Comparative phylogenetic analyses uncover the ancient roots of Indo-European folktalesSara Graça da Silva, Jamshid J. Tehrani, "Royal Society Open Science" 20 January 2016
Abstract
Ancient
population expansions and dispersals often leave enduring signatures in
the cultural traditions of their descendants, as well as in their genes
and languages. The international folktale record has long been regarded
as a rich context in which to explore these legacies. To date,
investigations in this area have been complicated by a lack of
historical data and the impact of more recent waves of diffusion. In
this study, we introduce new methods for tackling these problems by
applying comparative phylogenetic methods and autologistic modelling to
analyse the relationships between folktales, population histories and
geographical distances in Indo-European-speaking societies. We find
strong correlations between the distributions of a number of folktales
and phylogenetic, but not spatial, associations among populations that
are consistent with vertical processes of cultural inheritance.
Moreover, we show that these oral traditions probably originated long
before the emergence of the literary record, and find evidence that one
tale (‘The Smith and the Devil’) can be traced back to the Bronze Age.
On a broader level, the kinds of stories told in ancestral societies can
provide important insights into their culture, furnishing new
perspectives on linguistic, genetic and archaeological reconstructions
of human prehistory.
C’era una volta nella preistoria... Quanto antiche sono le favole
Aladino e Cenerentola risalgono all’età del bronzo Mostri, avventure, amori: secondo un nuovo studio gli archetipi di alcune fiabe risalgono a migliaia di anni fa Uno studio della Royal Society
di Elena Dusi Repubblica 22.1.16
La
principessa prigioniera nel castello è arrivata dopo. Le fiabe
affondano le loro radici in epoche molto più remote rispetto al medioevo
di re, streghe e cavalieri. Storie come il Fabbro e il diavolo o la
Bella e la bestia, secondo due antropologi delle università di Durham e
di Lisbona, venivano già raccontate rispettivamente 6mila e 4mila anni
fa, in quell’età del bronzo in cui la vita dell’uomo era ancora
prevalentemente nomade e le favole erano trasmesse per via orale,
raccontate intorno al fuoco in una lingua antenata degli idiomi
indoeuropei e oggi sostanzialmente estinta. Sulla rivista “Royal Society
Open Science”, Sara Graça da Silva dell’università di Lisbona e
Jamshid Tehrani dell’università di Durham elencano una cinquantina di
favole in cui il “c’era una volta” rimanda alla preistoria. Al nostro
patrimonio più antico risalgono il Fabbro e il diavolo e la Bella e la
bestia, ma anche Tremotino, Giacomino e il fagiolo magico, il Genio
nella bottiglia, Cenerentola, Pelle d’asino, la Pappa dolce, il Giovane
gigante, le Tre piume, le Tre filatrici. Quasi tutte queste fiabe sono
finite millenni più tardi nella raccolta dei fratelli Grimm. E proprio
Wilhelm e Jacob, a metà Ottocento, furono i primi a suggerire che i
racconti di sapore germanico e medievale da loro messi insieme fossero
il frutto di una tradizione più vasta e antica. «Credo che le storie
tedesche - scriveva Wilhelm - non appartengano solo alla nostra
madrepatria ma siano comuni a olandesi, inglesi, scandinavi».
Applicando
le stesse tecniche con cui la genetica ha ricostruito l’albero
genealogico delle popolazioni antiche, da Silva e Tehrani hanno
tracciato le ricorrenze delle favole nelle varie lingue indoeuropee. Il
corpus cui hanno fatto riferimento è l’immenso Aarne Thompson Uther Index,
un
catalogo di duemila trame di racconti fiabeschi di oltre 200 società di
tutto il mondo. «Abbiamo cercato - scrivono gli studiosi le trame delle
favole di magia nelle 50 lingue indoeuropee». Una similitudine fra le
storie germaniche e quelle indo-iraniane, ad esempio, indica che quel
particolare esisteva nel momento in cui i due popoli erano uniti. Poiché
questa data è nota grazie agli studi sulle migrazioni antiche, i
ricercatori sono risaliti all’antenato comune più antico di ogni fiaba.
In molti casi lo hanno trovato più in là di quanto non pensassero, e in
un’area molto più estesa di quanto credessero i fratelli Grimm. «Nel
caso della Bella e la bestia e di Tremotino - spiegano ancora i due -
alcuni esperti avevano suggerito un’origine mitologica greca o romana.
Ma noi abbiamo ritrovato queste storie nel più antico fra gli antenati
comuni dei linguaggi indoeuropei». E non è certo un caso, in una fase
della storia in cui la metallurgia dava il nome alle epoche, che un
elemento ricorrente fosse il fabbro che stringe un patto con il diavolo.
«La struttura di questa storia - scrivono i due ricercatori - si ripete
in maniera fissa in tutto il mondo indoeuropeo, dall’India alla
Scandinavia».
«Sono millenni che ci raccontiamo sempre le stesse
favole» conferma Antonio Faeti, primo titolare della cattedra di
letteratura per l’infanzia all’università di Bologna. «Il marinaio che
non torna, la fanciulla che scappa dall’orco, il mercante che ne sa una
più del diavolo sono elementi ricorrenti nelle fiabe di tutto il mondo.
Perfino gli indigeni d’America hanno racconti comuni ai nostri. E quando
il tedesco Wilhelm Hauff scrisse la Storia del califfo cicogna, nessuno
si accorse che l’autore fosse un tedesco anziché un arabo».
Se i
due ricercatori di oggi sono riusciti ad assegnare una data alle nostre
favole più antiche, lo stesso Italo Calvino nella sua raccolta di saggi
Sulla fiaba citava gli studi di Vladimir Propp e si diceva sicuro che le
storie di magia risalissero alla preistoria. «Anzi, le fiabe,
analizzate e spogliate di tutti gli elementi posteriori, sono il
principale e quasi l’unico documento che ci resta di quelle lontanissime
età». «Le leggi cambiano, le favole no» riassume Faeti. «Sono il
riconoscimento della nostra anima perpetua e hanno la caratteristica di
non mentire mai». La storia della Bella e la bestia deriva da Amore e
psiche di Apuleio, fa notare Bianca Lazzaro, che dirige la collana fiabe
e storie dell’editore Donzelli e sta riproponendo le raccolte della
tradizione dialettale italiana. «Si tratta di un “meme”: l’unità minima
di trasmissione culturale delle fiabe di tutto il mondo. Le prove per
recuperare l’amato o l’amata e l’odio della matrigna per la figliastra
ne sono un esempio». Tutte le favole scritte oggi, secondo lo scrittore
Guido Conti, sono in fondo la rielaborazione in chiave attuale di un
archetipo ripescato dalla tradizione. «La mia cicogna Nilou si inserisce
nella scia dei personaggi che volano. Ma offre elementi moderni, come
la solidarietà e l’aiuto offerto a chi fugge da una guerra».
I sogni atavici che vincono su ogni principio di realtà
di Marino Niola Repubblica 22.6.16
In
principio era la fiaba. Lo diceva Paul Valéry condensando in un geniale
lampo poetico, secoli di teoria sull’origine di questi racconti pieni
d’incanto e di magia. Adesso anche la ricerca linguistica conferma che
le fiabe sono antiche quanto il mondo. Perché, da quando hanno preso la
parola, gli umani non hanno più smesso di raccontare storie di re e
draghi, principesse e sortilegi, animali parlanti e piante pensanti. Lo
dice la parola stessa, fabula, che deriva dal verbo latino fari, cioè
parlare. E dunque quelle storie che abbiamo tanto amato da bambini – e
che riassaporiamo con un pizzico di nostalgia grazie al cinema e alla
letteratura – non sono invenzioni recenti. Quei personaggi fatati, le
loro azioni e le loro funzioni non sono una cosa libresca. Sono figlie
della tradizione orale. Volano di bocca in bocca da millenni, molto
prima che gli scrittori antichi e medievali, e più tardi Charles
Perrault, Giovan Battista Basile, i fratelli Grimm, Alexander Afanasiev,
Vladimir Propp, Italo Calvino mettessero nero su bianco e le fissassero
per sempre.
I primi ad esserne convinti erano proprio Wilhelm e
Jacob Grimm, certi che molti di questi fortunati plot narrativi
precedessero l’invenzione della scrittura. In fondo il nostro
immaginario è stato formattato ab origine, in un tempo così remoto in
cui gli uomini si facevano domande su se stessi, sulla natura, sul
destino usando la lingua alata della fantasia.
Vista così la Bella
e la bestia diventa una parabola proto animalista per raccontare il
rapporto di attrazione-repulsione tra le specie. E la Sirenetta? È stata
scritta nell’Ottocento, è vero. Ma non è tutta farina del sacco del
danese Hans Christian Andersen. Perché in realtà sciami di donne pesce,
seduttive e trasgressive, surfeggiano da sempre sui mari
dell’immaginazione. Stesso discorso per i prìncipi che diventano rospi, o
per le zucche trasformate in carrozza. Metamorfosi che esprimono
un’idea di mondo che va al di là del principio di realtà: nulla è
veramente impossibile, ma tutto è immaginabile. E alla fine la fortuna
premia chi spera l’insperabile. Che sia Cenerentola o che sia Pretty
woman. E questa è la morale della favola.
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