martedì 2 febbraio 2016

Ancora Michéa e il Mito Transpolitico. Con queste reazioni un'autostrada è aperta verso destra

I misteri della sinistra. Dall'ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto
Davvero questa recensione è completamente sbagliata e inconsapevole del problema. Tra l'altro, viene suggerito che la colpa sia di Hegel e comunque dell'ispirazione hegeliana presente in Michéa [SGA].

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Un j’accuse alla «sinistra liberale» 

Saggi. Il pamphlet dello studioso francese Jean-Claude Michéa «I misteri della sinistra. Dall’ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto» per Neri Pozza 

Francesco Postorino Manifesto 2.2.2016, 0:07 
Jean-Claude Michéa non ama essere associato alla «sinistra liberale». La sua idea di giustizia è infatti incompatibile con quella dalla filosofia liberale fatta propria da gran parte della sinistra, come emerge dall’ultimo libro pubblicato da Neri Pozza (I misteri della sinistra. Dall’ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto, pp. 144, euro 15). In questo pamphlet, la polemica è portata contro la società in cui regnano il «valore di scambio» e la metafisica dei consumi, ma soprattutto contro il colpevole numero uno, la figura politica del liberal, cioè colui che avrebbe archiviato l’orwelliana common decency e sposato la trama fasulla del diritto universale. 
Lo scenario che descrive non può ospitare la distanza tra l’offerta liberista e la variante progressista. Entrambe, per Michéa, trarrebbero origine dall’illuminismo: la cultura che premia l’immagine «ipocrita» di un cittadino non più imprigionato dalle presunte catene della tradizione. 
Di qui la consueta critica rivolta ad un politically correct che tutela clandestini e minoranze varie, mentre perde di vista la famiglia «naturale» del socialismo costituita da contadini e proletari. Con un «cuore a sinistra e un portafoglio a destra», il progressista vuole realizzare una società egalitaria sorretta dall’imperativo borghese. Ecco spiegato, secondo questo autore, il graduale slittamento a destra di un popolo che si sente ripetutamente offeso dalle cerimonie mediatiche e dai festival (postmoderni) del sapere. I nuovi attori della sinistra, insomma, non riuscirebbero a provare empatia nei confronti di una classe priva di una degna rappresentanza. 
Già ai tempi dell’affaire Dreyfus andrebbe individuata, a suo parere, la sconfitta dell’opzione socialista e la nascita ufficiale della sinistra. L’adesione sempre più frequente al modello liberale in economia affonderebbe cioè le radici in quella ricerca ossessiva di un’alleanza con il riformismo, volta a scongiurare il pericolo delle forze reazionarie. 
Tra volgari compromessi e ribellioni pacifiste, la sinistra moderna si inginocchia così al modo di produzione capitalistico, rifugiandosi negli astratti principi dell’89. Per arginare questa deriva «liberale», Michéa propone allora di disegnare un illuminismo più robusto che sia adatto a riabilitare un conflitto sociale finalmente a scapito del potente. 
Con Michéa sale in cattedra Hegel, il neocomunitarismo di Michael Sandel, la sociologia di Christopher Lasch e vengono parzialmente recuperate le lezioni di Costanzo Preve, il filosofo italiano individauto come uno teorici «rossobruni». Il succo politico del ragionamento di Michéa risiede nel tentativo di offrire all’elettorato della sinistra un motivo di ampio respiro al fine di abbandonare il linguaggio strumentale delle destre.
Un j’accuse all’intellettuale progressista di certo non fa male, anche perché si fa sempre più impellente il bisogno di affrontare la questione sociale; ma se una diversa ricetta socialista si rivela sorda ad alcune sfide importanti di questa società – la difesa laica dell’aborto, della fecondazione eterologa, del matrimonio omosessuale −, la propaganda conservatrice continuerebbe indisturbata ad urlare il suo Eureka.

4 commenti:

BlackBlog francosenia ha detto...

Mi piacerebbe sapere come si fa a recensire un libro senza leggerlo, senza nemmeno leggere il risvolto di copertina!
Dare di rossobruno (o di adepto di Preve) a Michéa è semplicemente incommentabile.
Qui, qualche tempo fa, avevo scritto qualcosa dopo aver letto il libro nell'edizione originale. Decisamente due libri diversi:
http://francosenia.blogspot.it/2013/11/il-comune-senso-del-pudore.html

Grazie per l'ospitalità

Franco Senia

materialismostorico ha detto...

Non c'è bisogno di definire Michéa rossobruno perché ripete semplicemente quello che i critici di destra del marxismo dicevano già alla fine dell'Ottocento e poi per tutto il Novecento. Di socialismi nazionali e piccoloborghesi ne abbiamo visti a profusione.

Io non sono d'accordo con la recensione ma nemmeno con lei. Se uno è di destra, non c'è bisogno di mascherarsi dietro una terza posizione. Bisogna avere il coraggio delle proprie idee.

BlackBlog francosenia ha detto...

A mio avviso, Michéa, più che ripetere "quello che i critici di destra del marxismo dicevano già alla fine dell'Ottocento e poi per tutto il Novecento", riprende e rivaluta la "critica romantica del capitalismo", recuperando - come ha fatto in altri suoi libri precedenti - quella che è stata una parte costitutiva del socialismo originario e che Michéa definisce "la genealogia rimossa della sinistra del XX secolo".

saluti

Georgejefferson ha detto...

Ma la genealogia del socialismo utopista non e' stata per niente "rimossa", con la sua cultura romantica e irrazionale legittimante il campanilismo amorale (in senso lato), se ne e' sempre parlato (giustamente) in modo critico, come strumentalizzazione dei bassi istinti egoistici, fomentati ai fini di potere statuale e protezione del capitale presunto "nazionale", con la sua propaganda che tecnicizza i miti e fa apologia della "sacra" comunità purchessia.

Estratto da WU MING

http://www.wumingfoundation.com/giap/2013/02/come-riconoscere-chi-e-di-destra-e-accorgersi-del-pericolo/

DESTRA E SINISTRA

Le categorie di «destra» e «sinistra», nate durante la Rivoluzione francese, furono date per morte già sotto il Direttorio, nel periodo 1795-1799. Non si contano le volte in cui si è detto che i due concetti erano superati, eppure, nonostante queste litanie, si sono sempre riaffermati come polarità dei discorsi e del pensiero politico. Con maggior foga li si nega e rimuove, con maggiore violenza ritornano. Tra i movimenti che si sono dichiarati «né di destra, né di sinistra» non ce n’è uno che non si sia rivelato di destra o di sinistra (più spesso di destra, va detto). In Italia, il penultimo è stato la Lega.

La divisione destra-sinistra ha basi cognitive profonde, se ne occupano anche le neuroscienze. Al fondo, «destra» e «sinistra» sono i nomi convenzionali di due mentalità, due diversi modi di leggere il conflitto sociale. Descrivendoli, automaticamente si iniziano a dare le “coordinate” su cosa dovrebbe tornare a pensare la sinistra.

Tagliando con l’accetta, «di sinistra» è chi pensa che la società sia costitutivamente divisa, perché al suo interno giocano sempre interessi contrapposti, prodotti da contraddizioni intrinseche. Ci sono i ricchi e i poveri, gli sfruttatori e gli sfruttati, gli uomini e le donne. Da questa premessa generale, che vale per tutta la sinistra, discendono tante visioni macrostrategiche, anche molto lontane tra loro: socialdemocratica, comunista, anarchica, ma tutte si basano sulla convinzione che la società sia in partenza divisa e diseguale e che le cause della diseguaglianza siano profonde e, soprattutto, endogene.

«Di destra», invece, è chi pensa che la nazione sarebbe – e un tempo era – unita, armoniosa, concorde, e se non lo è (più) la colpa è di forze estranee, intrusi, nemici che si sono infilati e confusi in mezzo a noi e ora vanno ri-isolati e, se possibile, espulsi, così la comunità tornerà unita. Tutte le destre partono da questa premessa, che può essere ritrovata a monte di discorsi e movimenti in apparenza molto diversi, da Breivik al Tea Party, dalla Lega Nord ai Tory inglesi, da Casapound agli «anarcocapitalisti» alla Ayn Rand. Per capire se un movimento è di destra o di sinistra, basta vedere come descrive la provenienza dei nemici. Invariabilmente, i nemici vengono «da fuori», o almeno vengono da fuori le idee dei nemici.

A seconda dei momenti e delle fasi storiche, ce la si prende col musulmano o con l’ebreo, con il negro o con lo slavo, con lo zingaro o col comunista che «tifa» per potenze straniere, con i liberal di una «East Coast» americana più mitica che reale, con Obama che «in realtà è nato in Kenya e quindi la sua presidenza è illegale» etc. Rientrano in questo schema anche la «Casta» descritta come altro rispetto al popolo che l’ha votata ed eletta, «Roma ladrona», la finanza ridotta alle manovre di «speculatori stranieri», «l’Europa»…

Non c’è dubbio che nell’Italia di oggi il discorso egemone, anche tra persone che si pensano e dichiarano di sinistra, sia quello di destra. Che attecchisce facilmente, perché è più semplicistico e consolatorio, e asseconda la spinta a pensare con le viscere. Per questo molte persone con un background di sinistra si precipiteranno a frotte alle urne per votare un movimento che non abbiamo remore a definire fondamentalmente di destra, cioè il grillismo. D’altronde, la colpa di questo è delle sinistre, che fanno di tutto per risultare invotabili.