lunedì 11 gennaio 2016
L'invenzione dell'identità italiana nell'Ottocento
Duccio Balestracci: Medioevo e Risorgimento. L’invenzione dell’identità italiana nell’Ottocento, il Mulino, Bologna, pagg.158, € 15,00
Risvolto
Non è facile
arrivare a definire un’identità nazionale per un paese che, per secoli,
ne ha avute fin troppe. Ma nell’Ottocento per storici, politici,
scrittori, artisti, l’epoca nella quale tutta l’Italia può identificarsi
è quella medievale. Alla costruzione dell’identità medievale nazionale
contribuisce in modo determinante il Risorgimento: sui palcoscenici
della lirica; nelle pagine di romanzieri e poeti; nelle architetture dei
puristi; sulle tele di pittori e, in generale, in tutto l’immaginario
collettivo degli italiani. Una invenzione della tradizione le cui tracce
sono ancora visibili nella cultura italiana contemporanea.
Duccio Balestracci insegna Storia
medievale nell’Università di Siena. Fra i suoi libri: «La festa in armi»
(2001), «Le armi, i cavalli, l’oro» (2003), «Terre ignote strana gente»
(2008), editi da Laterza.
Costruire l’italica identità
tra medioevo e rinascimento
Cesare De Michelis Domenicale 10 1 2016
Il progetto di unificazione della molteplicità delle istituzioni “statali” che reggevano i territori della penisola dovette da subito confrontarsi con l’assenza di qualsiasi tradizione patriottica, inevitabilmente smarritasi nel corso dei secoli, quando della patria nessuno sembrava sentire il bisogno: così il libro di Duccio Balestracci, Medioevo e Risorgimento può, sin dal sottotitolo, proporsi di descrivere l’«invenzione dell’identità italiana nell’Ottocento».
Il primo ad appassionarsi alle vicende dei secoli bui fu, con spirito spregiudicatamente illuminato, o più semplicemente “illuminista”, Ludovico Antonio Muratori, che raccolse nella prima metà del Settecento le cronache di quegli anni, riconoscendo loro uno sconosciuto valore e soprattutto segnalando allora il momento decisivo di una decisiva discontinuità con la tradizione classica sulla quale si era invece appoggiato l’Umanesimo; ma la consapevolezza che la rivalutazione del Medioevo maturò definitivamente all’inizio dell’Ottocento, contestualmente al Romanticismo, coniugando sentimento e passione politica.
A questa rivalutazione contribuirono significativamente i viaggiatori stranieri del Grand Tour, dalla madame de Stael di Corinna o l’Italia (1807) al Sismondi della storia delle repubbliche italiane, i quali riconobbero nella molteplicità dei Comuni, nella varietà delle città affrancatesi dal predominio dei feudatari riunendo artigiani, commercianti, artisti e letterati in un’inedita ed egualitaria compagine sociale urbana; non ci volle molto comunque perché gli italiani, da Cattaneo a Romagnosi, sviluppassero in proprio quell’intuizione, capovolgendo il significato del Rinascimento cinquecentesco, nel quale il dinamismo delle città si era invece venuto spegnendo e con esso era andata perduta quella «libertà comunale» che ora veniva proposta come «modello per la vicenda nazionale in costruzione».
Se per un verso le insegna di un Medioevo “tricolore” che Balestracci raccoglie nella tradizione letteraria sono così numerose da rendere incontrovertibile l’assunto della sua ricerca, meno ovvia, dopo la scoperta del Rinascimento da parte di Burckhardt nel secondo Ottocento, risulta la premessa antimoderna della svalutazione di quell’epoca di cui il Risorgimento sin dal nome sembra una replica: certo dal lessico, che indica come barbari gli stranieri contro i quali muovere una crociata, agli eventi esemplari, dal giuramento di Pontida alla battaglia di Legnano, agli “eroi”, a cominciare dal Dante neoghibellino anticlericale e inventore di una nuova lingua, il Medioevo fa la parte del leone, ma il primato nazionale resta affidato alle glorie rinascimentali dell’arte che illumina intera una nuova civiltà.
Per non arrendersi alla recriminazione antinazionale di De Sanctis, per il quale la storia letteraria, che si inaugura nella luce splendidamente aurorale della Commedia e si conclude in un’altra alba questa volta per semplicità “manzoniana”, popolare e romantica, e per il resto finisce col ridursi a una ininterrotta decadenza morale e poi anche artistica, a testimonianza di un sentimento nazionale fragile e incapace di riscattare l’onore e l’identità della patria.
«Il modello culturale dell’identità italiana -conclude Balestracci- non cavalca la cultura libresca» estranea a una popolazione in gran parte analfabeta, cosicché «il tema “medievale” trova un pubblico attento nelle classi medio-alte», ma solo «attraverso confuse e non sempre consapevoli veicolazione» raggiunge i ceti più popolari: alla fin fine sarà Carducci che «nell’Italia ormai unificata, santifica definitivamente il Mediavo italiano in chiave identitaria», di nuovo contrapponendo il mondo germanico-feudale a quell’altro latino-comunale, preceduto da una lunga serie di romanzi storici d’ambientazione medievale, nei quali, sotto l’involucro, si sentivano palpitare le nostre aspirazioni e si riconoscevano le nostre speranze, e da un’altrettanto ricca serie di testi drammatici o opere in musica che spaziavano nelle tradizioni regionali sempre cercando le origini di un’identità repressa se non negata.
Non mancarono naturalmente falsificazioni, mistificazioni, o autentiche invenzioni, ma la nostra identità risorgimentale restò per sempre segnata da queste origini municipali e antimoderne, che tuttora giustificano ostinate resistenze all’innovazione e al cambiamento, che sono sotto gli occhi di tutti, ma, tant’è, la storia lascia segni profondi e duraturi.
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