venerdì 8 gennaio 2016

Le origini medievali della camorra a Napoli

Napoli 1343
Amedeo Feniello: Napoli 1343. Le origini medievali di un sistema criminale, Mondadori

Risvolto
1343: a Napoli c’è la carestia. Una nave genovese carica di frumento viene assaltata dagli esponenti di due clan locali, alcuni marinai e il loro capitano sono brutalmente uccisi. Gli assalitori tornano in città tra il tripudio della popolazione e l’indifferenza delle autorità politiche. La Repubblica di Genova presenta al Regno di Napoli formale protesta ma, in un documento storico di straordinaria importanza, re Carlo I d’Angiò ammette di non essere in grado di controllare la città e chi la governa davvero: le “famiglie”. Questo libro non ripercorre la nascita della camorra secondo le trame tradizionalmente richiamate dall’etnologia, dall’antropologia, dalla sociologia o dal folklore. Amedeo Feniello tenta piuttosto di tracciare un itinerario nuovo, attraverso una serie di elementi poco noti, ma spesso sorprendenti, che ritornano oggi nella terra di Gomorra: la nascita dei clan familiari, il controllo del singolo quartiere, la cultura del clan, il senso di appartenenza, l’inquadramento dei giovani, la violenza privata, la giustizia delle famiglie contrapposta a quella pubblica. E mette in luce un punto sconosciuto: che queste “famiglie” di Napoli si propongono, al momento della nascita del Regno angioino, come classe dirigente del nuovo stato, partecipando attivamente alle imprese della casa regnante. In un connubio che cementa i rapporti tra stato e famiglie, in un intrico che da quel momento sarà difficile sbrogliare.
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Dai clan napoletani del Trecento alle famiglie criminali di oggi: la tesi di una continuità forte 
3 gen 2016  Corriere della Sera Di Antonio Carioti © RIPRODUZIONE RISERVATA 
A Napoli la criminalità organizzata vera e propria sorge e si afferma nell’Ottocento. Dai primi anni di quel secolo prende infatti le mosse la Storia della camorra di Francesco Barbagallo (Laterza, 2010) e di quel secolo si occupa, concentrandosi sul rapporto tra delinquenza e politica, il saggio La mala setta di Francesco Benigno, uscito di recente da Einaudi. Ma la mentalità assuefatta al potere sanguinario dei clan, sostiene lo storico Amedeo Feniello nel libro Napoli 1343 (Mondadori), ha radici più profonde, si connette a una «struttura di lungo periodo» già pervasiva e opprimente nel Medioevo.
L’autore ha visto in faccia la ferocia camorrista nel 2005, per via della barbara esecuzione di tre giovani assassinati nella notte davanti alla scuola in cui insegnava. Lo colpirono allora il silenzio dei potenziali testimoni, l’indifferenza della politica, l’impotenza delle forze dell’ordine. Poi le sue ricerche sull’età medievale lo hanno indotto a ipotizzare un nesso tra la violenza di oggi e un episodio del passato, avvenuto nell’anno di cui parla il titolo del saggio. 
Di che si tratta? Nel novembre 1343, mentre su Napoli incombeva la carestia, alcuni nobili appartenenti a «seggi» (centri d’aggregazione e di gestione dei singoli quartieri) tra i più influenti della città guidarono una spedizione contro una nave genovese carica di carni e frumento. Uccisero il capitano e saccheggiarono le vettovaglie per distribuirle agli affamati, con la sostanziale connivenza delle pubbliche autorità, che anzi in seguito esercitarono un sordo ostruzionismo rispetto alle richieste di giustizia provenienti da Genova. 
Può sembrare una vicenda quasi ordinaria nel terribile Trecento, un secolo funestato a più riprese da carestie e pestilenze catastrofiche. Ma Feniello la ricollega all’assetto di governo della città instaurato due secoli prima, dopo la battaglia di Rignano (1137), quando Napoli aveva cessato di essere padrona di un ducato indipendente ed era caduta sotto il dominio dei normanni. È allora, si legge nel libro, che sorge all’ombra del Vesuvio «non un Comune, con le sue assemblee deliberative e i suoi consessi popolari, ma una struttura parcellizzata per aree di competenza controllate da clan, ossia da consorzi a base famigliare che penetrano ogni ganglio della vita cittadina». Un sistema di controllo del territorio che poi si rafforza quando, nella seconda metà del Duecento, con la sconfitta degli svevi (subentrati ai normanni) e l’avvento della dinastia angioina, Napoli viene promossa a capitale di un grande regno. 
Alleanze e conflitti, spesso cruenti, tra le consorterie nobiliari, i già ricordati «seggi», segnano così nel profondo la vicenda medievale partenopea. E sedimentano riti, costumi, pregiudizi, specie l’abitudine a gestire in termini personalistici la vita pubblica. Una logica di clan che, secondo Feniello, ha costituto un terreno fertile per l’impianto della camorra, la quale tuttora ne beneficia. 
Se davvero la parabola di Napoli presenti fattori di continuità tanto duraturi è ovviamente materia opinabile. Sarebbe comunque opportuno che la tesi di Feniello venisse considerata e discussa dagli addetti ai lavori: anche la storiografia ha il dovere di cercare risposte di fronte a un tessuto sociale lacerato da ferite tanto profonde. Non basta gridare alla dignità offesa quando, per esempio, la presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi definisce la presenza della camorra «un dato costitutivo» della vita napoletana. 
Tuttavia Feniello non avanza soltanto una proposta interpretativa originale, per certi versi provocatoria, ma offre anche un dettagliato affresco, lungo tre secoli, di una delle realtà più importanti d’Europa. Si occupa di commerci e di urbanistica, indaga le ragioni delle carestie, rievoca guerre e sovrani di varie dinastie. Racconta gli scontri cruenti tra genovesi e pisani, esponenti di repubbliche marinare rivali, sulla piazza partenopea. Utilizza cronache dell’epoca, documenti ufficiali, novelle del Boccaccio. Alla fine il lettore ha imparato parecchio sul passato remoto di Napoli e ha qualche motivo in più per preoccuparsi del suo futuro. 
Sarebbe però sbagliato accusare l’autore di alimentare sotto sotto la rassegnazione, attribuendo alla città una sorta di morbo inguaribile. Al contrario in queste pagine, di pari passo con il gusto della ricerca, pulsa la passione civile. Perché l’indignazione serve a poco, se non è accompagnata dalla volontà di riflettere e dallo sforzo di capire.

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