe poi sfruttato quella rivista per ospitare soprattutto voci giovani e sono oggi in molti a dovergli lo spazio della prima consacrazione pubblica. Anche nella collaborazione a Repubblica, Siciliano chiedeva spesso di occuparsi di scrittori giovani. Quando si sentì male, l’8 giugno di dieci anni fa (sarebbe morto la mattina dopo) c’era in pagina una sua recensione al romanzo di Aurelio Picca, che per ironia del caso si intitolava
Via Volta della Morte.
L’assassinio di Pasolini aveva segnato Enzo e credo che uno dei suoi libri migliori sia proprio
Campo de’ Fiori che, a partire dal funerale di Pier Paolo, si allarga fino a diventare (di nuovo) un’autobiografia letteraria intesa in senso generazionale. Siciliano in questo libro scarno, segnato dalla sofferenza, vede anche il funerale di un’epoca, di un modo di essere, di scrivere e di leggere. «Cosa è morto con la morte di Pasolini?», questa è la domanda che dà il ritmo alle pagine che si chiudono con un notturno in cui Campo de’ Fiori è deserta, sotto la pioggia. È una domanda a cui molti hanno tentato di rispondere e forse non c’è una risposta. Enzo in quelle pagine ci aveva messo l’anima.

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