La riduzione del nazismo alla sola dimensione dell'antisemitismo ha
l'obiettivo di rimuovere le origini di questo movimento nella tradizione
coloniale euro-americana. E dunque in una lunghissima esperienza
storica che ha avuto fasi diverse e che coinvolge in profondità gran
parte del pensiero e della pratica politica liberale fino alla Prima
guerra mondiale (e poi, dopo la breve parentesi della democrazia moderna, di nuovo dagli anni Novanta ai prossimi secoli).
A questo obiettivo politico generale di costante riaffermazione
dell'egemonia Herrenvolk sono funzionali sia operazioni come il Giorno
della memoria, che cancellano lo status coloniale di Israele, che
raffinate imprese culturali come la cooptazione di Heidegger appaltata
alla Nuova Scuola (con il piccolo sacrificio culturale simbolico che
questa cooptazione comporta: fare penitenza sull'antisemitismo che
secondo questa grottesca tesi Heidegger condivideva con tutta la
filosofia occidentale - da Talete a Di Cesare esclusa -, esagerarlo
addirittura per ribadire che abbiamo capito il punto essenziale, e
tenersi tutto il resto).
Alla teoria trumaniana del
totalitarismo, nel cui quadro queste mosse trovano un significato
preciso, bisogna rispondere con un autonomo revisionismo storico di
sinistra. Che ribalti le accuse e metta in luce esattamente questa
dimensione coloniale di lunga durata.
In questo senso, il
paradigma storiografico antifascista classico, nato nel corso della
Seconda guerra mondiale dalla convergenza tra la tradizione
rivoluzionaria giacobino-socialista e quella liberale, è definitivamente
defunto.
Di esso - e cioè della retorica degli Alleati - il
liberalismo si è liberato già alla fine degli anni Quaranta perché
ovviamente inservibile nel corso della Guerra Fredda. Da questa
liquidazione nasce il "revisionismo storico" in senso stretto. Sarebbe
il caso che anche noi smettessimo di guardare nostalgicamente al passato
e facessimo qualcosa di analogo.
Sul terreno della storiografia
filosofica relativa a Heidegger bisogna invece contrastare il monopolio
interpretativo che la Nuova Scuola, giocando d'anticipo sulla Vecchia,
ha saputo abilmente conquistarsi [SGA].
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Martin Heidegger:
Quaderni neri 1938-1939 (Riflessioni VII-XI), traduzione di Alessandra Iadicicco, Bompiani
Risvolto
I Quaderni neri presentano una forma che, secondo le sue
caratteristiche, risulta oltremodo singolare non solo per Heidegger,
bensì in generale per la filosofia del XX secolo. Tra i generi testuali
di cui solitamente si fa uso i Quaderni sarebbero anzitutto da
paragonare a quello del "diario filosofico". In essi gli eventi del
tempo vengono sottoposti a considerazioni critiche e messi continuamente
in relazione con la "storia dell'Essere". Il presente testo è il
secondo dei tre volumi in cui saranno pubblicate le Riflessioni. Il
primo quaderno di questo volume incomincia nel 1938, l'ultimo, con le
Riflessioni XI, si conclude poco prima dell'inizio della seconda guerra
mondiale, nell'estate 1939. Le Riflessioni non corrispondono ad
"aforismi" da intendersi come "massime di saggezza". Ciò che è "decisivo
non è", "che cosa si rappresenti e che cosa venga riunito a formare una
costruzione rappresentativa", "bensì solo come si ponga la domanda e
assolutamente il fatto che si domandi dell'essere". Dal "tentativo" di
Heidegger di riconoscere la "storia dell'Essere" nei suoi segni
quotidiani nasce un manoscritto che, dall'inizio degli anni trenta fino
all'inizio degli anni settanta, interpreta anche i due decenni più
oscuri della storia tedesca e l'eco che ne seguì.
L’Occidente tedesco di Heidegger
Il filosofo pensava che la missione della Germania fosse aprire la strada a un nuovo inizio
L’equivoco Una visione metafisica che non può essere confusa con il razzismo tradizionale di Evola L’antisemitismo Viene escluso l’ebreo che resta un nemico perché privo di suolo e di fondamento
30 gen 2016 Corriere della Sera Di Donatella Di Cesare
Esce in questi giorni, nell’eccellente traduzione di Alessandra Iadicicco, il secondo volume dei Quaderni neri di Martin Heidegger (Bompiani) in cui sono comprese le Riflessioni che vanno dal 1938 al 1939. Alle quasi 700 pagine del primo volume si aggiungono così altre 584 pagine: una sfida per i lettori italiani, ma anche un monito. Perché sarebbe doveroso affrontare il testo in modo critico, prima di emettere giudizi sbrigativi o di lasciarsi andare a facili scoop.
L’ultimo è quello lanciato dal giornalista tedesco Thomas Vašek, e ripreso da Angelo Bolaffi («Repubblica», 4 gennaio), secondo cui Heidegger non sarebbe che un epigono di Julius Evola e del suo razzismo. La prova flagrante sarebbe un fantomatico foglietto, di poche righe e di oscura provenienza, che potrebbe, tutt’al più, essere un appunto. Per i tedeschi un bel modo, certo, per scaricare sugli altri responsabilità proprie. Sì, perché il nazismo non è stato il fascismo. E soprattutto perché l’antisemitismo metafisico di Heidegger non è riducibile al razzismo tradizionale. D’altra parte l’aggettivo «metafisico» non mitiga l’antisemitismo, bensì ne indica la gravità abissale. L’antisemitismo metafisico di Heidegger ha una provenienza teologica, una intenzione politica, un rango filosofico.
Se deleteri sono, per un serio dibatto, i vuoti scoop, esiziali sono gli interventi dei «negazionisti» dell’ultima ora, quelli che pretenderebbero di cancellare con una spugna i passi antisemiti. Come se Heidegger non parlasse di Verjudung o di Weltjudentum, cioè di «ebraizzazione» e di «ebraismo mondiale» — termini non neutri, né casuali. Nei Quaderni neri vengono mosse, d’altronde, accuse precise: privi di suolo, di fondo, di fondamento, gli ebrei sono gli sradicati agenti dell’accelerazione, della tecnicizzazione del pianeta, della desertificazione della terra. Ma soprattutto gli ebrei sono la figura della fine che si ripete, impedendo al popolo tedesco di risalire al mattino dell’Occidente.
Proprio l’Occidente è uno dei grandi temi del secondo volume dei Quaderni neri. Il tedesco Abendland rende bene ciò che l’etimologia suggerisce: l’Occidente è la «terra della sera», il Paese dove sembra che il sole vada declinando. Dalla prospettiva dei greci — s’intende. Sono allora le coste dell’Esperia, dell’Italia odierna, quelle dove il sole pare quasi inabissarsi nel mare. Ma non si deve fraintendere: per Heidegger l’Occidente non è un luogo geografico, né un sistema di valori, bensì un’epoca nella storia del mondo. E gli esperii sono quelli venuti tardi e dopo — rispetto ai greci. L’inizio dell’Occidente è greco. Non è possibile, perciò, alcuna meditazione sul mondo occidentale senza un confronto con quel primo inizio greco. Il che vuol dire riprendere il filo della «filosofia» che costituisce la trama segreta della storia occidentale.
Sebbene l’Occidente sembrasse sprofondare nel nulla del nichilismo europeo, non si trattava di un tramonto, Untergang — secondo la famosa profezia di Spengler — bensì di un passaggio, Übergang. Il buio di quell’epoca, al termine degli anni Trenta, è considerato da Heidegger non come l’oscurità della fine, ma come lo spegnersi dell’ultimo lume della sera che avrebbe permesso di scorgere l’albore del mattino. Non si poteva, certo, resuscitare il primo inizio greco; ma si doveva attraversare sino in fondo la lunga notte dell’Essere, per risalire, oltre la metafisica, quella perversa malattia dell’Occidente, a un «altro inizio». La Terra della Sera avrebbe dovuto risvegliarsi a una nuova, dorata alba, scoprirsi Terra del Mattino.
Chi avrebbe potuto scorgere il passaggio, là dove tutti vedevano un crollo ineluttabile? Chi poteva seguire la strada della fine, per imboccare il sentiero dell’inizio? Solo i tedeschi. Il destino dell’Occidente, la sua «salvezza» era nelle loro mani. I tedeschi avrebbero dovuto essere gli Übergehenden, «coloro che passano oltre», che aprono un varco anche per gli altri popoli europei. Ecco il loro compito.
«Tutto il ”sangue”, tutta la ”razza”, ogni ”carattere nazionale” è inutile, e solo un decorso cieco, se non vibra già in un azzardo dell’Essere». Più volte Heidegger si chiede: «Dove sono finiti i tedeschi?». La decisione a cui li richiama è filosofica: tra il sonno dell’uomo occidentale, immerso negli enti, e il risveglio all’Essere.
Ma non per questo i termini sono meno gravi. Nell’epoca della fine il rischio non sarebbe solo la vittoria della metafisica, ma anche, per quel legame di complicità che li lega, la vittoria dell’ebraismo. Vincerebbe allora «la più grande assenza di suolo che, a nulla vincolata, tutto quanto si asservisce (l’ebraismo)». Già nel 1938, all’indomani della Notte dei cristalli, Heidegger parla di «battaglia», e non esita a individuare nell’Ebreo il nemico metafisico che impedisce ai tedeschi l’accesso all’altro inizio. Il tratto greco-tedesco lascia fuori gli ebrei, l’asse dell’Essere li esclude. Per loro — questo è il verdetto — non c’è spazio nella topografia dell’Occidente.
3 commenti:
tranne la parentesi della democrazia moderna?! e la guerra in Vietnam? o il golpe in Cile? leggere secoli di storia come "colonialismo" è davvero troppo generico. tutto per difendere politicamente la Cina poi!!! Orban sarebbe portatore dei valori moderni?
D'accordo sulla (errata) riduzione del nazismo ad antisemitismo, e soprattutto sulla riduzione (altrettanto errata) del pensiero di Heidegger ad antisemitismo("metafisico"?). Starei più in guardia quando si parla di "tradizione coloniale euro-americana". La storia del mondo, non solo quella europea, è storia di conflitti tra imperi: ateniesi e persiani, romani e cartaginesi, romani e musulmani, cinesi e mongoli. E quello sovietico non è si è imposto forse, de facto, come un impero? L'imperialismo non è un fenomeno euro-americano, è l'inevitabile sbocco politico in presenza di un "surplus" di potenza.
Se non si distingue l'imperialismo dalla normalissima egemonia che ogni Grande Spazio esercita, a mio avviso si capisce poco della storia moderna e contemporanea. Anche continuando a leggere le vicende europee secondo le proprie nostalgie medievali o teologico-politiche si capisce poco.
Il primo commento non l'ho capito. Certamente c'è stato imperialismo anche durante la breve parentesi democratica ma ha riguardato prevalentemente gli USA che democrazia moderna non sono mai stati.
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