mercoledì 27 gennaio 2016

Rohani e l'uso strumentale dei diritti formali da parte della Sinistra Imperiale.


Chi, pensando di essere di sinistra, usa il facile argomento della copertura delle statue per attaccare Renzi, senza capire o forse capendo benissimo che in tal modo sta in realtà attaccando anzitutto l'Iran (e sta contribuendo alla canea anti-islamica suggerendole ragioni che si pretendono nobili), fornisce un esempio di quell'uso tutto strumentale dei diritti civili e formali che va denunciato nello stesso istante in cui di questi diritti si riconosce la legittimità e l'importanza. E lo fa in una situazione concreta in cui la contraddizione principale e le ragioni dell'universalità - ovvero dell'uguaglianza, del multipolarismo, del confronto tra le culture - stanno invece esattamente dall'altra parte, dalla parte dell'Iran e del suo diritto di vivere in pace e senza embargo.
Chi lotta per i diritti civili, lotti ora anche per i diritti dell'Iran. Chi giustamente pretende il rispetto di questi diritti e l'impegno di tutti nella loro affermazione, impari a distinguere nella situazione concreta e si impegni a sua volta contro questa strumentalizzazione, invece di accodarsi a Gasparri.
Non si stupisca altrimenti se, nella confusione di cui lui per primo è portatore, altri - sbagliando - reagiranno a questa indignazione fasulla e reazionaria che riguarda la politica estera attestandosi su posizioni specularmente reazionarie sul terreno del riconoscimento delle identità.
Solo la libertà dell'Iran potrà garantire la libertà nell'Iran.

Purtroppo, la stessa identica ottusità che era al lavoro ai tempi di Berlusconi è ancora ben viva, mentre lo sforzo di pensare dialetticamente latita.

Ve lo meritate Vendola.


P.S.

Da nessuna parte questo post prende posizione sulla questione delle statue coperte, che è tutt'altra faccenda e del tutto secondaria [SGA].



L’apertura del Papa: Iran fondamentale per la pace

Se Roma è stata scelta come prima tappa dell’importantissimo tour europeo di Hassan Rohani è certamente un riconoscimento al ruolo storico (e attuale) dell’Italia. Ma certamente ha pesato in modo determinante il programmato incontro con Papa Francesco (nella foto), passaggio fondamentale per il nuovo corso di Teheran. Continua?pagina?6

di Carlo Marroni Il Sole 27.1.16
Continua da pagina 1 Se infatti pr l’Iran il dividendo politico dell’intesa si preannuncia molto ricco, per tutti, l’incontro «di vera sostanza» con il Papa – come rileva una fonte d’Oltretevere – rappresenta lo sdoganamento non tanto verso l’Occidente ma in una piattaforma mobile di relazioni interreligiose che vanno molto oltre le geometrie variabili della geopolitica, dove gli scenari cambiano rapidamente e in ogni fase si cerca degli alleati per realizzare un fine determinato. E su questo piano che si muove il Papa, e proprio grazie a questo approccio “pastorale” contribuisce in modo determinante a grandi disegni, come nel caso dell’accordo tra Usa e Cuba o a quello ormai prossimo tra Colombia e Farc.
La Santa Sede da molto tempo ha un rapporto molto fecondo con l’Iran, dove peraltro vive una delle più piccole realtà cattoliche dell’area: poco più di 20mila fedeli, divisi tra tre diversi riti liturgici (latini, caldei e armeni) e polverizzati nel mare musulmano sciita di 70 milioni di persone, di cui il 50 per cento giovani. Eppure il rapporto con il modo sciita è da tempo molto stretto, tanto che da un anno e più dentro le mura c’è chi parla di “opzione sciita”. In realtà c’è un lavoro soprattutto interreligioso, portato avanti in particolare dal cardinale Jean Louis Tauran, abile diplomatico della vecchia scuola e molto vicino a Francesco (che lo ha nominato pure Camerlengo), che da molti anni guida appunto il dicastero de rapporto con le altre religioni, Un anno fa è tornato a Teheran - c’era già stato nel 2001 - e al suo ritorno parlò di «diversi modi di vivere l’islam. E in quelli che incontro noto certamente una accresciuta sensibilità. L'ho sperimentata ad esempio nel corso dei colloqui avuti con i responsabili sciiti». La questione dei rapporti con l'Islam – di cui si occupa molto anche la Comunità di Sant'Egidio, crocevia essenziale in queste partite giocate tra politica e fede - è complessa e delicata, specie in questa fase storica di terrorismo di nuova matrice che ha ricevuto e riceve appoggi da ambienti vicini alle monarchie sunnite del Golfo e altri attori dell'area. I cristiani in Siria e Iraq sono da tempo vittime di una feroce pulizia etnica e quindi è un’urgenza favorire il rientro dell'Iran all'interno di una dinamica diplomatica.
Il Papa, assieme al suo ”primo ministro” cardinale Pietro Parolin, condannano la violenza e cercano il dialogo, senza escludere nessuna opzione. All'indomani della visita al Tempio Maggiore di Roma Bergoglio ha ricevuto l'invito per la Grande Moschea di Roma: un visita di grande significato, visto che in quell'occasione potrebbe avere contatti ufficiali anche con esponenti dell'Arabia Saudita, regno con cui la Santa Sede non ha rapporti diplomatici.
Una “pastorale” planetaria, quindi, verso le altre religioni - ebrei e musulmani prima di tutti - per ridare slancio ad uno “spirito di Assisi” che renda le preghiere comuni atti permanenti di riferimento per i rispettivi fedeli. Del resto anche Rohani, quando ieri davanti al mondo delle imprese ha parlato della convivenza «una accanto all’altra» di chiese, sinagoghe e moschee, ha dato uno spessore inatteso alla giornata davvero storica, che lo ha visto varcare la soglia della cattolicità. C’è inoltre la conferma del ruolo di leadership di Francesco in una fase storica in cui peraltro i capi delle maggiori potenze stanno mostrando chiari segni di difficoltà.
Nell’anno del Giubileo rancesco ridurrà di molto i suoi viaggi - dopo la grande mobilità del 2015 - per concentrarsi sulla missione spirituale. Ma ha deciso di andare in Svezia per celebrare i 500 anni della Riforma luterana: un segno di straordinaria attenzione ecumenica verso gli altri cristiani, così come ha fatto verso i fratelli ortodossi. Un altro tassello della sua “pastorale planetaria”. 


Due leader alla sfida contro i falchi a colpi di carisma, coraggio e dialogo

Hanno agende diverse ma molti tratti e gesti in comune

di Marcello Sorgi La Stampa 27.1.16
Così lontani, eppure così vicini: la prima cosa da pensare, guardando Papa Francesco e Hassan Rohani alla fine del loro incontro – quaranta minuti circondati dalla tradizionale riservatezza delle stanze vaticane –, è che politicamente, e non solo, molte cose li dividono, ma quelle che personalmente li accomunano sono più importanti.
Bergoglio e il religioso islamico sciita, eletto quasi tre anni fa presidente dell’Iran con una maggioranza assai risicata (50,7 per cento), sono infatti, nei rispettivi campi, due colombe, in lotta contro nutrite truppe di falchi che provano in ogni momento a sbarrargli la strada. Papa Francesco, dopo aver dichiarato pubblicamente fin dal giorno dopo la sua elezione dove intende portare la Chiesa - verso una maggiore apertura alla società contemporanea, accanto ai poveri ma anche a quelli che soffrono per diverse ragioni l’emarginazione – deve fare i conti tutti i giorni con la resistenza di parte della Gerarchia, si tratti del Sinodo sulla famiglia per concedere la comunione ai divorziati, o delle unioni civili che stanno per essere regolamentate dal vicino Parlamento italiano. Quanto a Rohani, successore del delirante Ahmadinejad, che negava l’Olocausto e minacciava di bombardare Israele con missili a testata nucleare, può spingersi fino a un certo punto, e con cautela, sulla strada della rottura con il recente passato del suo paese, che ancora ha forti radici in metà del popolo iraniano che non lo ha votato.
Inseguiti entrambi, nei loro contesti, dai conservatori, i due hanno un indubbio punto di forza nel carisma (più forte, e fondato su una retorica dolce, quello di Francesco; improntato a durezza quello di Rohani). Sono basate su questo la volontà e la capacità di confrontarsi, anche a dispetto delle ragioni che gli sono state opposte (a cominciare, per quanto ci riguarda, dal rispetto ancora assai carente dei diritti civili in Iran).
Parola-chiave della diplomazia cattolica fin dai tempi del Concilio Vaticano II, il dialogo è un metodo che va approfondito, prima di giudicare l’opportunità o meno dell’attenzione riservata al presidente iraniano oltre il Portone di Bronzo.
La Chiesa, infatti, dialoga con tutti; lo ha fatto anche con il comunismo ateo per tutti gli anni della Guerra Fredda. C’è una tradizionale Ost-politik, che parte dai tempi in cui - metà ambasciatori e metà agenti segreti - il cardinale Casaroli e il suo vice Silvestrini, fin dagli Anni Cinquanta e Sessanta, approdavano a Mosca, a Praga o a Varsavia, vestiti in abiti borghesi e con passaporti falsi, per cercare di aprire una breccia nell’epoca dei muri ancora alti. Ed è la stessa che arriva al disgelo tra Obama e Castro, voluto da Francesco, e al segretario di Stato Parolin, allievo della stessa scuola, che già un anno fa va a perorare in Usa la causa dell’Iran.
Una forma di continuità tra l’invito a Rohani dopo la fine delle sanzioni dell’Occidente all’Iran e l’arrivo di Gorbaciov, all’indomani della caduta del Muro di Berlino, in Vaticano da Papa Woijtyla, per recarsi insieme il giorno dopo ad Assisi.
La stessa Assisi in cui, tre anni prima, nel 1986, Giovanni Paolo II chiamava a pregare uniti esponenti di tutte le religioni del mondo. Scelte seguite, inutile nasconderlo, da un mormorio di fondo della Chiesa più conservatrice, da accuse di “sincretismo”: come se il Papa non si rendesse conto del rischio di confondersi in qualcosa di indistinto, allontanandosi dalla parola del proprio Dio.
Più che nei molti incontri economici e nei contratti firmati a Roma dal presidente iraniano, venuto in Italia più da uomo d’affari che da religioso e da capo di Stato, il senso politico di questo viaggio va ricercato, dunque, nella visita in Vaticano, e nell’invocazione fatta da Rohani durante l’incontro, affinché il Papa preghi per lui.
Francesco, in altre parole, abbandonando un’altra volta la cautela che sempre gli viene raccomandata, e ricevendo Rohani con grande umiltà, ha voluto dirci semplicemente che dopo l’epoca dei conflitti di inizio secolo, a causa del terrorismo di matrice islamica, è cominciata una nuova guerra fredda, sanguinosa né più né meno di quella combattuta per quarant’anni nel Novecento.
Per togliere il pretesto della religione a quelli che vogliono uccidere in nome di Dio, il Papa non vede altra strada che il coraggio del confronto a viso aperto e del dialogo a qualsiasi prezzo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bravo.