Mussolini senza copyright tornano i diari dimenticati
Scaduti i diritti sugli scritti del duce studiosi di destra e sinistra riscoprono le memorie della grande guerra
SIMONETTA FIORI Repubblica 12 1 2016
Tutti pazzi per Mussolini? Parrebbe di sì, solo a guardare gli scaffali delle librerie. Dove sono appena arrivate ben cinque edizioni del diario di guerra di Mussolini, ossia le cronache dal fronte pubblicate sul “Popolo d’Italia” tra il dicembre del 1915 e il febbraio del 1917. Il Mussolini soldato, non ancora duce, ma già sapiente artefice di un’autorappresentazione che gli sarebbe tornata utile.
L’inatteso fenomeno editoriale sembra contagiare geografie culturali ed editoriali molto distanti, dalla sinistra di Mario Isnenghi e Mimmo Franzinelli alla destra postfascista di Alessandro Campi, fino a toccare le sponde
eversive e criminali di Franco Freda, sì lui, il terrorista, responsabile insieme a Ventura della strage di piazza Fontana, che incredibilmente sopravvive come editore di Ar (marchio distribuito da una libreria di Avellino). E accanto a questi lavori c’è anche il journal mussoliniano curato da Denis Vidale per la Biblioteca dei Leoni. A tenerli insieme, nella siderale lontananza, la comune riscoperta di un testo ovviamente riproposto più volte nel ventennio nero, poi rimasto sepolto nell’opera omnia mussoliniana e di fatto ignorato dalla storiografia della grande guerra.
Perché questo improvviso interesse per il diario dal fronte? La risposta più semplice è di carattere giuridico ed editoriale: sono appena scaduti i diritti di Mussolini – proprio come quelli di Hitler – , le case editrici possono liberamente riproporre i testi senza passare attraverso la tagliola del copyright. Spiega Ugo Berti, responsabile del catalogo storico del Mulino che ora pubblica l’opera con la introduzione di Isnenghi ( Il mio diario di guerra): «Nel centenario del primo conflitto mondiale siamo andati tutti a riguardarci la bibliografia, scoprendo in questo modo testi dimenticati come il diario di Mussolini. La coincidenza dello scadere dei diritti ha fatto il resto. Da qui il gran fermento dell’editoria, mossa anche da ragioni di mercato: la grande guerra fa vendere». Una spiegazione minimalista, quella di Berti, che seppure fondata non esaurisce la questione.
E allora per capire di più bisogna partire dalla sponda sinistra. E chiedersi perché uno storico come Isnenghi, che nel Mito della Grande Guerra aveva ignorato il diario di Mussolini, oggi decida di firmarne la introduzione. «Ho cominciato a fare i conti con quel lavoro in uno dei convegni animati da Gianfranco Folena a Bressanone », risponde lo studioso dalla sua casa di Padova. «Poi, nel 1989, quando ho ripubblicato Il Mito dal Mulino, decisi di riconoscere pubblicamente il mio errore: il diario di Mussolini è uno dei testi più incisivi della letteratura di guerra. Si era trattato di un’automutilazione, dettata dal clima politico e culturale in cui preparai il Mito ». Il suo capolavoro storiografico uscì in prima edizione da Laterza nel 1970, nel pieno dell’antifascismo militante. «Nessuno mi ha mai rimproverato quell’omissione», continua Isnenghi. «La memoria del fascismo era ancora molto viva. Oggi rimuovere il diario di Mussolini non avrebbe senso».
Però ancora oggi c’è chi oppone resistenza. Ed è lo stesso Berti a raccontarcelo, dal suo longevo osservatorio storiografico. «Il nome di Mussolini per qualche storico è tuttora impronunciabile. Ancora Marco Mondini, nel suo bel libro La guerra italiana pubblicato lo scorso anno, nemmeno cita il diario. Gli ho chiesto perché e lui mi ha risposto che gli era apparso inopportuno occuparsene ».
Ad alcuni studiosi, al contrario, appare opportuno occuparsene proprio con un intento civile. È il caso di Mimmo Franzinelli, curatore del Giornale di guerra per le edizioni Leg. «Anche nella diversità dei testi, accade con i diari di Mussolini quello che è successo con il Mein Kampf. Anche io mi sono posto il problema dell’opportunità: ho scelto di pubblicare il testo con centinaia di note in cui invito a non prendere per oro colato le parole del soldato Mussolini. In sostanza cerco di demistificare la sua autorappresentazione eroica, mostrando la doppiezza tra il Mussolini politico e il Mussolini militare». Un taglio critico in parte coincidente con la lettura di Isnenghi, che mette in guardia dalla finalità di Mussolini: orientare lo sguardo di chi lo legge – si tratta di un diario pubblico, pubblicato sul suo giornale, non un diario privato – offrendo di sé l’immagine di «protagonista e coro, leader e gregario, attore politico trainante e soldato nella massa». Insomma, ricerca del consenso e prove generali da futuro duce.
Lettura che non convince Alessandro Campi – un passato remoto nelle file del neofascismo, un passato prossimo da protagoni- sta nel laboratorio della nuova destra democratica di Gianfranco Fini, oggi direttore della Rivista di Politica. Tra pochi giorni esce da Rubbettino una sua accurata edizione storico-critica del
Giornale di Guerra. «Non mi persuadono quelle interpretazioni che tendono a sovraccaricare il testo di Mussolini di un significato strumentale: il diario segnerebbe l’inizio del suo culto pubblico, con il fine di accreditarlo quale leader politico degli italiani. Tutto questo non tiene conto di vari elementi. Il primo è che Mussolini quando va in guerra può morire, cosa che è accaduta ad altri interventisti. Il secondo è che il diario viene scritto in un una fase magmatica della sua biografia che non prefigura né fascismo né conquista del potere». Questa lettura, secondo Campi, ha finito per svalutare un testo di grande dignità sul piano politico e letterario, un racconto in presa diretta dotato di una freschezza che manca a molta letteratura di guerra, rielaborata in fase successiva. «La sua assenza, nel trionfo memorialistico del centenario bellico, mi ha molto sorpreso. Per questo l’ho proposto a Rubbettino. Era giusto sottrarlo all’area nostalgica neofascista per restituirlo agli italiani in forma critica». Al di là delle diverse interpretazioni, resta da capire perché oggi Mussolini possa essere al centro della scena editoriale e dunque culturale. La «fascinazione ancora esercitata tra i più giovani», come sostiene Franzinelli? O «il carisma dell’uomo solo al comando, in sintonia con lo spirito del tempo», come dice Isnenghi? Fa riflettere l’affermazione di Ugo Berti: «Dieci anni fa il Mulino avrebbe avuto dei problemi ad avere Mussolini in catalogo ». Forse oggi c’è maggiore serenità, ormai distanti le aggressioni della destra anti antifascista, il tentativo di riabilitare politicamente il duce («il maggior statista italiano» disse Fini prima della svolta democratica), lo svilimento della Resistenza, l’equiparazione tra partigiani e repubblichini, la proposta di abolire il 25 aprile. Umori che ora avvertiamo lontani, ma in realtà risalgono a un passato recente. «Oggi pubblicare Mussolini è il segno di un paese maturo», dice Campi. O, meglio, la speranza di un paese maturo, che abbia davvero fatto i conti con il passato.
A proposito. In questo nostro girovagare tra i testi mussoliniani ci siamo imbattuti, grazie a Ugo Berti, in una stranezza. L’Istituto Poligrafico dello Stato continua a proporre, in una collana per bibliofili, Scritti e discorsi di Mussolini. Ma non un’edizione critica, bensì la veste originale uscita nel 1939, carta in filigrana con il fascio littorio e la sigla LDS, Libreria dello Stato. Che era quello fascista. Questo, sì, decisamente imbarazzante.
Le trincee della Grande Guerra descritte dal soldato MussoliniArrivano in libreria ben tre edizioni del «Diario» dal fronte del futuro capo del fascismo. Ancora sobrio e privo di retorica13 gen 2016 Libero SIMONE PALIAGA
Il 2016 si apre con un caso editoriale. Tra domani e dopodomani saranno disponibili nelle librerie ben tre edizioni di uno stesso volume. La Libreria Editrice Goriziana manda sugli scaffali Giornale di Guerra. Alto Isonzo, Carnia, Carso (pp. 230, euro 22) a cura di Mimmo Franzinelli; il Mulino invece esce con Il mio diario di guerra (pp. 226, euro 18) con la prefazione di Mario Isnenghi, mentre Rubbettino pubblica Giornale di guerra. 1915-1917 con introduzione e note di Alessandro Campi. L’autore di questo lavoro tanto gettonato dagli editori è Benito Mussolini.
A dare ragione della coincidenza editoriale non basta certo evocare la scadenza dei diritti d’autore a 70 anni dalla morte. Anche se certamente ne ha fornito l’occasione. Come non è sufficiente ricordare l’anniversario della Prima guerra mondiale. La pubblicazione di queste pagine è avvenuta prima a puntate sul Popolo d’Italia tra il settembre 1915 e il marzo 1917 e poi, sensibilmente modificate, in volume. Esse sono importanti perché aiutano a comprendere un momento particolare della storia italiana e permettono di leggerlo con gli occhi di un uomo che diventerà un protagonista assoluto.
Naturalmente sarebbe una svista cercare tra le righe i precorrimenti del fascismo. Di acqua, e sangue, ne dovrà ancora scorrere. Ma di certo questo diario pubblico consente uno sguardo più profondo sull’uomo Mussolini, spesso intrappolato negli stilemi e nelle azioni del futuro Duce.
Lo stile che adotta è ben diverso da quello che conosciamo dai proclami al tempo delle adunate oceaniche. È sobrio, diretto, privo di retorica. E descrive la vita quotidiana in trincea senza fronzoli. Non sono pagine letterarie, dunque, epperò vi troviamo l’esperienza di un uomo che sa, per il ruolo che ha avuto prima della guerra, di non essere uno dei tanti che combattono al fronte, ma che di questi tanti condivide la sorte, anche se non ha conosciuto il corpo a corpo di uno scontro.
«In queste pagine si intravede già una politica di nazionalizzazione»
13 gen 2016 Libero
Perché, professor Franzinelli, la lettura del diario di guerra di Mussolini è importante?
«È un rilevante documento d’epoca. Ci permette di vedere quegli
eventi con gli occhi - particolari - del futuro Duce. È uno strumento di
propaganda e di autopresentazione per i suoi lettori. Ce se ne rende
conto leggendo il suo epistolario contemporaneo a quegli eventi. E vi si
trova uno scarto tra l’autorappresentazione e le reali opinioni». Cosa
ci raccontano queste pagine?
«Testimoniano come Mussolini, pur dicendosi ancora socialista, in
realtà non lo sia più. Vi si trova già allora un’esigenza di
ridefinizione delle sue future alleanze e si vede come si accinga a
traghettare sulle sponde di un orizzonte nazionalista, se non
addirittura prerazzista». In che senso prerazzista? «Della guerra
accarezza una duplice visione. Da un lato la ritiene il completamento
del processo di unificazione. Ma dall’altro emerge già una connotazione
di stampo imperialista. Nota, a esempio, come parte della popolazione
dei confini orientali non si ritenga italiana. E la descrive con
malcelata diffidenza, anticipando quasi le politiche di
nazionalizzazione che condurrà una volta al potere». Dunque, si possono
intravedere le future decisioni del Duce? «Nulla ci impedisce di
leggerlo con il senno di poi, visto che sappiamo come è andata a finire
la sua vicenda, e di vedere nella sue considerazioni alcuni elementi del
successivo regime». Come mai per tanti anni il diario è caduto nel
dimenticatoio? «Già dal 1938 lo stesso Mussolini gli aveva messo la
sordina, probabilmente per la presenza di apprezzamenti antitedeschi. E
così farà Renzo De Felice nella sua imprescindibile biografia,
probabilmente perché ne sottovaluta l’importanza e lo ritiene uno
scritto di propaganda e di facciata».
«Difende gli interventisti malvisti ma nulla prefigura il suo destino»
Professor 13 gen 2016 Libero
Campi vale davvero la pena leggere queste pagine di Mussolini?
«È un documento storico per capire la novità della Grande Guerra.
Mussolini si trova coinvolto in una forma di conflitto che nessuno
conosce. I bombardamenti improvvisi, la vita sottoterra, le giornate in
trincea... tutto raccontato in presa diretta». Quindi vi troviamo il
Mussolini giornalista? «Così si banalizza un po’ il discorso. Mussolini
irrompe sulla scena pubblica come giornalista, direttore dell’Avanti
prima e del Popolo d’Italia poi. E il suo giornalismo politico è una
novità rispetto allo stile lezioso dei contemporanei. È diretto,
puntuto. Ed è una ragione del suo successo. Non solo come direttore, ma
anche come leader politico capace di interpretare i cambiamenti in atto
nella società».
Perché per tanti anni si sono trascurate queste pagine?
«Perché le si riteneva un documento viziato dalla fonte. Che
fossero uscite dalla penna di Mussolini ne inficiava la validità. Poi
c’è stata la moda storiografica che preferiva studiare la guerra grazie
alle memorie di un fante calabrese...». Si possono vedere in queste
pagine prefigurazioni del regime? «Contesto questo tipo di lettura, è un
errore di metodo molto grave perché sovrainterpreta le fonti senza
contestualizzarle. Tra il dicembre del 1915 e il suo congedo, prima di
Caporetto, Mussolini è semplicemente un ex socialista. Non è un
nazionalista alla Corradini. È stato uno dei leader dell’interventismo,
ma ora che si è in guerra il fronte interventista ha esaurito la sua
funzione. Piuttosto possiamo dire che Mussolini difende gli
interventisti che sono mal visti da ufficiali e soldati. Nulla dunque
che prefiguri il suo futuro politico. Prova ne sia che alla fine del
conflitto Mussolini verrà visto come un sopravvissuto e i socialisti lo
considereranno politicamente spacciato».
«Ci mostra come vuol esser visto: leader di quelli che ubbidiscono»
13 gen 2016 Libero
Perché leggere questo diario, professor Isnenghi? «Perché è la storia
d’Italia. E il fascismo non è una parentesi. Non voglio dire che in
queste pagine si trovi il proto-duce. Ma cogliamo Mussolini in una fase
di transizione. E soprattutto cominciamo a vedere cosa lui vuole far
sapere di se stesso». In che senso? «Questo è sì un diario, ma non è un
diario intimo, rivolto a se stesso. È un pubblico, scritto per essere
letto dagli altri. Non è casuale sia apparso a puntate sul Popolo
d’Italia .Ci mostra come Mussolini vuol essere visto». Può spiegarlo
meglio? «Vuole raccontare come è cambiato. La guerra cambia tutti, pure i
socialisti. Per lui ormai non si può essere più internazionalisti. Con
questa guerra il proletariato incontra la patria e il socialismo la
nazione».
Insomma, sono pagine di un interventista?
«Durante la guerra gli interventisti sono una minoranza. Sono solo
il lievito. Il problema è la pasta, cioè quelli che la guerra la
combattono senza averla voluta. E il problema che si pone Mussolini è
cosa pretendere da questa pasta. La pasta, per lui, deve ubbidire. Ma
non secondo i canoni della rassegnazione cristiana. L’ubbidienza per lui
va intesa come disciplina, come si capirà meglio in seguito, specie
negli articoli che scriverà su Caporetto: durante la disfatta il
proletariato non aveva dato avvio alla rivoluzione come auspicavano gli
Austriaci, ma aveva resistito. Detto diversamente: aveva ubbidito».
Perciò Mussolini cerca dei gregari? «Sì, vuole essere il leader dei
gregari. L’epoca dei volontari, con la guerra, è finita. Volontari erano
quelli che s’iscrivevano liberamente al Partito socialista. Ora c’è un
esercito di massa che si regge sulla coscrizione obbligatoria dove
centrale è l’ubbidienza. E se Mussolini vuole per sé un futuro, deve
divenire leader di quelli che ubbidiscono».
Nessun commento:
Posta un commento